COSENZA C’è un filo sottile che lega i clan cosentini a quelli crotonesi. Un rapporto sinallagmatico come ha avuto modo di sottolineare il collaboratore di giustizia Daniele Lamanna. E’ il pentito ad entrare in contatto, in carcere, con Domenico “Mico” Megna, «potente capo incontrastato dei clan di Papanice». I due discutono di una controversia territoriale intercorsa tra i cosentini e i crotonesi, risolta grazie all’intercessione del boss papaniciaro. La questione verteva sul territorio di San Giovanni in Fiore, appartenente geograficamente alla provincia di Cosenza ma, di fatto, sotto l’operatività delle cosche crotonesi soprattutto per quanto attiene le aste boschive. La controversia viene risolta ed il territorio di San Giovanni in Fiore (ri)diventa “cosentino”, ma la trattativa si chiude con un accordo, ovviamente legato al denaro: il 50% di ogni affare illecito sarebbe stato versato ai clan federati del capoluogo.
Daniele Lamanna, in un verbale del 4 ottobre del 2016, racconta di essere detenuto nell’alta sicurezza del carcere di Cosenza insieme a Mario Gatto che come lui «era nelle condizioni di parlare con Mico Megna». E’ il 2011, «quando sopraggiunse Mario Piromallo che venne allocato alla media sicurezza e ci portò un’imbasciata importante: Patitucci, Gentile, D’Ambrosio, Lanzino e Presta lo avevano incaricato di dire a Mico Megna che doveva lasciare a noi cosentini l’area di San Giovanni in Fiore perché era in provincia di Cosenza per cui doveva essere controllata dalla cosca confederata», racconta Lamanna. I vertici della cosca confederata cosentina erano infastiditi dal fatto che isolitani, petilini e papaniciari controllavano le aste boschive a San Giovanni in Fiore «senza darci conto». Sarà proprio Mico Megna a riferire a Lamanna e Gatto «che avrebbe dato ordine a “U Monaco” di Campana (che evidentemente gestiva l’affare dei boschi per suo conto) di rispettare noi cosentini e diceva pure che avrebbe organizzato un incontro tra i cosentini e “U Monaco”». Lamanna esce dal carcere ma prima di occuparsi della controversia con i crotonesi, è costretto a risolvere la vicenda relativa all’omicidio del suo “amico” Luca Bruni. «Mi rioccupai di questa vicenda nel febbraio-marzo del 2012, dove constatai che i cosentini non avevano incontrato “U Monaco”. Tramite Umberto Di Puppo, che a sua volta poteva contare sui rossanesi incontrai “U Monaco” a Rende insieme ad Adolfo Foggetti e si limitò a dire che non aveva incontrato i cosentini perché non era riuscito a contattarli», precisa Lamanna. Il racconto prosegue. «Organizzammo un primo incontro che si svolse lungo la strada che porta al Lago Ampollino, in una vecchia baita. Ricordo la partecipazione oltre che di noi cosentini di tale “Topolino” che ricordo essere su una sedia a rotelle e di una persona alta, robusta, dalla carnagione scura, stempiato, oltre al “Monaco”. Nel corso di questo primo incontro si convenne delle nostre ragioni per cui San Giovanni in Fiore rispondeva a noi».
Dopo aver ripreso in mano il controllo di una porzione del territorio silano, Lamanna riferisce di aver appreso da Maurizio Rango, della nomina quale «reggente in San Giovanni in Fiore di Giovanni Spadafora che era detenuto con lui. Successivamente, da Roberto Porcaro, Umberto Di Puppo, Adolfo D’Ambrosio sono venuto a sapere che Giovanni Spadafora era entrato in contrasto con un altro Spadafora, che era diventato amico di Mario Piromallo col quale aveva avuto comune detenzione presso la casa circondariale di Cosenza». I clan si adoperano per risolvere la controversia, «perché per Giovanni Spadafora propendeva Rango, per l’altro Spadafora gli “Italiani”».
I boschi portano danari e sull’affare è forte l’interesse sia dei clan cosentini e sia delle ‘ndrine crotonesi. Sul punto Lamanna riferisce quanto a sua conoscenza. «D’Ambrosio aveva una ditta boschiva a lui vicina alla quale faceva aggiudicare gare boschive per cui aveva interesse diretto che noi cosentini non fossimo scavalcati dai crotonesi». E’ il 2012, e a San Giovanni in Fiore si tiene un altro incontro. «Non ricordo dove si tenne questo incontro – precisa Lamanna – per i crotonesi c’era un tale Iona, il quale ci disse che le cosche crotonesi stavano gestendo le aste boschive da tanti anni, ci avevano lavorato tanto per cui occorreva che non ci fossero rigidità da parte nostra nel senso che avremmo dovuto tollerare che imprese vicine alle cosche crotonesi potessero sforare in agro di San Giovanni in Fiore. La vicenda si chiuderà con un accordo che accontenterà entrambe le fazioni. «San Giovanni in Fiore rimaneva un nostro territorio – chiosa Lamanna – e Spadafora, quello vicino a Piromallo, avrebbe dovuto passare a noi cosentini il 50% dei proventi di ogni affare illecito».
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