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Le confessioni di Badalamenti e la guerra con i Corleonesi. «Avevano bisogno della ‘ndrangheta»

Il commissario capo della Dia Di Stefano racconta in aula l’ultima informativa depositata nel processo a Graviano e Filippone

Pubblicato il: 10/10/2022 – 19:59
Le confessioni di Badalamenti e la guerra con i Corleonesi. «Avevano bisogno della ‘ndrangheta»

REGGIO CALABRIA Che i corleonesi avessero «necessità di chiedere appoggio alla ‘ndrangheta lo si rileva da atti giudiziari». È lunga e articolata la testimonianza del commissario capo della Dia Michelangelo Di Stefano in merito all’informativa redatta sui risconti alle dichiarazioni dei tre pentiti Gerardo d’Urzo, Girolamo Bruzzese e Marcello Fondacaro sui rapporti tra ‘Ndrangheta, Cosa nostra ed esponenti politici. Di Stefano è stato ascoltato per diverse ore a Reggio Calabria nel processo d’appello ‘Ndrangheta stragista. Alla sbarra il boss palermitano Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro, condannati entrambi all’ergastolo in primo grado per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi nel 1994 a Scilla.
Molte delle affermazioni dei tre pentiti sono frutto dei periodi di comune detenzione nel carcere dell’Asinara con esponenti di primissimo piano di Cosa Nostra, in cui emergono, tra l’altro, presunte verità sugli autori di alcuni attentati durante il periodo delle stragi negli anni 90.
«Negli atti di Palermo – afferma il  commissario capo della Dia – viene ricostruita la vicenda dell’inizio della guerra tra i palermitani e i corleonesi e ad un certo punto viene indicato: “Gaetano Badalamenti voleva a qualunque costo tentare di prendere in mano la situazione come egli stesso aveva confidato a Vincenzo Grado, dicendo che sperava di ottenere l’appoggio della mafia calabrese e come risulta da alcune telefonate intercettate di prossimi congiunti del detto Badalamenti in cui si parla dell’invio in Sicilia di una squadra per compiere eclatanti uccisioni di avversari”». Una rivalità, quella tra palermitani e corleonesi, che viene così spiegata da Di Stefano: «A detta di Bruzzese, c’era conflittualità perché il gruppo dei palermitani erano contenti della linea Andreotti-Craxi, osteggiata invece da Riina, Gelli e dagli americani».

Craxi e Berlusconi nell’agrumeto di Peppe Piccolo

Il funzionario della Dia, esaminato dal Procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ha ribadito, tra l’altro, l’affermazione del pentito Girolamo Bruzzese, che in un verbale del 10 marzo 2021 ha parlato di un episodio a cui avrebbe «assistito personalmente nel 1978-1979, poco dopo l’omicidio di Aldo Moro» durante un summit avvenuto nel luogo dove il padre del collaboratore di giustizia avrebbe trascorso la latitanza, «presso l’agrumeto di tale Peppe Piccolo». Bruzzese ha raccontato che «Craxi e Berlusconi tra il 1979/1980», avrebbero incontrato in sua presenza in una masseria della Piana di Gioia Tauro il boss Giuseppe Piromalli “u mussu stortu”, e di averli riconosciuti «perché visti in televisione».
La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, in chiusura di udienza, ha disposto per il prossimo 24 ottobre il prosieguo della testimonianza del vicequestore Di Stefano e l’avvio del controesame delle difese.

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