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Don Rocco e il Berlusconi del Canavese, “stranieri” in Piemonte all’ombra della ‘ndrangheta

Le storie parallele (e i legami con i clan calabresi) di due imprenditori di successo. E dei territori che hanno conquistato: Bardonecchia e Leinì, unite dall’onta dello scioglimento per mafia

Pubblicato il: 20/10/2022 – 6:39
di Paride Leporace
Don Rocco e il Berlusconi del Canavese, “stranieri” in Piemonte all’ombra della ‘ndrangheta

Marina di Gioiosa Jonica, 1953, un giovane prende il treno per trasferirsi in Piemonte e andare a fare il manovale. Si chiama Rocco Lo Presti.
Ha deciso di lasciare la Calabria, gli ulivi lussureggianti, le siepi carnose dei fichi d’India per raggiungere i panorami tra le nebbie del boom di tanti palazzi in costruzione. Quel manovale non vuole restare uno che porta i materiali ai muratori.
Un lustro prima a Bagnaro di Grauro, provincia di Venezia. Povertà come quella di Calabria. La famiglia di Nevio Coral emigra verso il ricco Piemonte del Nord Ovest. Nelle discariche della Bassa di Stura, Nevio recupera mattoni usati per costruire una modesta casa nella frazione Bertolla di Torino. Lo scriverà nella biografia della sua azienda di successo nel Canavese decenni dopo.
Questa è la storia di Rocco Lo Presti e Nevio Coral. Due imprenditori di successo uniti da vicende legate alla ’ndrangheta. E dei paesi piemontesi da loro conquistati e assurti all’onore della cronaca nera per essere stati sciolti per infiltrazione mafiosa.

Bardonecchia: “Don Rocco” contro il sindaco della Dc

Nel 1962 il figlio dei contadini calabresi arriva a Bardonecchia, località turistica invernale che fa prolificare seconde case e alberghi per amanti dello sci delle metropoli del Nord. Ad un anno dal suo arrivo il segretario della locale sezione della Dc ed esponente della Cisl viene picchiato. Uno strano episodio. Vengono fermati due muratori calabresi. Uno è il cognato di Lo Presti, Francesco Ursino. Il democristiano Mario Corino è un maestro. In paese si è messo a denunciare la speculazione edilizia dilagante e lo spregiudicato uso del cottimo nei cantieri. La vicenda finisce negli archivi giudiziari con una denuncia. Corino diventerà sindaco negli anni Settanta e le strade con Lo Presti si tornano a incontrare nei tribunali come documenta qualche vecchia foto in Rete.

PROCESSO | Il sindaco Corino testimonia in aula contro Rocco Lo Presti (da Wikipedia)

Un fascicolo giudiziario enorme ma zeppo di informazioni riservate e confidenziali che non approdano mai a sentenze. Lo Presti è diventato un imprenditore edile che recluta calabresi da far lavorare con il caporalato e che popolano Bardonecchia durante il boom edilizio della Val Susa.
Aiuta la cronaca dei giornali a capire il contesto. Quando gli nacque il primo figlio Lo Presti organizzò una grande festa al Riky Hotel di Bardonecchia. Arrivò una fila interminabile di Bmw, Mercedes, anche delle Limousine. Cantò anche Mino Reitano. Il Dom Perignon scorse a fiumi. Si racconta che “don Rocco” ne prese due bottiglie e le lanciò fuori dal locale, sull’asfalto, gridando: «Bevine anche tu, sindaco Corino, ma da sdraiato».

Il primo Comune del Nord sciolto per mafia

Don Rocco, ancora presunto boss, si guadagna un soggiorno obbligato all’Asinara. Intanto la sua attività di imprenditore aumenta e apre un ristorante, una pescheria, una discoteca, e un negozio di abbigliamento. E i calabresi votano per le amministrazioni locali.
Nel 1991 un commissario di polizia, Pierluigi Leone, arriva a Bardonecchia e mette gli occhi sui lavori di Campo Smith. Un investimento di cinquanta miliardi di lire per impianti residenziali ai piedi dei campi da sci. Lo Presti è braccato. Ma Leone viene stranamente trasferito. Le leggi, però, e l’attenzione sociale sono cambiate. Nel 1995 la Commissione d’accesso rivela la commistione di affari e scioglie il comune. Bardonecchia è il primo municipio del Nord ad avere la stessa sorte di Taurianova e Platì. Nessuno lo aveva immaginato. Per don Rocco Lo Presti inizia la china discendente.

Il “Berlusconi del Canavese”

Otto anni dopo lo stesso provvedimento viene adottato a Leinì, poco conosciuto comune del Torinese, per altra infiltrazione con la ’ndrangheta calabrese. Tutto è nato attorno al ruolo di Nevio Coral, il figlio di emigrati veneti che a Leinì ha fatto il sindaco per lunghi anni, poi ha dato la poltrona al figlio Ivano e nel frattempo anche la nuora diventa assessore regionale molto chiacchierata.

Nevio Coral

Troppo disincantato Nevio nel dire al telefono agli uomini affibbiati: «Il principio che dobbiamo adottare è la creazione di un gruppo: ne mettiamo uno in municipio, uno in consiglio comunale, uno alla pro loco e così diventiamo un gruppo forte».
Si faceva chiamare “il Berlusconi del Canavese” quando per anni, oltre dieci, coniugava l’attività di imprenditore con la politica, da primo cittadino di Leinì. Era il 1994, Forza Italia lo aveva lanciato come “uomo nuovo”. Poi, nel 2011, la batosta. L’arresto per ’ndrangheta, insieme ai 150 imputati del maxi-processo Minotauro. C’è anche il patron del gruppo Coral. La società fondata nel 1958 da papà Orfeo, al quale nel corso del 1964 succederanno i tre figli Erminio, Nevio e Luciano Coral. Ancora oggi somma fatturati a molti zero con ventitré società specializzate nell’aspirazione e filtrazione dell’aria, nella depurazione dell’acqua e nel trattamento del rumore.

Quando il boss torinese diceva: «Nevio l’ho fatto io»

Nevio genio dell’impresa infervorato dalla politica verrà condannato a otto anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Non si era fatto scrupolo a chiedere voti alle persone sbagliate. Parlava di appalti, affari di fronte a quelli che lui chiamava imprenditori, ma che erano persone con svariati precedenti penali, arrestate poi nell’operazione Minotauro.
«Nevio l’ho fatto io», diceva Giuseppe Gioffrè, un boss della ’ndrangheta di Torino.
Nonostante l’avvocato Bongiorno, con la condanna definitiva i giudici non avevano creduto alla buona fede del patron motivando così la sentenza: «Nel corso degli anni la consorteria ha potuto giovarsi degli appalti della galassia Coral, con criteri di spartizione governati nell’ottica e nell’aspirazione di un monopolio».

CONDANNE | La lettura della sentenza di primo grado del processo “Minotauro”

Nevio Coral ha finito di scontare la sua pena tra malattie in carcere e arresti domiciliari. In azienda l’hanno sostituito con i giovani di famiglia, la politica è un ricordo lontano per il giovane che da una baracca aveva conquistato un impero.
Rocco Lo Presti invece è morto nel gennaio del 2009 nell’infermerie delle carceri di Torino vecchio e malato, a poche ore da una sentenza definitiva che gli chiedeva conto di uno dei pochi reati accertati e con una sentenza letta in una clinica dove si trovava con una flebo al braccio.
Nel 2006, nel ristorante del suo nipote prediletto, a Bardonecchia, ormai già malato, raccontò a due cronisti, che volle personalmente incontrare dopo l’ennesima indagine, la “sua” verità: «…Ho dato lavoro a migliaia di uomini, ho cambiato questa valle, l’ho fatta ricca. Ho fatto affari, a volte ho perso e a volte ho vinto. Mi odiano solo per invidia, sono sempre uno straniero, io».
Un calabrese e un veneto emigrati di successo in Piemonte. Due comuni sciolti per mafia. Nel profondo Nord della ’ndrangheta. (redazione@corrierecal.it)

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