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«Il maxi-processo, il requiem delle garanzie dell’imputato»

La Camera penale di Catanzaro “Alfredo Cantafora” in un documento a riscontro di una nota del tribunale di Vibo

Pubblicato il: 18/10/2022 – 19:40
«Il maxi-processo, il requiem delle garanzie dell’imputato»

CATANZARO «Aule bunker: centri di raccolta temporanea di imputati che assistono alla lenta agonia dei propri diritti, calpestati come è calpestata la prova letta e non più vissuta da giudici chiamati a giudicare non più una Persona, ma un’immagine, un inespressivo punto informe, finanche privato di un’anima». Lo scrive la Camera penale di Catanzaro “Alfredo Cantafora” in una nota firmata dal presidente Valerio Murgano e dal segretario Francesco Iacopino. La nota, dal titolo “Il maxi-processo. Il requiem delle garanzie dell’imputato”, è indirizzata tra gli altri al presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, al procuratore generale presso di Catanzaro, al presidente del Tribunale di Vibo Valentia, al presidente e alla Giunta dell’Unione delle Camere Penali. Il documento – spiegano i dirigenti della Camera Penale “Cantafora”  – «è stato redatto a riscontro della nota del tribunale collegiale di Vibo Valentia del 13 ottobre» nella quale si evidenziava che «il Collegio rileva che è presente in aula un solo difensore, che non può assumere la difesa d’ufficio di tutti gli imputati a causa di situazioni di incompatibilità rappresentate alle stesse udienze dagli stessi difensori. Dà altresì atto che alle ore 9.54 e 9.56 quando ancora non era presente alcun difensore, era stata disposta la nomina tramite call center di due difensori, che non hanno ancora raggiunto l’aula. Il collegio sottolinea la necessità do garantire la difesa di tutti gli imputati e chiede che sia sempre garantita la presenza di almeno due difensori che possano assumere la difesa di ufficio in considerazione delle situazioni di incompatibilità rappresentate”».

«Grido d’allarme inascoltato»

La Camera Penale “Cantafora” esordisce: «Correva l’anno 2020, era il 28 settembre, e le Camere Penali di Catanzaro e Vibo Valentia, con un documento congiunto titolato “il diritto di difesa alla prova del processo del secolo”, avevano compreso che il processo denominato “Rinascita Scott” sarebbe stata l’ennesima sterilizzazione del diritto di difesa e -con esso- dei diritti degli imputati a ottenere un giusto processo in tempi ragionevoli.  Eppure – spiega la Camera Penale Cantafora – era stato definito il processo del secolo. Ma … di quale secolo ? Lo avevamo scritto: “un processo ‘simbolo’, che rappresenta plasticamente la fase recessiva che attraversa il diritto di difesa e il definitivo sopravvento delle istanze di difesa sociale sulle esigenze di tutela delle libertà individuali, con conseguente stabilizzazione – anche culturale – dell’ideologia populista e del modello di diritto penale massimo, autoritario, repressivo, del nemico”. Era un grido d’allarme dei penalisti calabresi, di quelle toghe che, con abnegazione e senso di responsabilità, come una missione, hanno continuato a consentire, in nome dei diritti e non di prerogative, la migliore riuscita possibile di un processo impraticabile. Ma tale forte senso di responsabilità è stato presto dimenticato dalle stesse istituzioni, le quali hanno persino allontanato l’Avvocatura da quel feticcio di populismo giudiziario chiamato aula bunker, ritenendo che le Toghe potessero minare alla sicurezza di alcune parti del processo. Ma, ancora una volta, l’Avvocatura penalista calabrese, responsabilmente, prima di assumere ogni iniziativa divisiva, riteneva il confronto una soluzione istituzionalmente adeguata. Dimenticando, però, che, alle nostre latitudini, gli Avvocati non meritano risposta, figuriamoci un incontro. Sono seguiti stato di agitazione unitaria dell’Avvocatura calabrese, astensione dalle udienze, manifestazione pubblica a Lamezia Terme. Nessun moto rivoluzionario, ma dignità, ossia il riconoscimento del diritto di avere diritti. Un unico obiettivo: aprire un dibattito proficuo tra gli attori della giurisdizione finalizzato a garantire (tra i tanti temi vitali della giurisdizione) anche il regolare e civile svolgimento del processo Rinascita-Scott. Secondo la Camera Penale “Cantafora” è trascorso ancora altro tempo. Oramai troppo per non prendere atto che il maxi-processo del secolo è geneticamente in antitesi con il sistema processuale accusatorio che contraddistingue il nostro ordinamento penale. Straripamento dagli argini procedurali eretti dagli artt. 17 e 371 c.p.p., a presidio della garanzia di funzionamento del processo. Annientamento dei presidi costituzionali inossidabilmente impressi negli articoli 24 Cost. (diritto di difesa) e 111 Cost. (giusto processo). Causa ed effetto del disfacimento dello Stato di Diritto».

«Si ripristini lo Stato di diritto vilipeso»

La Camera Penale di Catanzaro aggiunge: «Come è stato efficacemente ricordato in un recente e illuminante documento della Camera Penale di Cosenza “l’anomalo utilizzo giudiziario degli istituti del coordinamento e della riunione, delle indagini e dei processi, determina gravi ricadute costituzionali in termini di durata (ir)ragionevole del processo nonché di alterazione e ingestibilità delle regole poste a garanzia degli indagati-imputati, con effetti devastanti per l’attività giudiziaria sia nella fase immediatamente successiva all’eventuale applicazione di provvedimenti cautelari, sia dell’intero procedimento. Ed ancora, “ritenuto che il maxi-processo è, nell’esperienza giudiziaria, stravolgimento di tutte le regole del diritto penale liberale e del processo accusatorio, poiché costituisce vero e proprio processo speciale: (-) celebrato in aule di giustizia definibili “centri di raccolta temporanea di imputati”, denominati -in questa strana epoca di pace- “Aule Bunker”, così da conferirne l’immagine di una fortificazione militare, all’interno della quale riuscirà molto difficile, per il cittadino della cosiddetta “società civile”, pensare che, “in nome del popolo italiano” si starà giudicando una Persona presunta innocente”. Il gigantesco processo – proseguono Murgano e Iacopino –  ha annientato le condizioni per l’esercizio ordinato della giurisdizione e lo spazio per l’affermazione dei suoi valori non negoziabili. In tali condizioni, al difensore non è rimasto che rendere testimonianza dei diritti che rappresenta più che il concreto esercizio delle prerogative del suo ruolo; e l’ha fatto con senso di abnegazione, anche quando le condizioni minime di agibilità della sua prestazione sono venute meno. Il gigantismo del maxi processo, coniugato al tecnicismo efficentista, pretende ritmi insostenibili con l’obiettivo di “esaurire la pratica” prima che siano scaduti i termini massimi di custodia cautelare per i numerosi imputati detenuti. A costo di annientare la dignità delle persone che prestano la loro doverosa, quanto necessaria, opera. Ed allora, qual è la soluzione ? Si deve riprendere un cammino di dialogo istituzionale in cui si antepongano le guarentigie che connotano l’agire dei tutori del diritto di difesa, delle toghe. Che si ripristini presso quell’aula lo Stato di Diritto vilipeso!». (redazione@corrierecal.it)

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