LAMEZIA TERME Un lungo e costruttivo confronto, un dialogo utile non solo per analizzare gli aspetti molteplici della sanità calabrese, ma anche la relativa macchina organizzativa. E poi, quasi come in un percorso immaginario, il viaggio nella Pneumologia attraverso conoscenze e consigli fondamentali, frutto di un lungo impegno arricchito dall’esperienza professionale ma anche dalla profonda passione. C’è questo e molto altro nella puntata speciale di “Salute e Sanità”, il format de L’altro Corriere Tv che ha visto come ospite Giusy Marrazzo, dirigente medico dell’unità operativa di Pneumologia dell’azienda universitaria Mater Domini di Catanzaro, specializzata in pneumologia interventistica. Quella di Giusy Marrazzo non è affatto una storia banale, anzi particolare e paradigmatica rispetto ai temi sanitari calabresi degli ultimi anni. «Sono approdata dalla Calabria in Friuli-Venezia Giulia, un’esperienza di tre mesi, poi ho deciso di tornare nella mia regione perché è giusto dedicare le proprie competenze ai conterranei. Non è giusto costringere la gente ad emigrare e affrontare viaggi della speranza per riceve un’assistenza sanitaria al Nord che, invece, potrebbero ricevere nella propria terra forse con una umanità migliore di quella che potrebbero trovare altrove». Anche perché, spiega la Marrazzo «credo che i medici calabresi non abbiano nulla da imparare, devono solo essere messi nelle condizioni di lavorare in maniera adeguata e professionale».
Quello della sanità è un universo complesso, composito, che ha al suo interno molti dei problemi che quasi quotidianamente vengono raccontati, ma anche grandi e straordinarie storie di impegno personale e capacità professionali. E di strutture che riescono a soddisfare, sebbene molto spesso a fatica, il bisogno di salute dei calabresi, e lo fanno con un principio organizzativo, una dotazione infrastrutturale, ma anche grazie alla competenza e la passione degli operatori. Elementi legati a doppio filo con l’emigrazione sanitaria, vera piaga tutta calabrese. «I pazienti spesso emigrano anche per una banale ernia inguinale – spiega Giusy Marrazzo – perché pensano di trovare negli ospedali del nord una competenza, una professionalità e un’accoglienza migliore. Penso invece che bisognerebbe concentrarsi per avere questi servizi nella nostra regione». Come, ad esempio, nel caso delle malattie respiratorie. «Noi stiamo cercando di farlo nell’unità operativa di Pneumologia del Policlinico universitario, una delle dotate di tutti i servizi per curare le malattie respiratorie, anche patologie più gravi, curandole con competenze all’altezza».
Il “Pugliese-Ciaccio” è al momento uno dei punti di riferimento della campagna di screening del tumore del polmone. Ma gli ultimi due anni di pandemia da Covid-19, pazienti intubati e caschi respiratori, ci hanno insegnato che le problematiche legate al sistema respiratorio sono molteplici. «L’importante – ha spiegato Marrazzo – è sempre essere attenzionati dallo specialista giusto, ma è evidente che tocca continuare a percorrere questa via e potenziarla sempre di più». «Ho avuto – ha raccontato Giusy Marrazzo – una lunga esperienza in pronto soccorso e posso dire che l’80% degli accessi sono legati a problematiche respiratorie. La difficoltà del respiro è il sintomo cardine che spinge il paziente ad andare al pronto soccorso». A segnare la differenza è però la disponibilità delle professionalità, anche attraverso la moltiplicazione delle borse di studio. «Negli ultimi anni abbiamo avuto un incremento del numero dei medici in formazione specialistica, quindi ci vorrà qualche anno prima di potersi inserire nel mercato sanitario. Un fattore rassicurante perché le patologie respiratorie sono sempre più in crescita, a cominciare dalla broncopatia cronica ostruttiva insieme alla cardiopatia ischemica. La Pneumologia, come è giusto che sia, ha acquisito la giusta importanza perché i pazienti non devono arrivare in ospedale quando ormai sono allo stato quasi terminale ma molto prima, e cioè quando la terapia può migliorare la loro condizione di salute e salvarli quando sono gravissime».
Gli screening contribuiscono a definire i Lea ovvero i livelli essenziali di assistenza, metro di paragone per definire un sistema sanitario calabrese che, da anni, gioca il ruolo di “Cenerentola”. A peggiore ulteriormente il quadro è stata la pandemia il cui impatto, spiega Marrazzo, «è stato devastante, soprattutto dal punto di vista delle neoplasie polmonari. Abbiamo fatto un grande numero di diagnosi di tumori avanzati subito dopo l’emergenza pandemica. Perché i pazienti restavano a casa anche se avevano sintomi, senza neanche svolgere le analisi di primo livello». «Credo che gli screening siano importantissimi, a cominciare da tutti i fumatori o quelli che hanno raggiunto i 60 anni di età. Per il resto delle patologie polmonari come asma, interstizio patie polmonari, sono patologie che vanno attenzionate il prima possibile quindi è fondamentale andare a fare una visita pneumologica».
A proposito di neoplasie, Giusy Marrazzo nel corso della puntata ha anche definito alcuni punti fondamentali e imprescindibili, a cominciare dalle tempistiche di intervento per poter garantire una maggiore aspettativa di vita. «La tempistica deve essere la più breve possibile e questo lo stiamo raggiungendo perché insieme ai colleghi del “Pugliese-Ciaccio” abbiamo costituito il gruppo multidisciplinare per il tumore del polmone». «Adesso avrà un centro di accoglienza dove affluiranno tutti quei pazienti che non vengono direttamente dallo pneumologo, e verranno indirizzati a compiere tutte le procedure dopo una prima visita oncologica». E si parla di tempi davvero brevissimi: «Per quanto mi riguarda ho dato la disponibilità di effettuare l’esame endoscopico entro una settimana, tempi che non sono presenti in nessun altro centro oncologico italiano. Anche i colleghi dell’Anatomia patologica o della Radiologia si sono adoperati per fornire delle tempistiche per questi pazienti molto brevi in modo da ottenere diagnosi e stadiazione. Noi, presso l’Unità operativa di Pneumologia del Policlinico universitario siamo in grado di rispettare lo standard fissato di 30 giorni. Certo, ci sono i casi in cui si sfora di qualche giorno, ma solo se si tratta di una neoplasia un po’ più rara e che merita di maggiora attenzione». «L’obiettivo è frenare l’emorragia della migrazione sanitaria perché ci siamo dotati delle tecnologie più evolute, abbiamo una strumentazione completa per affrontare la diagnostica di tutte le neoplasie centrali e periferiche del polmone, abbiamo le competenze per farlo grazie ai corsi continui di aggiornamento».
E quando si parla di tempistiche, in medicina, in larga parte il tutto si traduce nella multidisciplinarietà. Perché «lavorare in team conta tantissimo, soprattutto quando si affrontano le neoplasie. Discutiamo i casi tutte le settimane all’interno di questo gruppo di cui fanno parte una serie di professionalità quali radiologi, anatomopatologi, oncologi, medici nucleari, chirurghi toraci per cui discutendo il caso sappiamo subito se il paziente va a chirurgia prima o dopo la diagnosi, se deve fare terapia e quale tipo di trattamento deve affrontare». «Quindi da parte della nostra unità operativa c’è tutto lo studio del paziente pre-diagnostico perché lo facciamo aprendo un day-hospital, dove facciamo la diagnosi del problema polmonare, ma anche lo studio complessivo di tutto il paziente: la funzionalità respiratoria, quella cardiaca e poi la stadiazione della neoplasia. Poi si ridiscute tutto con il gruppo multidisciplinare e si affida il paziente allo specialista per continuare il percorso terapeutico».
E quanto incidano i fattori di rischio e la tempestività (e la precocità) della diagnosi è strettamente legato alle guarigioni e all’aspettativa di vita. «Allo stato attuale – spiega Giusy Marrazzo – in un nodulo solitario che non ha dato interessamento linfonodale, parliamo di guarigione clinica perché se il paziente va in Chirurgia ha l’escissione della neoplasia, farà un follow-up che dura cinque anni e poi l’assoluta guarigione clinica». «Se parliamo invece di un tumore in stato avanzato, con le nuove immunoterapie, anche biologiche, la vita del paziente è comunque migliorata, tanto quanto l’aspettativa di vita del paziente». «Ma è altrettanto importante accogliere questi pazienti, seguirli nel loro percorso e noi stiamo tentando di farlo con questo gruppo multidisciplinare. Il paziente non deve sentirsi solo e abbandonato». E non si può non tenere conto dei fattori rischio, dal fumo di tabacco a quelli ambientali. «Sappiamo che sia la broncopneumopatia cronico-ostruttiva, sia i tumori del polmone sono strettamente correlati all’abitudine tabagica, per queste ragioni il paziente fumatore, dopo i 40 anni, non può non eseguire una visita pneumologica. Tutto il resto della popolazione, se è sana, può effettuare tendenzialmente una prima visita alla comparsa del sintomo, ma arrivare a 70 anni e non aver mai visto uno pneumologo è impensabile». «Gli indicatori più significativi sono i sintomi respiratori quindi l’affanno che può comparire sia a riposo che sotto sforzo, l’astenia del paziente che cammina più lentamente delle persone della sua età, la tosse, ma più in generale l’attenzione maggiore deve arrivare dai medici di medicina generale che dovrebbero inviare allo specialista i loro pazienti magari più esposti ai fattori rischio».
C’è l’idea di partenza di un sistema sanitario scassato, ma nonostante tutto capita di venire a contatto con realtà, strutture e professionalità, che non solo sono incoraggianti ma non hanno nulla da invidiare al resto del Paese. «Nella sostanza non cambia nulla, noi siamo in grado di seguire i pazienti, di fare le diagnosi, di dare terapie appropriate. A cambiare è però la forma che purtroppo è l’impatto che ha il paziente nell’accesso nei nostri ospedali». «L’esperienza nel nord-est italiano mi ha fatto vedere ospedali ogni 20 o 30 km l’uno dell’altro, è chiaro che il paziente quando arriva nell’ospedale spoke è già stato nei piccoli ospedali periferici. Un esempio calabrese: quando un paziente arriva al pronto soccorso di Crotone arrivando da Cariati, in fin di vita, il medico che lo soccorre deve prima mettere in atto tutta la macchina operativa per salvare la vita al paziente. Un tema dunque organizzativo, quello su cui noi dovremmo puntare».
Bisognerebbe, forse, ascoltare di più e non solo affidarsi ai numeri. «Le aziende sanitarie non possono essere vere “aziende”, la salute è un bene così importante che non può essere mercificato. Se vogliamo curare bene i nostri pazienti le nostre aziende sanitarie dovrebbero essere “a perdere”, se poi siamo costretti a risparmiare su esami e strumenti, allora è chiaro che le cose non possono venir bene. Io dico: metteteci nelle condizioni di poter lavorare, poi se non siamo in grado di farlo ne renderemo conto». «Proviamo a lavorare tutti nelle stesse condizioni, vediamo poi chi è più bravo». (redazione@corrierecal.it)
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