Bisogna scandagliare, senza rimanere in superficie, per avere contezza delle cause delle nostre difficoltà. Non sono quindi le dislocazioni delle forze, la loro consistenza cangiante e quindi approssimativa, la genesi delle incertezze di oggi e del buio del futuro.
Le elezioni politiche determinano assetti “stagionali” espressi da un elettorato mobile perché non ha punti fermi su cui attestarsi, ma emozioni del momento a cui aggrapparsi. Possono esserci tante elezioni ma se non si riempiono i vuoti di desolanti inerzie culturali tutto sarà vano.
Se la comunità non rivendica la propria forza propulsiva e lascia ancora ad attivi oligarchi, tiranni del nostro tempo, il decidere e l’agire, si perderà nel frastuono delle parole senza prospettive.
Il vero tema è riacquistare la identità. La comunità di cittadini è tale se ha una identità. Se i cittadini perdono forza espressiva smarriscono la loro essenza. Senza identità non c’è comunità ma aggregazioni informi. Senza il ricordo di esperienze vissute si sta in un tempo senza futuro.
I Partiti non esistono se non sono un insieme di storie vissute, ma fenomeni per ritrovarsi per occasionali interessi: trionfo degli egoismi.
Sono illuminanti le vicende del Partito Democratico. Il Pd è il raccoglitore di storie diverse e contrapposte, (dopo le esperienze della Margherita e Ulivo aggregazioni elettorali di una sinistra inquieta), del comunismo e della Democrazia Cristiana .
Il confronto anche costruttivo fra visioni diverse è possibile. È impossibile la convivenza. Non si può in uno stesso organismo conciliare ad esempio De Gasperi e Togliatti, Moro e Berlinguer.
Le identità politiche vengono sostituite nella gestione del potere. Le identità sono sacrificate sull’altare della gestione. È vanificato il disegno di Moro che auspicava il confronto e la ricerca di una sintesi fra esperienze diverse. Le storie dei Partiti sono state sostituite da quelle dei leader che sono presenti nei simboli. E i trascorsi del Paese? Sostituiti dalla vita dei capi. Questa è la crisi: povertà morale politica.
Il Paese smarrì la dimensione umana nel sequestro e uccisione di Moro. La contrapposizione tra gli intransigenti e chi voleva trattare perché non c’era nessuna “ragion di Stato”da preservare, ma il prevalere dell’interesse di Berlinguer a mantenere gli equilibri del suo partito, scosso dalle sue frange estreme, che avevano scelto la lotta armata.
È la DC? Ridotta all’impotenza e disarmata. Da qui che bisogna ripartire non per alimentare fratture ma per entrare nella normalità della politica.
Una normalità si afferma se ci sono identità a confronto e non realtà dominate da capi. Questo bisogna correggere. Sotto a chi ha passione. Sotto ai cristiani democratici in diverse latitudini, oggi attestati perché ritrovino la propria identità. E così tutto il Paese!
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