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«Un partito sospeso tra presente e futuro»

All’indomani di ogni sconfitta elettorale, il frammentato mondo della sinistra precipita nell’estenuante analisi del voto. Rito proteso, per consuetudine, all’assoluzione e all’oblio. La sconfitta…

Pubblicato il: 15/10/2022 – 22:15
di Silvia Marino

All’indomani di ogni sconfitta elettorale, il frammentato mondo della sinistra precipita nell’estenuante analisi del voto. Rito proteso, per consuetudine, all’assoluzione e all’oblio. La sconfitta, in questo caso, non ha i tratti di un evento imprevisto e imprevedibile ma è la conseguenza di un decennio di errori politici, generati dall’autodeterminazione di un gruppo dirigente ristretto.
Eppure, nella narrazione corrente, le ragioni della disfatta sono state confinate tra gli errori strategici (causate dalle mancate alleanze) e le difficoltà di contesto (pandemia, guerra, energia) che hanno modificato il quadro sociale di riferimento. I temi politici veri, reali che hanno portato al progressivo abbandono del partito da parte dei ceti popolari, dei lavoratori, di quelle espressioni sociali che cercano rappresentanza altrove, sono stati elusi.
La relazione introduttiva del segretario alla direzione nazionale del partito, pur tracciando, qualche indirizzo organizzativo (congresso in primavera) e politico (opposizione al governo Meloni) di breve periodo, ha lasciato in sospeso i nodi politici identitari e le regole per l’organizzazione interna del partito. Non è dato sapere con quali strumenti si pensa di combattere l’invadenza devastante delle correnti, l’autoreferenzialità del gruppo dirigente impegnato solo a garantirsi la rielezione, la mancanza di un progetto collettivo. L’assenza di qualsivoglia spiegazione sul metodo che ha consentito a capicorrente e congiunti di essere candidati alla testa dei listini proporzionali plurinominali, dirottando sui collegi uninominali, già persi, dirigenti di terza e quarta fila, magari di genere femminile. Tutto è stato silenziato.
Questi sono i temi politici e organizzativi da approfondire. Non si risolve il problema sostituendo il Segretario o cambiando nome al contenitore. Il rinnovamento passa dal superamento dell’attuale gruppo dirigente, silente ed opportunista, responsabile di scelte e decisioni discutibili a livello centrale come in periferia. Manifestamente incapace di rivendicare la paternità di opinioni coraggiose su temi di rilevanza sociale o territoriale, a cui si è obbligati anche dal proprio ruolo istituzionale. Che confonde la campagna elettorale con la campagna promozionale per l’ultima, personale, fatica editoriale.
Serve un congresso costituente per definire contorni e contenuti di un progetto politico che abbia un’identità definita. Una nuova classe dirigente con la credibilità necessaria per proporsi come referente dei bisogni sociali che si vogliono rappresentare. Questa tipologia di persone difficilmente si incrocia nei cenacoli ristretti che i vertici del partito sono abituati a frequentare, piuttosto abita i territori; è fatta da Sindaci, amministratori, associazioni che si occupano di marginalità, di diritti, dell’edificazione di comunità più inclusive e giuste. Esperienze che molto spesso questo partito costringe alla diaspora.
Occorre garantire una fase costituente lontana dagli intrighi delle correnti e dalle oligarchie territoriali. Servono energie nuove e pulite dalle incrostazioni che i partiti hanno prodotto. Riconoscere valore al merito ed alle competenze. Apprezzare la lealtà dello scontro, piuttosto che la fedeltà del silenzio.
La storia recente ci consegna un partito contraddittorio, pronto a sostenere governi tecnici o politici, pur privo di alcun mandato elettorale. Che per semplice affezione al potere ha avallato leggi populiste che ne hanno sancito definitivamente la subalternità culturale e politica. Tanto per citarne qualcuna: legge elettorale in vigore (Rosatellum), legge costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari (che ha privato di rappresentanza alcuni territori), legge per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (che ha distrutto le strutture di partito periferiche). Aver promosso e attuato il Jobs Act. E nella frenesia della “responsabilità” ha smarrito i contenuti e perso di vista i valori, le questioni sociali. L’identità.
Un partito politico non è mai “proprietà” di provvisori organismi dirigenti ma è uno strumento a disposizione della società, che opera e si arricchisce nella condivisione degli obiettivi comuni.
Il Partito Democratico per continuare ad esistere dovrà rinnovare uomini ed idee e regole.
Perché un partito politico deve saper nutrire di speranza il futuro.

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