COSENZA Confermate le ipotesi di gravi responsabilità diagnostiche ed assistenziali in capo ai sanitari dell’Ospedale di Cosenza che ebbero in cura per oltre un mese un medico di 51 anni in servizio presso l’Asp di Cosenza che si era rivolta al Pronto Soccorso dell’Annunziata nell’aprile del 2017 per un gonfiore al piede (linfedema) per poi essere inviata per le gestione della patologia al servizio di dermatologia dello stesso ospedale dal quale venne dimessa subito dopo essere stata sottoposta ad una veloce visita ambulatoriale. Il Tribunale di Cosenza ha confermato condannando l’Azienda Ospedaliera di Cosenza a risarcire centinaia di migliaia di euro per le gravi responsabilità indicate dai consulenti dell’avvocato Massimiliano Coppa: si tratta dei professori Vincenzo Pascali, ordinario di Medicina Legale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – Policlinico Gemelli e Massimo Fantoni, Responsabile Unità di Consulenza Infettivologica Coordinatore Antibiotic Stewardship Team Istituto di Clinica delle Malattie Infettive del Policlinico Gemelli Università Cattolica del Sacro Cuore, che qualificarono come «altamente difettuale ed omissiva la condotta dei sanitari che ebbero in cura la dottoressa che si era rivolta al nosocomio cosentino».
La dottoressa era afflitta da forti dolori al piede accompagnati da una secrezione e nonostante ciò non fu ricoverata ma inviata a domicilio. Il giorno seguente una collega del medico chiamò il 118, a causa del peggioramento delle condizioni. La donna venne ricoverata in ospedale dietro le forti insistenze dell’amica (medico), e dei sanitari del 118 che constatata la gravità della situazione rappresentarono a chi in quel momento era di turno in ospedale che, se non fosse intervenuto il ricovero, sarebbero stati interessati della vicenda i carabinieri. Il Tribunale ha censurato l’operato dei sanitari che ebbero in cura la dottoressa precisando che nella «fase di degenza ogni consulenza ha innescato un “meccanismo di rimando ad altro consulente”, mentre la paziente scivolava verso lo shock settico e l’evento morte senza accedere in sala operatoria per un intervento salva vita….. registrandosi una prolungata inerzia terapeutica…». Fu la stessa paziente, avendo le competenze mediche, a richiedere l’amputazione dell’arto ai suoi colleghi. Conosceva bene gli effetti della patologia ma nessun intervento non fu mai effettuato. (f. b.)
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