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«Il Riesame deve tenere conto dello stato di salute di Pittelli». La lettera alla Carfagna: «Sfruttare entrature e conoscenze»

Le motivazioni della Suprema Corte in merito all’annullamento con rinvio sulle misure cautelari dell’imputato di Rinascita Scott

Pubblicato il: 11/10/2022 – 16:36
di Alessia Truzzolillo
«Il Riesame deve tenere conto dello stato di salute di Pittelli». La lettera alla Carfagna: «Sfruttare entrature e conoscenze»

ROMA Il Tribunale del Riesame di Catanzaro deve tenere conto dello stato di salute di Giancalo Pittelli. Questo dice la Corte di Cassazione in merito all’annullamento con rinvio deciso dalla Suprema Corte lo scorso 16 luglio in seguito al ricorso proposto dagli avvocati dell’imputato di Rinascita Scott.
«I giudici dell’appello cautelare – scrive la Cassazione –, se da un lato dovevano prendere in esame le doglianze articolate dal Pubblico ministero appellante volte a censurare la motivazione fornita dal Tribunale procedente a sostegno del provvedimento, di attenuazione della misura, dall’altro avrebbero dovuto parimenti valutare le deduzioni della difesa della parte appellata volte a riproporre il rilievo delle condizioni di salute di Pittelli, dedotte come incompatibili con la custodia inframuraria».
Ma procediamo per gradi.

Dalla lettera alla Carfagna alla decisione della Cassazione

A dicembre 2021 Giancarlo Pittelli – imputato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa – era tornato in carcere per decisione del Tribunale di Vibo Valentia. Il collegio che presiede al maxi processo Rinascita-Scott – Brigida Cavasino presidente, Gilda Romano e Claudia Caputo a latere – aveva accolto la richiesta di aggravare la misura cautelare (dai domiciliari al carcere) in seguito alla scoperta di una raccomandata che l’avvocato aveva inviato al ministro per il Sud Mara Carfagna. È accaduto, però, che dalla segreteria del ministro abbiano inviato la missiva all’ispettorato di Palazzo Chigi che, a sua volta, l’ha trasmessa alla Squadra Mobile di Catanzaro e, da qui, è finita alla Procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri. I magistrati, alla luce di quanto accaduto, hanno inviato la raccomandata al Tribunale di Vibo Valentia chiedendo un aggravamento della misura cautelare poiché Pittelli aveva violato gli obblighi imposti dal regime detentivo dei domiciliari, ovvero non avere alcun rapporto con l’esterno tranne con le persone con le quali si coabita.
Due mesi dopo, lo stesso Tribunale (con una diversa composizione poiché il presidente era assente per malattia) – presidente Gilda Danila Romano, a latere Germana Radice e Francesca Loffredo – aveva accolto la richiesta dei difensori di Pittelli e aveva ripristinato i domiciliari per l’ex senatore.
Questa decisione era stata impugnata dalla Dda di Catanzaro che aveva fatto appello al Tribunale del Riesame.
Ad aprile scorso il Riesame – presidente Filippo Aragona, a latere Sara Mazzotta e Roberta Cafiero – ha accolto l’appello con il quale la Dda di Catanzaro chiedeva la misura cautelare in carcere nei confronti dell’avvocato Giancarlo Pittelli. Una decisione non immediatamente esecutiva perché si doveva attendere la decisione della Corte di Cassazione. La decisione è arrivata il 16 luglio scorso: Pittelli resta ai domiciliari in attesa di una nuova pronuncia del Tribunale del Riesame di Catanzaro.

Il ricorso e la decisione

Il ricorso in Cassazione proposto dagli avvocati Guido Contestabile e Salvatore Staiano si fondava su due capisaldi. In primo luogo lettera al ministro Carfagna, secondo le difese, era lecita, sulla scorta del principio che «l’imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare: i rapporti epistolari con i parlamentari, come sono permessi ai detenuti inframurari, avrebbero dovuto ritenersi consentiti ai detenuti domiciliari». Dunque «anche il detenuto agli arresti domiciliari, quale era Pittelli, era libero di indirizzare ai parlamentari corrispondenze, stante l’impossibilità di interpretare le prescrizioni che regolavano la detenzione domestica in senso deteriore rispetto alla detenzione carceraria». Aggiunge la difesa che «la missiva era stata inviata da Pittelli all’onorevole Carfagna nella sua specifica qualità di parlamentare e poi inviata dalla destinataria per i controlli ritenuti necessari all’Ispettorato di Polizia Quanto ai contenuti della missiva, poi, l’intenzione di Pittelli di voler presentare un’istanza riguardo al suo stato cautelare afferiva a un’iniziativa del tutto legittima da parte sua. Quanto all’ulteriore iniziativa, meditata individualmente da Pittelli, di sollecitare un’interpellanza parlamentare, essa afferiva in modo evidente alla libertà di manifestazione del pensiero, non sussistendo spazio franco alle critiche formulabili in Parlamento. Né dalla lettera emergeva alcun contatto vietato».
In secondo luogo «il provvedimento impugnato non ha dato conto dell’adeguatezza della custodia inframuraria ripristinata in relazione alle condizioni di salute di Pittelli». Il ricorso era correlato da una memoria in cui veniva descritto il peggiorato stato di salute dell’imputato.

«Si era rivolto a un Ministro mostrando di voler sfruttare le entrature e conoscenze»

Secondo gli ermellini il ricorso è da ritenersi fondato solo per quanto riguarda il tema «inerente alla sostanziale carenza di motivazione che caratterizza l’ordinanza impugnata in merito alla compatibilità delle condizioni di salute di Pittelli con il regime custodiale carcerario». «I giudici dell’appello cautelare – scrive la Cassazione –, se da un lato dovevano prendere in esame le doglianze articolate dal Pubblico ministero appellante volte a censurare la motivazione fornita dal Tribunale procedente a sostegno del provvedimento, di attenuazione della misura, dall’altro avrebbero dovuto parimenti valutare le deduzioni della difesa della parte appellata volte a riproporre il rilievo delle condizioni di salute di Pittelli, dedotte come incompatibili con la custodia inframuraria».
Per quanto riguarda i rapporti con l’esterno e la lettera alla Carfagna «le esigenze cautelari non avrebbero potuto considerarsi affievolite, dal momento che l’imputato, non soltanto risultava aver violato la prescrizione di non comunicare con soggetti diversi da quelli con lui conviventi, ma si era rivolto a un Ministro mostrando di voler sfruttare le entrature e conoscenze, condotte già valutate, nei provvedimenti che avevano definito il procedimento cautelare incidentale introdotto con l’ordinanza genetica, come allarmante canale e veicolo di reiterazione dei reati della stessa specie di quello oggetto di procedimento».

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