COSENZA Mario Tarsitano, di 26 anni, morì per una condotta difettuale dei sanitari di Cosenza che non effettuarono approfondimenti diagnostici e non diagnosticarono per tempo l’embolia polmonare del giovane approntando tutte le misure necessarie commisurate ai sintomi, inviandolo immediatamente presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Cosenza e dopo la sua morte non si poté effettuare l’autopsia perché le celle frigorifere dell’Obitorio dell’Ospedale di Cosenza non funzionavano. Il Tribunale di Cosenza ha pronunciato la sentenza, confermando le responsabilità dei sanitari che ebbero in cura il giovane, probabilmente statuendo un precedente giudiziario non di poco conto su sollecitazione del difensore della famiglia Tarsitano, l’avvocato Massimiliano Coppa, ed espressamente riferibile alla lesione del sentimento di pietà per i defunti oltre che della dignità della persona, posizioni soggettive di sicuro rilievo costituzionale che avrebbero dovuto mantenere integro il corpo appartenuto in vita al giovane per l’autopsia disposta dalla Procura di Cosenza, ma che – al contrario – fu accertato dalla Polizia Scientifica di Cosenza non essere così.
La famiglia del giovane, assistita dall’avvocato Massimiliano Coppa, ha scelto per la lunga battaglia giudiziaria in sede civile e penale come propri consulenti Pietrantonio Ricci, Ordinario di Medicina Legale dell’Università di Catanzaro, Francesco Alessandrini, Ordinario di Cardiochirurgia del Policlinico Gemelli di Roma ed Vincenzo Pascali, Ordinario di Medicina Legale dell’Università Cattolica Policlinico Gemelli di Roma e Fabrizio Coscarelli i quali hanno seguito passo passo tutte le varie fasi dei procedimenti culminati, proprio sulla scorta della peculiarità della vicenda, in un cospicuo risarcimento. Tali motivi hanno indotto il Tribunale di Cosenza a statuire che «…a causa del malfunzionamento dell’impianto di climatizzazione e del guasto della cella frigorifera, la salma del loro congiunto non veniva adeguatamente custodita ed anzi il 18.06.2013, data in cui i Consulenti de PM si recavano presso l’obitorio dell’A.O. di Cosenza per eseguire la disposta autopsia, si riscontravano segni avanzati di fenomeni putrefattivi non coerenti con l’epoca dell’avvenuto decesso (circa 72 ore prima).…l’Ao di Cosenza non ha contestato la suddetta circostanza in fatto, che tra l’altro emerge dagli atti, ma ha solo evidenziato che è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere nei confronti dei soggetti responsabili della struttura convenuta in ordine al reato di cui all’ art. 328 c.p. nell’ambito del procedimento penale n 4678/2013 R.G.N.R (5394/2014 gip Tribunale di Cosenza). Tuttavia, tale pronuncia, i cui effetti non sono vincolanti nel giudizio civile ai sensi degli artt. 654, 652 e 651 c.p.p., tra l’altro non prodotta in atti, secondo quanto prospettato dall’Ao di Cosenza nella comparsa di costituzione, non ha escluso il dato relativo al malfunzionamento delle celle frigorifere, ma unicamente che tale circostanza non potesse imputarsi all’ing. De Marco ai sensi dell’art 328 c.p.. Alla luce delle emergenze istruttorie (rel. CTPM; annotazione del 18.06.2013, Questura di Cosenza; verbale s.i. di persona informata sui fatti Francesco De Rose; provvedimento sequestro conservativo) relative alle condizioni di malfunzionamento delle celle frigorifere che non consentivano una adeguata conservazione del cadavere, si ravvisa la violazione da parte della Struttura convenuta dell’obbligo di custodia conseguente alla presa in consegna del corpo di Mario Tarsitano, obbligo che si protraeva fino al momento della riconsegna della salma ai congiunti ai fini della sepoltura…..esiste, infatti, nella fattispecie concreta, una responsabilità extracontrattuale, di natura omissiva, in capo all’Azienda Ospedaliera di Cosenza, in considerazione dell’obbligazione ex lege esistente in capo alla stessa, ai sensi dell’art. 13 del D.P.R. 285/1990, in particolare, quella relativa al deposito per un periodo indefinito dei cadaveri a disposizione dell’autorità giudiziaria per autopsie giudiziarie e per accertamenti medico – legali, riconoscimento e trattamento igienico – conservativo. In base a tale norma, pertanto l’Azienda Ospedaliera di Cosenza, presso cui possono essere costituititi gli obitori (art 14), doveva assicurare la conservazione delle salme durante il periodo di deposito, al quale è tenuto ai sensi della norma di legge citata. Nel caso di specie, la gestione della struttura dell’obitorio non ha posto in essere le dovute misura idonee alla corretta conservazione del cadavere, per come si riscontra dalla relazione dei Consulenti nominati, i quali proprio in ragione dell’inizio di fenomeni putrefattivi, disponevano il trasferimento della salma presso la sala settoria dell’Obitorio del Cimitero di Cosenza. La domanda di risarcimento, in questa sede, fonda le sue ragioni nell’interesse sotteso alla tutela delle spoglie umane ed individuato dalla dottrina giuridica nella pietà per i defunti. In particolare, l’ordinamento penale prevede diverse fattispecie di reato a tutela della particolare estrinsecazione di tale sentimento di pietas, non solo nel culto ma anche e soprattutto nel rispetto delle spoglie umane.Il bene giuridico violato è rappresentato da un legittimo interesse etico – sociale diffuso, proprio di ciascun membro della collettività, in quanto radicato nell’umanità in ogni epoca storica e cultura, astraendo dalle qualità rivestite dal soggetto allorché era in vita. Nel caso di specie la violazione del dovere di custodia della salma integra una ipotesi di lesione del sentimento di pietà per il defunto della dignità della persona, posizioni soggettive di sicuro rilievo costituzionale e gravemente lese dalla condotta del convenuto, in quanto la comparsa dei segni autolitici e di prematura decomposizione, non ha consentito loro di poter dare l’ultimo saluto al proprio stretto congiunto, subendo con ciò la violazione del proprio diritto inviolabile alla piena estrinsecazione del proprio sentimento di rispetto e di pietas verso la salma del congiunto, al di là di ogni professione religiosa e convincimento etico o filosofico».
Le celle frigorifere dell’Ospedale di Cosenza erano obsolete perché risalenti al 1968 e che la loro manutenzione era da considerarsi alquanto difficile in totale assenza dei pezzi di ricambio necessari per assicurare il normale funzionamento dell’impianto frigo di uno degli Ospedali più grandi della Provincia. La questione indusse la Polizia Giudiziaria al sequestro dell’intero obitorio. Dopo una lunga attività difensiva disposta dal pool di legali, medici legali ed ingegneri, si è pervenuti al riconoscimento delle responsabilità. Amaro il commento della Famiglia Tarsitano la quale ha precisato che «nessuna somma riconducibile al risarcimento potrà restituire il loro figlio prematuramente scomparso per accertata responsabilità professionale dei medici Asp che l’ebbero in cura, auspicando che questo sacrificio sia valso al buon funzionamento concreto del servizio dell’obitorio dell’Ospedale di Cosenza, attualizzandolo ai tempi di oggi e con macchinari adatti ed adeguati alla domanda del bacino d’utenza, non essendo bastevole per il servizio preposto la sola pitturazione dei muri degli ambienti dell’obitorio per garantire il servizio imposto dalla legge». (f.b.)
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