CATANZARO Gli effetti tossici rilasciati dalla crisi economica seguita alla pandemia si stanno ancora sentendo in Italia. E la Calabria, assieme al Mezzogiorno, è tra i territori che ne stanno risentendo maggiormente e si riverbera in termini di povertà assoluta ed esclusione sociale tra la popolazione. Nella “Giornata Mondiale di eradicazione della povertà”, giunta quest’anno alla sua ventinovesima edizione, i dati sul fenomeno restituiscono la drammaticità che caratterizza la situazione del Sud Italia e della Calabria.
Se nel 2021, stando ai dati di un’indagine EU SILC, oltre un quarto della popolazione è a rischio povertà ed esclusione nel Mezzogiorno quel tasso sale al 41,2%. Tassi distanti anni luce del resto dell’Europa dove quell’incidenza tocca appena un quinto della popolazione.
Ma c’è di più. Si evidenzia ancora una volta il divario territoriale con le aree del Centro-nord che registrano un rischio di povertà ed esclusione al 17,4% pari a 6,8 milioni di cittadini contro gli 8,2 milioni delle regioni del Sud.
Scendendo poi nel dettaglio regionale, emerge che in Calabria su 1.844.586 residenti versano in condizioni di rischio povertà 758.285. Un numero che si traduce in un tasso pari al 41,1% – in linea con quanto avviene nel resto delle altre regioni – ma distante dal 25,4% della media nazionale.
Simmetrico anche l’andamento dell’incidenza della povertà assoluta, se nel 2021, il tasso in Italia resta sostanzialmente stabile pari al 7,5% (era al 7,7% delle famiglie nel 2020 mentre quella individuale resta al 9,4%), il dato peggiora nel Sud incrementando anche qui il divario territoriale.
In questo senso la Svimez, in una nota sottolinea, che «il dato nazionale sottende un miglioramento nelle regioni del Centro-Nord ed un sensibile peggioramento nel Mezzogiorno». Aspetti denunciati anche in un video, dal direttore della Svimez Luca Bianchi (in basso)
«All’interno di quest’area – scrivono – tuttavia aumenta decisamente la quota di persone per le quali la condizione di disagio è maggiore rappresentata dalle persone in povertà assoluta: le famiglie in povertà assoluta passano da poco meno di 800 mila nel 2006 a circa 2 milioni negli ultimi due anni (da circa 350 mila ad 800 mila nel Mezzogiorno). Le persone da circa 1,7 milioni a 5,6 milioni. Negli ultimi 15 anni il numero delle persone in povertà assoluta nel Mezzogiorno è più che triplicato passando da 780 mila circa del 2006 a 2 milioni 455 mila».
Un trend negativo che si è accentuato dunque nella fase acuta e poi post pandemia.
«Nel Mezzogiorno, dove le persone in povertà assoluta sono 2 milioni 455 mila (195mila in più rispetto al 2020) – affermano gli analisti della Svimez – si confermano le incidenze di povertà più elevate: il 12,1% per gli individui (in crescita dall’11,1%), il 10,0% per le famiglie (826 mila erano 775 mila il 9,3% nel 2020). Nel Centro-Nord scende al 6,4% per le famiglie era al 7% nel 2020 ed all’8,0% per le persone era all’8,6% nel 2020».
Così come il divario di disaggio si registra tra le famiglie con persona di riferimento occupata e l’incidenza della povertà assoluta. Se in Italia il tasso è sostanzialmente stabile, da 7,3% del 2020 a 7,0% (quasi 922mila famiglie in totale), a sintesi di un miglioramento per questo tipo di famiglie al Nord (da 7,9% a 6,9%) e di un lieve peggioramento nel Mezzogiorno (dal 7,6% all’8,2%). Stando ai dati elaborati della Svimez, ssono circa 280 mila le famiglie meridionali con persona di riferimento occupata ad essere in povertà assoluta. Un trend che sembra condannare sempre più al sottosviluppo e alla povertà chi già viveva in una condizione di disaggio. (r.desanto@corrierecal.it)
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