Caro ministro Nordio,
la sua nomina a via Arenula lascia la speranza che sì possa mettere mano a una riforma della giustizia seria, equilibrata e moderna, che non venga interpretata contro la magistratura ma per i cittadini.
Comprendo che la giustizia è un po’come la nazionale di calcio, per cui tutti (presumibilmente anche il sottoscritto) si sentono in grado di dare consigli senza averne titolo. Il trentennio trascorso da Tangentopoli ad oggi non ha placato gli animi tra le parti. Berlusconi, cui sì deve la fondazione del centrodestra e che oggettivamente ha subito una vera e propria persecuzione dalla sua discesa in campo (arriveremo al Ruby quinquies) ha condizionato Il dibattito. E, certo, con una serie di leggi ad hoc non ha risolto il problema generale, né tantomeno Il suo. L’autonomia della magistratura va preservata, perché è un principio costituzionale ineludibile.
In altri paesi non certo meno civili dì noi, come la Francia, essa è assoggettata al potere esecutivo in un quadro normativo tuttavia diverso. Lei ha parlato di abolizione dell’abuso di ufficio, dì depenalizzazione dei reati minori e di separazione delle carriere, tutti fatti importanti che sarebbe possibile condividere con la parte più riformista delle opposizioni.
Ciò però non è sufficiente. Perché va messa mano alla limitazione della custodia cautelare i cui effetti sono spesso devastanti per i cittadini. Sono tanti i casi di incensurati tenuti in carcere per mesi ed anni. Un principio nemmeno medievale di tortura che non può essere in nessun modo giustificato, nemmeno quando arriva l’egida dell’associazione di stampo mafioso o del sempre oscuro concorso esterno che Il legislatore non ha mai chiarito.
Certamente i collaboratori di giustizia recitano un ruolo fondamentale nel contrasto alle mafie ma è impensabile trattarli come l’oracolo di Delfi, senza porre dei paletti oggettivi al loro utilizzo e senza prevedere sanzioni nei casi di conclamata inattendibilità. Anche le intercettazioni vanno normate, dì concerto con i settori della magistratura non integralisti.
C’è bisogno di un ritorno alla prova come elemento sostanziale del processo. È pacifico che, da magistratura democratica ai cinque stelle, ci saranno opposizioni forti o meglio ci sarebbero qualora si decidesse di agire anche in questa direzione, ma il coraggio dell’azione di governo prevede anche uno scontro sul terreno democratico dei diritti, se necessario.
Luigi Gullo, insigne giurista calabrese, soleva citare Il sacrificio di San Tommaso, nell’opposizione che diede origine allo scisma anglicano, come esempio della sopportazione che si dovrebbe esercitare pur di far prevalere, sempre, Il diritto. In questi anni abbiamo visto emergere reati paradossali, come Il traffico di influenze illecite, che veramente sfiorano l’assurdo. Nessuno vuole l’impunità, specie per la politica e i poteri forti, ma è impensabile costruire gogne che poi sì rivelano inconsistenti alla prova dei fatti. La riforma del CSM è stata sollecitata dal capo dello stato, che ne è naturalmente Presidente, in un quadro generale che deve migliorare la vita dei cittadini senza mettere Il bavaglio alla magistratura.
Sulla responsabilità civile dei magistrati bisogna tenere conto della pronuncia della Consulta che ha dichiarato inammissibile. Il referendum ma anche prevedere, nei casi di dolo o dì colpa dolosa, almeno sanzioni nella carriera di chi sbaglia clamorosamente o di chi non rispetta Il codice nella parte in cui obbliga a trovare le prove a discarico Anche la questione carceri deve trovare risposta, con ampliamento normativo, nei casi possibili, della detenzione domiciliare o dell’affidamento ai servizi sociali.
Il carcere deve riabilitare, mentre oggi è Il posto migliore, non certo per colpa di chi ci lavora, per allevare futuri criminali. Dal centrodestra e da una nuova sinistra riformista, che dovrà pur nascere, ci si aspetta un ritorno alle tematiche di civiltà che partiti della prima Repubblica, dal Psi ai radicali, posero in anni drammatici. La magistratura non è una corporazione di eversivi ma un organo costituzionale la cui gran parte è ragionevole e aderente a quella cultura che, da Beccaria in poi, ha reso grande l’Italia.
Così come l’avvocatura, cui sì chiede un sussulto di orgoglio, non può non essere co protagonista di questo processo metapolitico. Per cui è legittimo aspettarsi da lei un cambiamento che sia scolpito nella codificazione di riforme veramente efficaci che possano, nel tempo, rendere più credibile la giustizia italiana. Anzi, più giusta.
*giornalista
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