COSENZA Erano le 15.30 del 9 gennaio 2005 quando nei pressi di un casolare abbandonato in una zona boschiva di località “Manca di Gallina” del comune di Montalto Uffugo (in provincia di Cosenza) i carabinieri ritrovarono il corpo senza vita di Lisa Gabriele. La giovane indossava un maglione, jeans chiari e scarponi di colore beige, e «giaceva in posizione prona accanto al tronco di un albero». Vicino, i militari, trovarono anche una bottiglia di whisky “J&B” semivuota e una Fiat Cinquecento bianca al cui interno furono rinvenute: un cellulare, due confezioni del farmaco “Sonata” e un foglietto con su scritto «x la famgilia, x una persona speciale, scusami pure se non esiste» e poi il disegno di un fiore con tre petali cadenti ed una cancellatura.
Ad eseguire l’ispezione cadaverica sul corpo della giovane (il 9 gennaio) fu il dottore Ottorino Zuccarelli, secondo il quale «l’epoca della morte risaliva a non prima di 24 ore dall’ora del rinvenimento». I consulenti tecnici del pm, effettuarono l’autopsia il giorno seguente e fissarono il decesso «tra le 48 e le 72 ore precedenti rispetto all’ispezione». L’ipotesi suicidaria venne immediatamente esclusa, ma gli elementi raccolti non raggiunsero la soglia indiziaria necessaria ad incolpare del delitto Maurizio Mirko Abate. Oggi, a distanza di 17 anni, quelle prove sono state ritenute sufficienti e utili a chiudere il caso.
E’ il 2018 quando, il cold case di Lisa Gabriele viene incredibilmente e inaspettatamente riaperto. La Procura di Cosenza riceve un esposto anonimo dove si ripercorreva la vicenda della morte della giovane. Il mittente si presentò come «poliziotto onesto della Stradale» che per senso di rimorso e impotenza decise di indicare come responsabile dell’omicidio «Mirko Maurizio Abate, per lungo tempo in servizio alla Stradale di Cosenza nord», apostrofandolo come «vicino ad esponenti della malavita locale». Lisa Gabriele aveva una relazione con Abate, sebbene fosse impegnato con un’altra donna. La giovane originaria di Rose, cresciuta con una zia, sarebbe stata soffocata «con un cuscino quale strumento di un macabro contrappasso rispetto ad un episodio verificatosi nei primi giorni di agosto 2004». Lisa Gabriele «per non essere lasciata, aveva comunicato ad Abate di essere incinta» e «si sarebbe presentata nel cortile della Stradale con un piccolo cuscino sotto i vestiti per simulare la pancia gonfia». Abate avrebbe reagito picchiando la giovane, poi costretta a ricorrere alle cure mediche in ospedale. Dove sarebbe giunta accompagnata da una pattuglia della Stradale.
Il caso della morte di Lisa Gabriele è caratterizzato da una serie infinita di contraddizioni e depistaggi che non hanno consentito nella fase iniziale di trovare elementi utili ad incolpare Abate, seppur in presenza di un decesso chiaramente non riconducibili al suicidio. Secondo gli investigatori, «che la ragione delle anomalie investigative possa risiedere non solo in una censurabile superficialità ma possa invece celare il voluto proposito di favorire la persona indagabile, la si trae dalla constatazione di legami ed infiltrazioni massoniche nella vicenda, in grado di pregiudicare, irrimediabilmente o meno, la ricerca della verità e tali da rendere il quadro ancora più fosco». Le intercettazioni dell’epoca hanno permesso agli investigatori di captare informazioni importanti su Maurizio Mirko Abate che «avrebbe fatto parte di una loggia massonica, essendovi riferimenti ad impegni settimanali correlati a riunioni con i suoi “confratelli”». Maurizio Abate – sempre secondo quanto emerso dall’inchiesta – «stava prodigandosi tramite il Maestro Venerabile in persona, per far accedere in quell’obbedienza anche il cugino». Sarà anche un collega di Lisa Gabriele a confessare di aver ricevuto la medesima informazione proprio dalla vittima. «Ammetto che Lisa mi aveva confidato che Maurizio faceva parte della Massoneria e sebbene io ne facessi parte, Maurizio non appartiene alla mia obbedienza, il nostro rapporto non è mai andato oltre un semplice caffè». Abate – come raccolto dagli investigatori – avrebbe fatto parte «della Massoneria di Bisignano “denominata Sacro Graal“», ma «probabilmente non riconosciuta e senza legami con quella del Goi».
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