Livorno Ferraris non si trova in Toscana. Infatti fino al 1924 si chiamava Livorno Piemonte. Campagne della bassa vercellese solcate dal canale Cavour e da quello De Pretis. Ferraris viene dallo scienziato Galileo, gloria locale, fratello di un medico di Garibaldi.
Quattromila abitanti che il paese lo chiamano Livorn. Toponimo che deriva dai Libui, popolo che arrivò da queste parti attorno al IV secolo avanti Cristo. Diverse ere dopo, in questa zona di risaie e nebbie, arrivarono dei calabresi. E nel corso del tempo ai locali residenti diedero in dono l’apertura di un locale di ’ndrangheta.
La recente burocratica relazione della Dia informa che l’istituzione è riconducibile ai Commisso e alle consorterie di Sorianello e Nardodipace, nel Vibonese. Un mantra che si ripete da tempo negli atti ufficiali.
Tutto nacque indagando su Chivasso e le infiltrazioni della politica comunale, a venti chilometri di strada dal paese vercellese, situato in provincia di Torino. Gli investigatori captano un’intercettazione in cui si dice: «Come, avete il capo della mafia a Livorno e non ve ne dà lavoro?». Nasce in questo modo l’operazione “Colpo di coda”, dalle pieghe di quella più celebre “Minotauro” che scruta il borgo del Vercellese, la confinante Saluggia e Chivasso. Un microcosmo dell’Italia poco noto del Nord, disposta in una retta irregolare come nella geografia di San Luca, Platì e Natile di Careri.
Nella consorteria aperta con benestare calabrese e piemontese troviamo un impresario edile, il titolare di uno delle principali aziende di impianti termici e il gestore di un bar di Saluggia.
È un imprenditore edile anche il vicesegretario dell’Udc di Chivasso. È lui che agita le acque per l’accordo al ballottaggio nel comune torinese nel 2011. Non si rende conto di nulla Gianni De Mori, avvocato della società civile lato Pd. Quando si accorge chi ha imbarcato, si ammala e va in depressione. Decide di ritirarsi, pentendosi di essersi esposto. Anche per questo la politica non trova ricambio al Nord come al Sud. Eppure sul piccolo “Locale” di Livorno Ferraris non ci sono prove di riti di affiliazione, né di riunioni.
Ma un’altra intercettazione aveva portato i pm su una pista archivistica grazie a una sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria datata 1934, trovata dal pm Sparagna nell’archivio di Stato a Messina. Gli investigatori avevano beccato l’indagato che spiegava all’amante che cosa fosse la ’ndrangheta ricordando i processi subiti dal padre Nicola. Per dimostrare che l’imputato ne avesse una conoscenza diretta il pm ha cercato la prova all’archivio di Reggio e poi in quello di Messina scovando una sentenza sulla ’ndrina del rione Armo di Gallina. Qui l’organizzazione «chiedeva lire cinque per ogni discarica di piroscafo». Per allontanare uno ’ndranghetista rivale che aveva chiesto il pizzo in quella zona, il gruppo «passa alla riscossa», rapina l’avversario di 85 lire e gliene rende cinque perché «il forestiero non va mai lasciato senza soldi», così che possa andarsene. Ma lo “straniero” insiste e viene ucciso. Tra i condannati in quel processo c’erano pure gli antenati di questa mafia del nord poco studiata.
Vicenda diversa ma collaterale quella di Bruno Trunfio, figlio di Pasquale, presunto capomafia. Il giovane Bruno nella dirimpettaia Chivasso era stato assessore ai Lavori pubblici quota Forza Italia, fu costretto a dimettersi per essere scivolato a causa di un abuso edilizio della sua villa. Ma all’Udc di Chivasso Massimo Striglia lo accoglie volentieri. Lo ha avuto suo studente alle serali del Geometra. È anche il commercialista del papà Pasquale, indicato dalle cosche come capoclan di Chivasso. Per Striglia «un signore sempre educato, mai sospettato nulla». La ’ndrangheta nei paesi del Nord non si infiltra sempre con lo sguardo torvo.
Basso profilo a Chivasso. Pasquale ha solo un reato di ricettazione, l’altro figlio solo possesso illegale di munizioni. Bruno è incensurato e può entrare in politica e tentare di gestire il nuovo Piano Regolatore di Chivasso. Nel 2016 è stato condannato come appartenente all’organizzazione.
Gian Carlo Caselli, magistrato che ha sconfitto le Brigate Rosse e provato a far condannare Giulio Andreotti per mafia a Palermo, alla conferenza stampa, che allora si potevano tenere liberamente, traccia la sua analisi con determinazione dichiarando ai giornalisti: «È stato inoltre accertato che questi, a Chivasso, potessero manovrare un pacchetto di trecento voti. Questi possono sembrare pochi, ma per le consultazioni locali sono importanti, in questo caso magari decisivi». Nella lista dell’Udc aveva preso posto anche il calabrese Beniamino Gallone detto Benny. La Cassazione ha bocciato la condanna a 7 anni inflitta in Appello. Non è sfuggito ai media che era lo zio di Antonio Gallone, detto Nino, celebre per aver portato la sua sposa in chiesa a Nicotera con un elicottero senza chiedere autorizzazione e nessuno.
Ma a Chivasso la ’ndrangheta piemontese ha avuto origine, come si legge in una requisitoria del pm Sparagna, «almeno dal 1972, quando abbiamo certezza della richiesta, formulata a un pentito, di aderire al locale di Chivasso» e lo stesso inquirente traccia bene l’identikit del locale quando afferma: «La ’ndrangheta qui opera in modo diverso, in silenzio: si adatta, si mimetizza, e questo la rende più insidiosa e persino più difficile da aggredire».
E anche la Cassazione ha specificato ed elaborato i concetti di “mafia silente” e di collegamento organizzativo tra strutture delinquenziali ’ndranghetiste nelle motivazioni della sentenza di Colpo di Coda per i fatti poco noti di Livorno Ferraris nati per una colletta da parte «degli affiliati non ristretti a favore di quelli detenuti per il processo Minotauro» e la costituzione di un nuovo locale. Duecento euro a testa per Natale agli amici detenuti e neanche da tutti versati.
A Tenuta Colambara nel 2020 in una cascina di Livorno Ferraris è passato in bicicletta il giornalista Mario Calabresi per riscoprire il tempo lento delle risaie da collocare in un racconto social tutto teso alla bellezza del paesaggio ai tempi del Covid. La mafia silente nata da queste parti la trovi scritta negli archivi giudiziari e in quelli dei siti locali. Tra la bassa vercellese e Chivasso l’emergenza criminale è stata rimossa da tempo. Forse sconfitta per sempre. Chissà? (2 – continua)
>>> Qui la prima parte dell’inchiesta di Paride Leporace: ‘Ndrangheta, viaggio nell’Italia minore del Nord. La Valle d’Aosta contaminata tra due etnie
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