COSENZA Il mese di dicembre 2019 è un passaggio centrale nel racconto della “nuova” mala cosentina. Gli snodi che partono dal 4 dicembre, giorno della scarcerazione di Francesco Patitucci, successore dello storico boss Ettore Lanzino, arrivano fino a Salerno, con l’inchiesta sul giudice della Corte d’appello che firma l’assoluzione del capoclan. È il caso della corruzione nel Tribunale di Catanzaro con protagonista Marco Petrini, giudice ora sospeso, e coimputato dell’allora difensore di Patitucci, Marcello Manna.
Petrini racconta che il 30 maggio 2019 Manna, che nega recisamente le accuse, gli avrebbe consegnato la somma di 5mila euro in contanti all’interno una busta da lettere contenuta in una cartellina da studio, data al giudice nel suo ufficio. In cambio Petrini avrebbe alterato – la sintesi appartiene ai magistrati della Procura di Salerno – «la dialettica processuale inquinando, metodologicamente, l’iter decisionale della Corte d’Assise d’Appello da lui presieduta» emettendo una sentenza di assoluzione nei confronti dell’imputato Francesco Patitucci.
Patitucci, condannato in primo grado, con rito abbreviato, a 30 anni di reclusione per concorso nell’omicidio di Luca Bruni avvenuto a Castrolibero il 3 gennaio 2012, viene scagionato dalle accuse il 4 dicembre 2019. È la prima data chiave di questa storia, una delle tante raccontate nelle decine di faldoni dell’inchiesta “Reset” della Dda di Catanzaro. Per vedere il secondo atto bisogna attendere l’ultimo giorno dell’anno. Il 31 dicembre Roberto Porcaro, reggente del clan fino alla scarcerazione di Patitucci, finisce in manette. Le note della Squadra mobile di Cosenza ricordano che il boss facente funzioni va in carcere – nel quadro dell’inchiesta “Testa di serpente” – assieme a un gruppo di persone che appartengono al clan del Zingari: sono gli “Abbruzzese-Banana” con i quali Porcaro ha stretto un’alleanza nel suo interregno.
La scarcerazione di Patitucci e l’arresto di Porcaro determinano «un avvicendamento, del tutto casuale, che ha comportato il pieno reintegro di Patitucci nelle sue funzioni di capoclan, peraltro mai completamente dismesse».
È da quel mese di dicembre che Patitucci riprende «in mano le redini del gruppo, e ne è sintomo il fatto che già all’indomani della sua scarcerazione ha chiamato a raccolta» le persone «a cui affidare i compiti più delicati che attengono alle varie attività illecite svolte dal clan di appartenenza». Tra «i soggetti “chiamati a raccolta”» c’è anche il parrucchiere Alessandro Catanzaro, «già uomo di fiducia di Roberto Porcaro, il quale, sebbene non intraneo al clan, ha messo a disposizione» del reggente «il suo esercizio commerciale». Lì, secondo gli agenti della Mobile, Porcaro «incontrava i suoi sodali e anche le vittime delle attività illecite». Un luogo frequentato anche da Patitucci dopo la propria scarcerazione. È lì (e non solo) che gli investigatori prendono contezza del lavoro avviato dal boss per rifondare la propria “squadra”.
Il racconto di questo impegno avviene quasi in tempo reale. Il 7 febbraio 2020 la Questura di Cosenza indirizza una nota, firmata dal dirigente della Squadra mobile Fabio Catalano, alla Dda di Catanzaro per descrivere le «iniziative finalizzate alla riorganizzazione del sodalizio che, sotto la reggenza di Roberto Porcaro, ha fatto registrare momenti di fibrillazione che ne hanno minato la stabilità e il prestigio». La prima scelta di Patitucci è quella di «ridimensionare la portata dell’alleanza che il suo “vicario” aveva stipulato con la famiglia degli “Abbruzzese-Banana”». Il boss scarcerato chiama poi «a raccolta, in una sorta di Stati generali, i suoi sodali più fedeli, ma anche soggetti che un tempo militavano in altri gruppi criminali, al chiaro scopo di far rivivere quel patto federativo che in anni recenti ha connotato il panorama criminale locale». Gli agenti non la considerano, in quella fase investigativa, una «confederazione»; parlano di «apertura del clan storicamente egemone sul territorio alle adesioni di singoli fuoriusciti da altri sodalizi criminali». Questi avrebbero «di buon grado ceduto alle lusinghe del boss di cui riconoscono l’elevata e incontrastata caratura criminale».
È grazie a due videocamere – una installata nei pressi della casa di Patitucci, l’altra del negozio di parrucchiere di Catanzaro in via Panebianco – che gli agenti monitorano le “adesioni” alla strategia del boss. Le riprese, secondo gli inquirenti, fanno emergere uno spaccato dei rapporti che il capoclan sta intessendo. «Al suo citofono – riportano nella nota – si alternano personaggi di primo piano come Michele Di Puppo, a capo del gruppo criminale omonimo, da considerarsi come una costola del clan “Lanzino-Patitucci”, operante nel comune di Rende; Marco D’Alessandro, giovane leva della criminalità, inserito nel gruppo Di Puppo e con ambizioni di conquistare in breve tempo le “doti” criminali più elevate; Antonio Illuminato, uomo di fiducia di Roberto Porcaro e già detentore delle armi del clan». Nell’elenco figurano altre persone gravitanti nell’orbita criminale della cosca ma non indagate. Uno appartiene, secondo il resoconto della Squadra mobile, «al disciolto clan “Bruni-Bella Bella” e poi a quello “Rango-Zingari”» e sarebbe «ora transitato nella cosca “Lanzino-Patitucci” per la quale si occupa, verosimilmente, del traffico di stupefacenti». Ci sono poi vecchi sodali “spariti” da anni dai radar delle forze dell’ordine, «e altri ancora, provenienti anche dalla provincia». Come un uomo «che, per designazione di Patitucci, si pone attualmente al vertice del gruppo criminale radicato in San Lucido ma che esercita la sua influenza anche su Paola» e un «noto trafficante di stupefacenti». C’è anche Mario Piromallo, storico appartenente al clan, nell’anagrafe dei contatti di cui gli investigatori prendono nota. I frame dei video finiti negli faldoni sono la rappresentazione iconografica dei contatti.
Assieme al boss è al lavoro anche sua moglie Rosanna Garofalo, che ha «intensi rapporti di frequentazione con le mogli degli elementi di vertice del gruppo criminale». I contatti del gruppo si estendono anche alle famiglie di Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni, “u tupinaro”. Il primo è detenuto dal 1994, il secondo sta scontando un ergastolo per omicidio. Nonostante ciò, «godono ancora della considerazione del capo del clan», così come il figlio di un altro boss, che – secondo la valutazione degli investigatori – «si è staccato dal suo clan (…) e ha chiesto asilo a Patitucci che glielo ha concesso di buon grado».
Dal giorno della scarcerazione, dunque, prendono il via nuove tracce investigative. Lo spettro dell’indagine si amplia e gli agenti seguono la metaformosi della ‘ndrangheta cosentina, con la presunta adesione di nuovi affiliati in arrivo da altri gruppi criminali e la «reviviscenza di soggetti che per anni sono rimasti “dormienti” e che oggi vengono richiamati in attività per completare quel “restyling” del clan voluto dal suo leader che intende circondarsi anche di uomini di provata fedeltà». Parte tutto da quel mese di dicembre. Da una scarcerazione i cui effetti si “trasferiranno” alla Procura di Salerno e da un arresto che ridisegnerà gli equilibri nella cosca “Lanzino”. Lì inizia la strada che porterà la Dda di Catanzaro a dipingere il quadro della “confederazione” mafiosa della città dei Bruzi. (p.petrasso@corrierecal.it)
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