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L’omelia dell’arcivescovo Maniago: «Catanzaro piange per voi. Ora creiamo una città più giusta»

Il presule: «Non ci sarà risposta ai “perché” che abbiamo nel cuore. La comunità dia a tutti la possibilità di costruire il proprio domani»

Pubblicato il: 28/10/2022 – 19:00
L’omelia dell’arcivescovo Maniago: «Catanzaro piange per voi. Ora creiamo una città più giusta»

Pubblichiamo di seguito il testo dell’Omelia tenuta da S.E. Mons. Claudio Maniago durante i funerali delle vittime del rogo di Catanzaro:

Carissimi, siamo qui attoniti, feriti e con nel cuore un dolore indicibile di fronte alla terribile tragedia che si è abbattuta sui piccoli Saverio, Aldo e Mattia. Ci uniamo con le lacrime, l’amore e la preghiera, invocando la consolazione dello spirito e la misericordia di Dio. Tutta la città di Catanzaro e oltre, si stringe con un unico cordone d’affetto quasi per arginare l’onda di dolore che ci trafigge il cuore, lasciandoci nello sgomento e nello sconforto. Basta tenere la mano al polso della Città per accorgersi che, su questa triste notizia, su dolore innocente si è registrata la stessa pulsazione di idee e di emozioni. Si è accesa una “com-mozione”, che esprime il “muoversi insieme”, con un passo interiore cadenzato da singolare sincronia. Ogni bambino, ogni ragazzo è “patrimonio sacro” dell’intera umanità: appartiene a tutte le persone degne di questo nome. Per questo Catanzaro piange, non con lacrime cupe e disperate, ma con lacrime condensate da un dolore immenso: attraversato, però, dalla fede nel Vangelo della Vita. La nostra gente, che ben conosce il dolore, è stretta intorno a questa famiglia colpita da un’immane tragedia (e qui vogliamo ricordare anche la mamma Rita, il papà Vitaliano e gli altri figli Antonello e Zaira Mara): sa “com-patire” con loro, facendo vibrare le corde di un affetto convinto, partecipe e tenace.

«È un dolore che non può essere “detto”»

La Città oggi è tutta qui: Saverio, Aldo e Mattia sono al centro dei sentimenti dell’intera Comunità Catanzarese e non solo: della comunità ecclesiale e civile. Il dolore “estremo” – il più lacerante che possa colpire un essere umano – è la sofferenza e lo sgomento di fronte alla morte di ragazzi innocenti. È un dolore che non può essere “detto”, perché le parole non sono in grado di contenerlo ed esprimerlo. Forse le due espressioni che meglio riescono a segnalarlo sono “il grido” e il “silenzio”.
Di fronte alla disgrazia, che ha devastato la loro esistenza, penso che nell’anima di tutti noi abbia fatto irruzione una lancinante domanda: perché è capitato? E subito scattano pure gli altri interrogativi: “perché così?”, “perché adesso?”, “perché proprio lì”? Certo il fatto che questo tragico evento si sia consumato in un quartiere tristemente famoso, che è spesso abitato nella solitudine, con una rarefazione dei legami comunitari (quelli dei partiti, dei sindacati, delle comunità religiose, delle associazioni e altro) e una disgregazione dei legami familiari, ci porta subito a puntare il dito verso quelle periferie dove spesso si concentrano i problemi di ogni convivenza civile, come delle vere discariche di tensioni sociali e umane.

«Non ci sarà risposta ai “perché” che abbiamo nel cuore»

Certo le forze dell’ordine, i tecnici e gli inquirenti, faranno luce sulla dinamica dei fatti, ma questa tragedia, di cui siamo testimoni sgomenti, ci chiede il coraggio di riconoscere che tutto questo non darà la risposta ai “perché” che abbiamo nel cuore e soprattutto non placherà il nostro dolore. Di fronte al problema del dolore, che si abbatte sui bambini, la ragione non trova soluzioni accettabili: ce lo ha ricordato recentemente anche Papa Francesco. La spinta irruente di questi interrogativi così provocanti, che denunciano la nostra impotenza, le nostre mancanze e fragilità, non va anestetizzata o imbavagliata. Dobbiamo avere l’umiltà di bussare alla porta del Vangelo, per trovare la Verità che scioglie i nodi e la forza che ci consente di rendere, questa sconfitta, una opportunità di crescita: spirituale ed umana. La liturgia, che stiamo celebrando, proclama la Pasqua di Gesù che ha assunto il dolore dell’umanità ed è entrato nel regno della morte, ma l’ha vinta ed ha spalancato per noi le porte della Risurrezione. In Lui Risorto la morte è sbaragliata, viene per uccidere e invece suscita vita; strappa dal tempo una relazione d’amore e finisce per eternizzarla. La morte, infatti, non ha il potere di spezzare l’amore: anzi lo potenzia. Il sigillo identitario dell’amore, infatti, è il “per sempre”. Fra poco sentiremo proclamare nel prefazio, una espressione consolante: “ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata”.

«Consegniamo Saverio, Aldo e Mattia alla tenerezza di Dio»

È legittimo allora chiedersi: dove stanno adesso Saverio, Aldo e Mattia? Il brano di Isaia che abbiamo proclamato come prima lettura descrive il cosiddetto banchetto apocalittico, cioè il banchetto finale a cui Dio inviterà tutti i popoli. Ci domandiamo come è possibile parlare di festa, di banchetto, di gioia di fronte un dolore così forte e così drammatico. Questo banchetto rivela il destino finale, il compimento di ogni uomo e di tutti i popoli, la festa, la gioia, la vita senza fine con Dio. Questi esalterà ancora una volta il debole, nel nostro caso questi ragazzi indifesi, e li introdurrà nella grande festa di luce. La descrizione dettagliata delle grasse vivande, dei cibi succulenti e dei vini raffinati sta indicare l’abbondanza, la ricchezza della festa che il Signore stesso preparerà per noi e che ha già preparato per questi ragazzi. Un banchetto che è per loro incontro di gioia piena con il Signore della vita, che offrirà loro la dignità e la libertà definitiva da ogni condizionamento, la libertà dei figli di Dio. E nell’espressione “Ecco sul nostro Dio” possiamo intendere un’ennesima conferma della promessa del Signore, che vuole stare accanto a loro ma anche a noi per consolarci e introdurci al suo banchetto insieme a questi ragazzi che oggi consegniamo alla sua tenerezza infinita. E questi nostri piccoli amici ci guardano. Tra chi abita nell’eternità di Dio e noi, che siamo pellegrini nella storia, il rapporto non è interrotto. Anzi, la relazione corre più intensa di prima sulla via maestra della comunione, che collega il Cielo alla terra, in attesa dell’incontro eterno: perché, sappiamo, dalla Parola di Dio, che verrà il giorno in cui ci ritroveremo e potremo stringerci in un abbraccio che non conosce fine. Intanto noi, confortati dalla parola del Vangelo, siamo certi che Gesù è andato loro incontro e li ha subito abbracciati, con infinita tenerezza, come faceva quando avvicinava i bambini sulle strade della Palestina. Abbiamo ascoltato nel Vangelo di Marco proclamato poco fa, che li chiamava a sé e “prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro” (Mc 10, 13-16). A questi piccoli innocenti: segnati dalla croce del Signore, ma anche trasfigurati dalla gloria della Sua risurrezione, così vicini al Signore, noi adesso raccomandiamo loro di aver cura della mamma, del papà e del fratello e della sorellina che sono nella sofferenza e dovranno affrontare una prova molto dura per il loro cuore. Gli raccomandiamo di fare una invocazione speciale per questa loro famiglia, perché, aiutata dal concreto sostegno di tutti, possa superare, per quanto possibile, questo passaggio sconvolgente della loro esistenza. E vogliamo assegnar loro il compito di prodigarsi perché cessino le guerre che insanguinano tante parti del mondo e di vigilare sui piccoli che soffrono in qualunque angolo della terra.

«Vigilare e contribuire perché la città sia più giusta, sicura e solidale»

A noi, di fronte a questa tragedia che mette in crisi le nostre coscienze, rimane il compito di ascoltare e custodire nel cuore la parola sferzante di Gesù: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio» (v. 14b). Non dobbiamo in nessun modo impedire ai ragazzi di andare da Lui, cioè di entrare nel futuro, ma con rinnovata consapevolezza, dobbiamo tutti vigilare e contribuire insieme a realizzare una città più concretamente giusta, sicura e solidale, dove a tutti sia data la possibilità di costruire onestamente e con dignità il proprio domani.
E Tu, Signore, non smettere di fare anche oggi il gesto che il tuo Vangelo ci racconta: «E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro» (v. 16). Prendi Saverio, Aldo e Mattia e tutti i nostri ragazzi tra le tue braccia, benedicili, metti la tua mano sul loro capo, e fa di tutti noi uomini e donne che sappiano camminare insieme per costruire per loro un mondo riconciliato e in pace.

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