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il rogo a catanzaro

La tragedia nel “Bronx” del capoluogo: il dramma del quartiere-ghetto

Le baraccopoli smantellate per la visita del Papa, lo spaccio in pieno giorno e il degrado. Storia della “zona franca” dimenticata da tutti

Pubblicato il: 22/10/2022 – 11:38
La tragedia nel “Bronx” del capoluogo: il dramma del quartiere-ghetto

CATANZARO Bronx o ghetto. Le definizioni si sprecano per la zona a sud di Catanzaro, compresa fra il quartiere Lido del capoluogo calabrese e il centro, dove nella notte si è consumata la tragedia costata la vita a tre ragazzi morti nel rogo del loro appartamento. Un agglomerato costituito dai quartieri Aranceto, Pistoia e Corvo, diventato negli anni preda del degrado e della criminalità. Comune e Aterp vi hanno realizzato edifici di edilizia popolare in cui vivono le famiglie più indigenti della città. Un’area in cui sono diffusi elementi di degrado tipici di realtà urbane anche più grandi del capoluogo della Calabria: spaccio di droga, case occupate abusivamente, allacci illegali alla rete elettrica, arsenali di armi e traffici di ogni tipo. L’area attraversata da viale Isonzo, a sud di Catanzaro, è territorio dalla criminalità rom che ne ha fatto una centrale di smercio della droga; il quartier generale di una criminalità riconosciuta dalla ‘ndrangheta come attestano molte inchieste della magistratura, praticamente sottratta al controllo dello Stato. Una “zona franca” il cui accesso è difficile anche per le forze dell’ordine. Lo spaccio di droga avviene quasi alla luce del sole; spesso è gestito da coppie che si nascondono dietro ai figli, occultando loro addosso lo stupefacente se non addirittura utilizzandoli come vedette o spacciatori.

La nascita del quartiere ghetto per “nascondere” le baraccopoli

Smantellate, in fretta e furia, nel 1984, le baraccopoli costruite nei quartieri a sud della città per nascondere il degrado a Papa Giovanni Paolo II, in visita nel capoluogo calabrese, ai nomadi, ormai stanziali, furono assegnati gli appartamenti. La polvere fu nascosta sotto i tappeti, ma non fu rimossa. L’integrazione non ci fu e in breve i palazzi di località Pistoia diventarono luogo di riferimento delle attività illecite che si svolgono nel capoluogo calabrese, un tempo considerato “isola felice” in un contesto regionale in cui la ‘ndrangheta era già radicata. La comunità rom di Catanzaro si formò negli anni Sessanta, con l’arrivo di nomadi dall’ex Jugoslavia, collocati in accampamenti nella zona sud del capoluogo calabrese. Circa 6.000 persone ormai stabilmente insediate in città.
Il campo più grande era quello del quartiere Lido, posizionato a pochi metri dalla stazione ferroviaria, in un’area oggi trasformata in un centro polivalente. Baracche visibili a tutti che negli anni ottanta richiamarono l’attenzione dell’allora attaccante del Milan Mark Hatley. Passando in pullman con la squadra impegnata in un’amichevole contro il Catanzaro, il calciatore descrisse in un diario la situazione sollevando polemiche. L’idea della politica locale fu quella di smantellare l’insediamento, diventato insostenibile dal punto di vista igienico, ma anche sotto l’aspetto della sicurezza. A molte famiglie furono assegnate le case popolari di viale Isonzo, zona diventata territorio franco all’interno della città.

La nascita del quartiere ghetto per "nascondere" le baraccopoli

Bunker e depositi di auto rubate nella zona franca del capoluogo

Le operazioni delle forze dell’ordine hanno permesso di individuare l’esistenza di veri e propri bunker chiusi da sbarre, controllati da sentinelle o da telecamere, divenuti luoghi di spaccio oltre che deposito di autoveicoli rubati. Gli appartamenti realizzati dall’Aterp sono stati spesso vandalizzati, in molti casi sottratti agli assegnatari che hanno dovuto fare le valige; le aree circostanti ridotte a discariche di rifiuti e carcasse di automezzi. Operazioni della Dda hanno dimostrato l’evoluzione delle bande rom: da manovalanza composta da semplici associazioni di spacciatori a vere e proprie organizzazioni riconosciute dalla ‘ndrangheta. Secondo il procuratore capo della Dda catanzarese, Nicola Gratteri, agli ex nomadi le ‘ndrine hanno subappaltato il traffico di droga, ma nel business ci sono pure le estorsioni, soprattutto quelle legate al “cavallo di ritorno”, cioè ai furti d’auto restituite dietro il pagamento di tangenti. Nel quartiere non sono mancati negli anni omicidi legati a faide locali. (Agi)

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