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l’udienza

Rinascita Scott, l’odissea di Vanya nella morsa della ‘ndrina di Pizzo

La dipendenza del compagno dall’eroina. Le vessazioni di Luca Belsito e Salvatore Mazzotta. La pistola puntata alla testa davanti alla figlia piccola. I macchinari venduti per dare i soldi agli spa…

Pubblicato il: 19/10/2022 – 7:01
di Alessia Truzzolillo
Rinascita Scott, l’odissea di Vanya nella morsa della ‘ndrina di Pizzo

LAMEZIA TERME Avrebbero potuto essere una coppia felice e prospera Vanya e Giuseppe. Ma fin dagli inizi la loro storia è stata stritolata dal cappio dell’eroina, dalla quale lui era dipendente, e dal morso delle ‘ndrine di Pizzo che fornivano la droga e con fare minaccioso pretendevano il pagamento di somme ingenti.
La storia di Vanya Danova Lekov e di Giuseppe Colafato, la racconta – durante il processo Rinascita Scott – colei che ha denunciato ogni cosa, Danova, che nel 2017 ha preso il coraggio e si è presentata dai carabinieri rompendo tutti i ponti con una vita fatta di duro lavoro e vessazioni. E troncando anche il rapporto con l’uomo dal quale ha avuto tre figli ma che continuava a restare schiavo dell’eroina e dei suoi spacciatori.

«Avevo voglia di andare via»

Vanya Danova, assistita nel corso del processo dall’avvocato Caterina De Luca, è arrivata a Pizzo dalla Bulgaria nel 2001. Ha talento per il cucito, la cucina ed è una grande lavoratrice. Incontra Giuseppe Colafato, figlio del proprietario di un bar-gelateria ben avviato a Pizzo. Nel 2002 nasce già il loro primo figlio ma Giuseppe è strano. «Si chiudeva sempre in bagno, spariva, non si confidava», dice Danova rispondendo alle domande del sostituto procuratore Antonio De Bernardo. Lei ha conferma che lui sniffa eroina perché trova le tracce in bagno. Giuseppe Colafato confessa la propria dipendenza, si iscrive al Sert. Ma non serve a niente. Il bar-gelateria lo vende e investe nella pizzeria “Rebus”. «L’attività rendeva bene perché lui era bravo – racconta Danova – ma spariva spesso e io lo dovevo sostituire».
«La destinazione dei soldi?», chiede il pm.
«Suppongo droga», dice Vanya Danova.
Il primo arresto avviene nel 2004: i carabinieri gli trovano la droga in casa, nell’armadietto del bagno.
Archiviato il Rebus, nel 2006 creano una nuova attività, una rosticceria-pizzeria-gelateria di nome Azimut della quale Danova è titolare.
Lui però continua a drogarsi e viene arrestato più volte. I soldi sono la sua ossessione insieme alla paura nei confronti dei suoi spacciatori.
Ne ha così paura, spiega Danova, che pochi mesi dopo la nascita del figlio, Colafato, che aveva un debito di 2000 euro coi suoi spacciatori, dice alla compagna che se non fosse stato in grado di pagare lei avrebbe dovuto andare via col figlio perché la situazione era pericolosa. In mezzo, prima dell’apertura di Azimut, c’è stato anche un trasferimento a Milano dove Colafato lavorava in un pastificio Giovanni Rana e Danova in una sartoria mentre il figlio era rimasto con la sorella di lui. Ma la cosa non è durata che cinque mesi, sempre per colpa della droga.
Quando anche Azimut è stato venduto le cose per Vanya Danova sono perfino peggiorate.
«Avevo voglia di andare via», racconta in aula la teste. Ma Danova, allo stesso tempo, era spaventata dal fatto che potessero portarle via il figlio se avesse raccontato la situazione di tossicodipendenza che viveva in famiglia.

L’incubo della sartoria e la comparsa di Luca e Salvatore

Nel 2011 nasce il secondo figlio. Danova lavora come sarta, da casa. Fa lavori per matrimoni ma non ha attrezzature. Colafato ha sempre bisogno di soldi, tanto che in una occasione vende persino una macchina da cucire che lei aveva chiesto in prestito.
Nel 2016 ottiene un finanziamento da Fincalabra e apre una sartoria con otto macchine. I primi incassi vanno bene «ma il mio ex è partito di testa – dice Danova – voleva degli assegni». Le cifre salgono progressivamente: 100  euro, 200 euro, 500, 900…
Lei compilava la cifra e la data, il destinatario lo metteva il compagno.
Se lei si rifiutava di firmare assegni lui minacciava di dare fuoco all’attività.
È con l’apertura della sartoria che compaiono le figure di Luca Belsito, classe ’90, e Salvatore Mazzotta. Sono loro i protagonisti in episodi violenti davanti agli occhi di Vanya Danova e, in una occasione, anche della terza figlia, nata nel 2014.
La teste racconta di avere consumato tre libretti di assegni della Bcc di San Calogero. Dopodiché il direttore, subodorando qualcosa di anomalo, non le consegna altri libretti d’assegno. Giuseppe Colafato le fa aprire un conto Banco Posta. Si continuano a emettere assegni «per Luca». E se Danova chiedeva perché, il compagno le rispondeva «tu non ti preoccupare, io so cosa faccio».
Danova racconta di avere emesso assegni per 10mila euro dal conto Bcc e per 16mila dal Banco Posta.

La vendita della macchina ricamatrice

Mentre lei staccava assegni, il compagno sottraeva denaro anche dal conto corrente, tanto da prosciugarlo. Dopo avere esaurito due libretti, Banco Posta dà qualche difficoltà nell’emettere il terzo. Vanya Danova si reca in Posta. Mentre va riceve la telefonata di Salvatore (la teste li chiama quasi sempre per nome, ndr) che le chiede se si è procurata il terzo libretto. Lei riesce ad avere il terzo libretto e riprende a staccare assegni.
L’arroganza e il potere che queste persone avevano sulla vita della coppia si manifesta un giorno che Luca Belsito si presenta nel negozio «con un sorrisetto, si siede e chiede “quanto costa questa macchina? E questa?”».
Ad aprile 2017 si presentano in sartoria Luca e Salvatore. Chiedono conto degli assegni. Danova dice che il libretto è a casa. Luca dà uno schiaffo a Colafato. Non prosegue con la violenza perché Salvatore lo ferma.
Non ci sono soldi e quindi il risultato è che la donna è costretta a vendere per 600 euro la macchina ricamatrice che costava 2.500 euro.
Vanno a prenderla Luca e Onofrio che commentano anche il fatto: «Che peccato». Il compagno si fa dare anche 10 euro per la benzina perché la ricamatrice va portata a Lamezia Terme.
Qualche giorno dopo Luca chiede di Colafato. Lei dice che è a casa con la bambina. L’uomo non si fa scrupolo di andare a casa della coppia e puntare una pistola alla tempia di Giuseppe Colafato davanti alla piccola, intimandogli di trovare i soldi.

Toccare il fondo e denunciare

La situazione è sempre più tesa. Colafato, racconta la teste, continua a prosciugare il conto, ruba le telecamere a infrarossi della sartoria e «usa più spesso la droga». «Era aggressivo anche col figlio più grande», dice Danova.
Un giorno Luca si presenta da Vanya Danova. Le dice che il rapporto col compagno si è interrotto. «Adesso io me la vedo con te. Tu devi pagare per lui». Lei gli risponde che può dargli 100 euro alla settimana. Gli assegni erano stati protestati perché il conto era stato prosciugato.
La misura è colma.
Il 25 settembre 2017 Vanya Danova si reca dai carabinieri per denunciare tutto quello che le è accaduto. Da allora comincia a registrare gli incontri e tutto ciò che può dimostrare l’estorsione che sta subendo da parte di Luca Belsito e Salvatore Mazzotta.
I due sono accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Luca Belsito è stato condannato a 16 anni di reclusione nel processo di primo grado col rito abbreviato. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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