COMO Estorsioni a imprenditori e politici, promesse non mantenute, minacce agghiaccianti ai commercianti. Domenico Ficarra, 38 anni, è uno dei pentiti del clan Molè, «non affiliato con le procedure che pensate voi, ero semplicemente nato nella famiglia Ficarra e camminavo con il nome dei Molè». Mentalità antica e la necessità di “rifarsi una vita” dopo il 2008, dopo l’uccisione del boss Rocco Molè. È a quel punto che Ficarra decide di lasciare Gioia Tauro per trasferirsi al Nord. Sceglie il Comasco: nuovo scenario, vecchie abitudini criminali che oggi svela nel processo in corso sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in quell’area della Lombardia. L’udienza raccontata da La Provincia di Como è un compendio di quelle abitudini e dei comportamenti dei clan calabresi. Per commercianti che gli si avvicinavano chiedendogli la riscossione di un credito non c’era scampo. «Un artigiano di Turate mi chiese di recuperargli fatture per 300mila euro in cambio di 80mila euro in contanti – ha raccontato Ficarra -. Io mi feci dare gli 80mila euro, gli dissi che avevo mosso tutti i miei amici calabresi invece non avevo fatto nulla e i soldi rimasero a me». Stesso trattamento per chi metteva in guardia dalla presenza dei calabresi attivi nel recupero credito – si legge su La Provincia di Como –: «Gli chiedemmo 200mila euro sennò finiva male».
Minacce, violenze e il tentativo di inserirsi in affari lucrosi, quelli delle cooperative del territorio «che ruotavano attorno a Cesare Pravisano, cui avremmo estorto più di un milione di euro». Pravisano, ex assessore di Lomazzo accusato di aver av
uto legami con la ‘ndrangheta, in questo processo è parte offesa, vittima delle estorsioni. Ficarra spiega che arrivò a lui dopo il trasferimento nel Comasco: «In Lombardia c’era un mio parente che lavorava come autotrasportatore e collaborava con delle cooperative gestite da Pravisano. Mi disse che faceva fatture false e non pagava l’Iva, ma mi disse anche che era una figura facile da raggirare, l’ideale da mettere sotto pressione». Così iniziano le estorsioni («Gli chiesi 12mila euro dicendo di avere in mano cambiali a sua firma, ovviamente non era vero. Pagò in contanti il giorno dopo»). Le consegne di denaro arriveranno, secondo il pentito a «oltre un milione di euro». E l’ex assessore avrebbe lasciato a Ficarra pure una Lancia Y e comprato una Porsche che l’ex uomo dei Molè usò per due mesi per poi rivenderla intascando 60mila euro.
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