COSENZA C’è un “Sistema” a Cosenza che tiene insieme tutte le articolazioni criminali, «accreditate» e «autorizzate» allo svolgimento delle attività illecite, in particolare il narcotraffico e poi le estorsioni e l’usura. Business trattati rispettando una rigida divisione dei territori, dei quartieri e della tipologia di sostanza stupefacente spacciata. Le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, hanno permesso ai magistrati antimafia della Dda di Catanzaro, che ha coordinato l’inchiesta “Reset“, di accertare l’evoluzione della mala cosentina nel corso dell’ultimo decennio e ridisegnare il nuovo scacchiere riferito all’interno al comprensorio bruzio.
Le articolazioni di ‘ndrangheta cosentine, sono state al centro di numerose precedenti indagini confluite in sentenze (definitive e non), che ne hanno conclamato «la resistenza, l’operatività, la pericolosità ed i connotati tipici delle associazioni di tipo mafioso, finalizzate alla commissione dei crimini più efferati, omicidi, estorsioni, usura, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, controllo degli appalti pubblici». Il processo scaturito dall’inchiesta denominata “Garden” ha permesso, ad esempio, di ricostruire la nascita dei sodalizi (contrapposti) “Perna-Pranno” e “Pino-Sena”. Le due associazioni di tipo mafioso, organizzate e dirette una da Francesco Pino e Antonio Sena, l’altra da Francesco Perna, Mario Pranno e Pasquale Pranno – in un periodo temporale a cavallo tra gli anni 70′ e gli anni 90′ – diedero vita ad un cruento e sanguinoso conflitto per il controllo delle attività economiche ed illecite sul capoluogo. E’ proprio il collaboratore di giustizia Franco Pino ad offrire una chiave di lettura più corretta della formazione dei due gruppi organizzati. Che si colloca, secondo la narrazione degli altri collaboratori, «nel 1977 con la morte violenta di Luigi Palermo alias “U Zorru”, omicidio prima del quale attorno ad Antonio Sena e allo stesso Palermo si erano coagulati gli esponenti della criminalità operante sul territorio, dietro le motivazioni più disparate».
Il delitto si consumò in un contesto delinquenziale in fibrillazione per i forti interessi sul territorio ed il controllo assoluto delle attività illecite. I due schieramenti avevano da quel momento dato avvio ad una faida per ottenere il controllo assoluto sul territorio e le relative attività criminali.
II gruppo “Sena-Pino”, strinse una serie di alleanze anche al di fuori della città bruzia con la camorra cutoliana, con le famiglie mafiose della piana di Gioia Tauro, con la cosca “Muto” di Cetraro, con Nelso Basile (poi assassinato a San Lucido il 22 febbraio 1983) con Giuseppe Cirillo presente nella piana di Sibari. Il gruppo “Perna”, invece, contava sull’appoggio di gruppi delinquenziali del crotonese, del clan malavitoso dei Serpa operante nella zona di Paola e di quello facente capo agli “Africano” di Amantea. La guerra di mafia ebbe come teatro non solo Cosenza ma anche l’intera provincia con grossi riflessi sulla costa tirrenica. Dal 1978 al 1986, «la faida avrebbe provocato una spirale tragica di omicidi», segnando il passaggio di esponenti del gruppo degli “Zingari” con la fazione che faceva capo a Pino. Al sangue ed ai proiettili lasciati su strada, seguì un principio di dialogo e, a quasi dieci anni dalla divisione traumatica e dall’inizio delle ostilità, i gruppi si ricompattarono concentrandosi sugli affari che, con i grandi appalti pubblici, si profilarono all’orizzonte. La pax sancita, in nome del business e dei danari, fu il primo passo verso la costituzione del “Sistema” «che, negli anni a venire, sarebbe diventato un cliché».
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