REGGIO CALABRIA «Allora il parlare nn aiuta qui dentro (…) credo k nn ci siamo mai cacati sotto x niente xo se vi diciamo k c’è puzza stasera e così nn stiamo dicendo k nn facciamo nulla ma aspettiamo e valutiamo xk andare nella tana del lupo nn si rischia e sicuro k ci mangia». Un messaggio a tratti sgangherato, con una sintassi adolescenziale, ma per gli inquirenti molto significativo. A scrivere nella chat criptata Sky Ecc, per intenderci quella che gli investigatori internazionali sono riusciti a “bucare”, è Salvatore Bagnoli, il “capo squadra” di quei portuali che – come abbiamo raccontato in questo articolo – erano deputati nel Porto di Gioia Tauro all’individuazione, la gestione e l’esfiltrazione dei carichi di cocaina dai container di banane.
Il messaggio è doppiamente significativo per la Dda di Reggio Calabria, in una prospettiva condivisa dal gip. Sia perché definisce i ruoli, sia perché certifica una certa apprensione del gruppo di finire “nella tana del lupo” cioè di finire tutti in manette. Già perché parallelamente alle conversazioni dei portuali infedeli, la polizia giudiziaria del GOA di Reggio Calabria aveva attivato un mezzo aereo per l’attività di videoripresa, destando molta preoccupazione. In un primo momento la squadra continua con il proprio cronoprogramma, con l’operazione di esfiltrazione che sarebbe avvenuta la sera del 21 dicembre 2019 alle ore 22.30. E, mentre il gruppo discuteva sul posizionamento del carico all’interno del container «la terza fila di dietro, di là sotto!», in sottofondo riecheggia l’elicottero della GdF ma anche il drone della Guardia di Finanza, in volo tra la Msc Noemi e gli spogliatoi. «Sono due ore che gira qua, loro dicono di no!» dice Dell’Acqua, a cui fa eco Fazari: «Eccolo qua, eccolo qua! In mezzo a questa nuvola, eccolo qua! In mezzo a questa nuvola bianca». E ancora: «C’è il drone, hanno il drone!». A questo punto, visti i continui sorvoli, Dell’Acqua si preoccupa e domanda a Santi Fazio: «(…) tu sei venuto più di una volta con me, ce la facciamo? Vedi che sono due e tutti e due alla terza fila. Dobbiamo “cacciare paro”». «Figlioli, che volete che vi dica!?».
«Come dicevo i rifer falli sgollegare» «Prima che il nano finisce il turno». Il sorvolo dell’elicottero e del drone era, evidentemente, una fonte di grande preoccupazione per il gruppo, e lo si intuisce chiaramente dal tenore dei messaggi scambiati in chat. Ma se da una parte Rosario Bonifazio ordinava a Bagnoli, comunque, di procedere con lo “scollegamento” dei reefer prima delle 22, Salvatore Dell’Acqua appariva invece molto più preoccupato, ed aveva inviato sul gruppo una foto che ritraeva alcune auto, commentando la presenza delle Forze dell’Ordine nascoste sul ponte. «I cani – scrive in chat riferendosi a loro – erano nascosti sul ponte dove non si può passare (…) sono la con la macchina e quel ponte è chiuso, non si può passare». E ancora: «Stasera non ci fanno uscire da qua ve lo dico io», messaggio che rispecchiava il pensiero della fazione “allarmista”, convinta cioè a non dare seguito al piano previsto. «(…) stasera non dobbiamo fare niente! (…) non si deve fare niente!… Se volete prendere…». I timori di Dell’Acqua – così come hanno ricostruito gli inquirenti – venivano condivisi e rafforzati da Salvatore Copelli attraverso un messaggio: «Se è possibile, sì! Sennò non c’è niente per nessuno!».
Il resto è un crescendo di timori, ansie e apprensioni che con il passare dei minuti diventavano sempre più insistenti. Alle 21.06 Dell’Acqua ribadisce in chat che il drone aveva quasi “tagliato la testa” di Santi Fazio, proprio in corrispondenza dell’area reefer. Alle 21.29 Zambara e Dell’Acqua, ancora allarmati, continuano a manifestare l’intenzione di desistere dall’attività programmata. La situazione però si fa molto tesa perché i problemi organizzativi sembravano aver creato uno scollamento tra i referenti dell’organizzazione – che insistevano per portare a termine l’attività – e i portuali, che materialmente avrebbero dovuto prestare la loro opera e che intendevano “lavorare” solo in estrema sicurezza, ben avendo presente i rischi che l’attività avrebbe potuto comportare, data anche la presenza della Guardia di Finanza. «Con tutta la buona volontà e credo k nel tempo di sì sono visti i risultati ma abbiamo famiglia pure noi a casa e nn mi sembra il caso buttarci nel fuoco se sappiamo k ci bruciamo io la vedo così».
Dopo un ulteriore rinvio delle operazioni, il fallimento dell’esfiltrazione del carico da parte del gruppo dei portuali infedeli si concretizza il 22 dicembre 2020, con l’intervento (massiccio) nel porto della Guardia di Finanza che sequestra un carico di cocaina composto da 26 imballi per un peso totale di oltre 500 kg. E i messaggi scambiati in chat ne certificano la rabbia e la frustrazione, ma anche la consapevolezza che, forse, è meglio fermarsi. Almeno per un po’. «Ci sono i cani sotto la tettoia» scrive Dell’Acqua, menzionando il container indicato con la sigla “SZLU”, dimostrando secondo gli inquirenti di conoscere addirittura la sigla sottoposta al controllo dei finanzieri. E mentre in chat il gruppo cerca di capire a chi appartenesse il carico, è “Carlos” Brandimarte a chiarire che non fosse “il suo” perché quello a lui riconducibile – con all’interno oltre 102 kg di cocaina poi sequestrato dalla GdF – aveva la sigla “TRIU”. Ne segue una grande confusione, ma soprattutto la paura di finire in manette. È Antonio Sciglitano in particolare a ricordarlo a tutti che «se nn vogliamo perdere tutto e farci un paio d anni al fresco ve lo sto dicendo da qualke giorno» «ormai a e sputtanato tutto» «il problema è che nn capite che siamo rovinati». Il sequestro del carico di cocaina aveva spento anche l’entusiasmo di Salvatore Copelli che, parallelamente in un’altra chat con Bagnoli, ribadiva sia il sequestro della droga, sia l’invito a sospendere ogni attività legata agli altri container all’interno dei quali erano presenti altri carichi di cocaina. Una “trappola”, a suo avviso, architettata dalla Guardia di Finanza. «Parente I hanno presa» «Alla larga e una trappola» «Che si vadano a rompere» «Basta».
Nel pomeriggio, dopo le 17, la certezza del fallimento: «L’esercito è arrivato» «Di quanto erano e come erano sicuramente avranno fatto il video e esce pure in televisione». Anche perché gli uomini della GdF, uno ad uno, individuano e svuotano tutti i container incriminati. Dopo “SLZU” e “TRIU”, le fiamme gialle arrivano ad un terzo container di colore giallo. La squadra di portuali infedeli, infatti, avrebbe dovuto occuparsi di «un lavoro grosso» tanto era il carico di droga contenuto. Per gli inquirenti si tratta dunque del container CAIU9888701, identificato durante il blitz della Guardia di Finanza, e che all’interno conteneva l’enorme quantitativo di 994,435 kg di cocaina. «Immagina domani quando aprono il lavoro grosso che succede (…) i botti i capudanno sparano, peccato». (redazione@corrierecal.it)
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