REGGIO CALABRIA Non c’è la carne di capra, diventata quasi un topos dei racconti (anche giudiziari) di ‘ndrangheta. Il ristorante, nel borgo di Chianalea, affaccia sul mare e serve soltanto pesce. La “mangiata” tra affiliati finita nelle informative dell’inchiesta “Nuova Linea” devia, almeno riguardo al cibo, dagli schemi classici degli incontri pensati per saldare alleanze e pianificare le mosse delle cosche. “Colpa” del contesto: a Scilla i ristoranti offrono astici a vista e ostriche nei menu. E ai capi del clan Alvaro non dispiace affatto. È il 14 giugno 2021 quando le cimici degli investigatori della Dda di Reggio Calabria registrano le conversazioni che rendono l’idea dei «rapporti di influenza oltre che di familiarità tra la ‘ndrangheta scillese e quella sinopolese». Tra la montagna («munti», nelle intercettazioni dei picciotti scillesi) e il mare. Per i magistrati antimafia coordinati dal procuratore capo Giovanni Bombardieri non ci sono dubbi: la ‘ndrangheta di Sinopoli «è baricentrica rispetto all’economia criminale, gli assetti e gli equilibri di questi territori» e i gruppi di Scilla sarebbero inscritti «nella “linea” che fa capo a “munti”, e quindi ai carismatici esponenti della ‘ndrangheta sinopolese perlopiù appartenenti ai diversi rami della famiglia Alvaro».
Dallo smartphone di Giuseppe Fulco, considerato il punto di riferimento del clan a Scilla, gli investigatori captano la conversazione con Nicola Alvaro, “u trappitaru”, e «numerosi altri esponenti della ‘ndrangheta scillese e sinopolese».
Sono otto i commensali: nell’informativa dei carabinieri si dà conto di saluti e convenevoli «in un ambiente conviviale e disteso». Al tavolo c’è anche un parroco. Uno degli Alvaro gli si rivolge per sapere «se la seguente domenica andrà a un matrimonio». Nella fase iniziale gli argomenti «sono svariati e puramente conviviali», anche se «persone non identificate parlano di “comparati” con Nicola Alvaro».
È dopo il pranzo che Alvaro si intrattiene a parlare con Giuseppe Fulco e «gli chiede se gli è mai stata contestata l’associazione mafiosa».
Il capo del gruppo di Scilla «commenta che ad Archi è uscito un nuovo collaboratore di giustizia in quella articolazione della ‘ndrangheta reggina». Il riferimento, chiarito da uno dei commensali, è a Luca Adornato, «uno dei Teganini (il gruppo guidato da Mimmo Tegano, figlio del boss Pasquale, ndr)», il cui pentimento è diventato pubblico qualche giorno prima, con il deposito di alcuni verbali nel processo Gambling. Si commenta poi l’investimento subito da Giorgio Benestare, altro boss di Archi, che il 26 maggio 2021 era stato «investito da una autovettura furgonata, mentre percorreva a piedi la via Croce Cimitero, riportando gravissime lesioni. Quello che, in apparenza, sembrava un semplice incidente stradale, si è, invece, rivelato un tentato omicidio». Alvaro e Fulco, appuntano i carabinieri, «manifestano grande ammirazione per la figura criminale di Giorgio “Franco” Benestare, cognato di Orazio De Stefano. Fulco afferma che Benestare è circondato da quattro persone non valide dal punto di vista criminale». Discorsi di ‘ndrangheta che proseguono nella chiacchierata post-prandiale. I due considerano «non buona» la condizione del clan Tegano «in quel momento storico». Per Alvaro «che solo la scarcerazione di uno dei sodali di peso, senza indicare nello specifico a chi fa riferimento, può risollevare le sorti della ‘ndrangheta di Archi».
Sempre attorno ad Archi e alle sue figure criminali ruota il resto della conversazione. Alvaro e Fulco fanno riferimento a Michele Crudo, genero di Giovanni Tegano, e «ripercorrono una intercettazione emersa nel procedimento “Archi-Astrea” nella quale manifestava alla moglie che nel caso in cui gli avessero contestato la scomparsa di Paolo Schimizzi, nipote di Giovanni Tegano, avrebbe spiegato lui agli inquirenti come sono andate le cose». Nel criticare l’operato di Crudo «Nicola Alvaro esprime a pieno il ruolo baricentrico della ‘ndrangheta sinopolese nella unitaria criminalità organizzata reggina». Per i carabinieri, l’uomo «certamente sta descrivendo la circostanza che uno dei più alti esponenti della ‘ndrangheta sinopolese ha avuto un ruolo apicale nella “Provincia” in quanto da tutti i “paesi” (il riferimento è a tutte le articolazioni di ‘ndrangheta operanti nelle singole località della provincia) quando si recavano a Sinopoli censuravano il comportamento tenuto dai Tegano di Archi».
«Non c’era paese che non veniva, che non veniva là da noi… parola d’onore», dice.
«Franco non voleva», commenta ancora Alvaro rispetto alla sparizione di Paolo Schimizzi. E dice di averne discusso con il boss di Archi in un periodo di codetenzione nel carcere di Palmi. Lì i due si sarebbero incontrati e Benestare, «dopo le presentazioni di rito», lo avrebbe «abbracciato e baciato». Stesso comportamento lo avrebbe tenuto un esponente della cosca Barbaro nel carcere di Reggio Calabria. Parole che confermerebbero la centralità della ‘ndrina di Sinopoli nel contesto unitario della ‘ndrangheta. Pronunciate a margine di una “mangiata” di pesce con i sodali scillesi, clan satellite inserito nell’orbita mafiosa dei potenti Alvaro. (p.petrasso@corrierecal.it)
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