COSENZA La supremazia dei clan di ‘ndrangheta, operanti a Cosenza e nell’hinterland si esercita attraverso il controllo del territorio. Nonostante il “patto federativo” che vede l’associazione suddivisa in sette gruppi criminali parzialmente autonomi organizzati secondo le regole del “Sistema”, c’è chi si avvale della forza d’intimidazione per commettere una serie di delitti. Nel quadro a tinte fosche disegnato dai magistrati antimafia della Dda di Catanzaro, che ha coordinato l’inchiesta “Reset”, non mancano propositi omicidiari. A confermalo è il collaboratore di giustizia, Giuseppe Montemurro, che in un verbale di interrogatorio del 2015 tratteggia i contorni di un tentativo di mettere a tacere chi si era mostrato «irriverente nei confronti del clan».
Il pentito, al momento di rendere le informazioni in suo possesso, riconosce (già nel 2015) «la caratura criminale della famiglia dei “Banana”». «A Cosenza dipendiamo sia dagli “Zingari” che dagli “Italiani”, in seguito ai numerosi arresti, sono rimasti in posizione preminente Gino Bevilacqua, Luigi Abbruzzese e Tonino Abruzzese detto “Strusciatappine” mentre per gli “Italiani”, Mario “Renato” Piromallo, Fabrizio Provenzano e Roberto Porcaro». La posizione apicale della famiglia “Banana” permetteva di decidere anche «l’eliminazione fisica di personaggi scomodi per il clan, di persone ritenute infedeli o inaffidabili». E’ il caso di F.C., per il cui omicidio Montemurro avrebbe dovuto fungere da “palo”. «In quel periodo ho parlato del proposito omicidiario con Luigi Abbruzzese e con Gino Bevilacqua, ai quali ho dato conferma del fatto che Cosimino Bevilacqua mi aveva detto di rivolgermi a “Strusciatappine”». Il progetto omicidiario, dunque, veniva «originariamente orchestrato da Cosimo Bevilacqua detto “Il corvo” e Antonio Abruzzese alias “Strusciatappine”», ma poi le redini saranno prese da Luigi Bevilacqua coadiuvato da Luigi Abbruzzese.
Il collaboratore di giustizia, a proposito delle illecite attività di imposizione della vigilanza agli esercizi pubblici, narra di una vicenda relativa ai contrasti sorti tra gli affiliati e F.C. che «garantiva la vigilanza ad alcuni locali di Cosenza». Montemurro si reca in una nota discoteca cosentina, mentre tenta di entrare, alla porta, viene fermato da F.C. Chiamato a riferire ai vertici del gruppo mafioso dello screzio avvenuto, a Montemurro «veniva indicato di rivolgersi a Cosimo Bevilacqua poiché ritenuto l’esponente di maggior peso criminale». Quest’ultimo, una volta a conoscenza dei fatti, «prospettava immediatamente l’eliminazione fisica del dissidente confermando il proprio potere mafioso». Bevilacqua detto “Il Corvo” «Era stupito e convinto che occorreva un gesto eclatante, cioè la fisica l’eliminazione di F.C. perché temeva ci sarebbero stati problemi anche sulla costa», confessa Montemurro. A questo punto, inizia «una fase di tentennamenti». «Io fungevo sempre da tramite tra Giuseppe Esposito e Cosimino Bevilacqua – racconta il pentito – si doveva decidere se uccidere F.C. o bastava gambizzarlo». A quel punto, Montemurro compie una serie di pedinamenti nella zona di Spezzano Sila «dove abita F.C., per studiarne le abitudini». Nel frattempo, Cosimo Bevilacqua veniva arrestato, per cui lo stesso “Corvo” dice a Montemurro di rivolgersi a Tonino Strusciatappine». Quest’ultimo, a sua volta, confesserà al collaboratore di giustizia che F.C. «aveva avuto lo stesso atteggiamento con i suoi nipoti che frequentano le discoteche per spacciare stupefacenti e quindi occorreva ucciderlo». Lo “Strusciatappine” «mi disse che dovevo attendere la sua chiamata in modo da mostrarne la casa ai suoi killer».
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