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Imponimento, l’attenzione del clan per gli equilibri criminali e il «disinteresse» di Anello per la politica

L’intimidazione a Rombolà vissuta dal boss come un «dispetto». E il disimpegno sulle elezioni. «Non conosceva Mangialavori»

Pubblicato il: 29/10/2022 – 10:32
di Giorgio Curcio
Imponimento, l’attenzione del clan per gli equilibri criminali e il «disinteresse» di Anello per la politica

LAMEZIA TERME È ripartito dell’esame del maresciallo del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza, Giuseppe Spadafora, il processo “Imponimento” contro le cosca Anello-Fruci di Filadelfia, ma attiva in tutto il comprensorio della costa tirrenica, dalla zona industriale di Lamezia Terme fino a sfiorare la costa Vibonese. Davanti al Tribunale collegiale di Lamezia Terme, in aula bunker, il maresciallo Spadafora ha chiarito alcuni dei punti chiave dell’indagine coordinata dalla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri che, a luglio 2020, aveva portato a 75 arresti.

Il “caso” Rombolà

Nel corso dell’udienza, in particolare, le domande del presidente Angelina Silvestri e del pm Antonio De Bernardo si sono concentrate in particolare sul caso che riguarda Domenico Rombolà, e un atto intimidatorio subìto. Un episodio di cui si interessano in particolare il boss Rocco Anello – già condannato nel processo con rito abbreviato a vent’anni di carcere – su richiesta di Domenico Fraone, un commercialista di Filadelfia e con interessi in diverse strutture che curano la restaurazione e strutture ricettive e alberghiere. «Tra queste – spiega Spadafora – c’è la struttura, la Torre Bali, una società in accomandita semplice di cui è socio, oltre a Fraone, altre persone, tra cui Davide e Daria Dell’Aquila e, appunto, Rombolà». C’è in particolare una conversazione che Spadafora richiama nell’esame, quella cioè intercettata il 17 maggio 2017 all’interno della gelateria Callipo, a Pizzo, dove si erano incontrati Rocco Anello, Nicola Antonio Monteleone e Giuseppe Rizzo alias “Peppe Mafia”, uomo considerato vicino alla cosca Mancuso e, in particolare, al boss Luigi. «Nel corso della conversazione – racconta Spadafora in aula – Rizzo e Anello facevano riferimento a alcuni soggetti e a una questione che riguardava Rombolà e Mimmo Fraone di Filadelfia, e poi facevano riferimento a due soggetti che indicavano come “il genero”, “lui e il genero”». In un’altra conversazione, così come ha spiegato Spadafora al pm, si intuiscono i contorni della vicenda, ovvero un contrasto del quale erano stati interessati sia Rocco Anello che Luigi Mancuso per cercare di dirimere la controversia. «Rocco Anello faceva riferimento a Nicola Galati, a Mimmo, a Fraone, e al fatto che gli erano stati richiesti dei soldi per una controversia che c’era stata». Anello poi racconta che Fraone gli aveva riferito che qualcuno che stava giù nella zona di mare, «facendo riferimento a Leo e al genero di Pagliuni», gli avrebbe detto che, per poter muoversi e operare in quel territorio, doveva andare a bussare a qualche porta». «Invece Rocco Anello – racconta Spadafora – dice a Monteleone che lui aveva replicato a Mimmo Fraone che non doveva andare da nessuna parte, che lui personalmente sapeva dove si doveva bussare, a quale porta bussare, e comunque invitava Fraone a non muoversi, a non fare niente». Il Leo di cui parla Rocco Anello sarebbe Pantaleone Lentini, classe ’89, marito di Lea Scordamaglia, figlia di Domenico, classe ’66, alias “Pagliuni”, e Maria Mancuso, sorella del boss Luigi.

I problemi e i timori

Nel periodo compreso tra aprile e ottobre 2017 gli inquirenti intercettano le conversazioni sull’utenza di Domenico Fraone, molte delle quali avvengono con Domenico Rombolà, indicato spesso come “professore”. In una conversazione, in particolare, racconta Spadafora «Rombolà faceva presente di avere problemi personali con altri in relazione all’attività lavorativa che stava svolgendo. Dal colloquio emergeva una certa ansia perché questo rapporto lavorativo terminasse, proprio per i contrasti che c’erano, lamentando di essere sfruttato e di fare guadagnare gli altri». Il 6 settembre, in un’altra conversazione Fraone discute ancora con Rombolà. «In questa conversazione – racconta Spadafora – Rombolà riportava a Fraone delle minacce che aveva ricevuto da persone che gli avevano fatto visita, minacce che erano rivolte anche a Fraone. In sostanza gli veniva prospettata anche un’aggressione». È il 9 settembre quando Rombolà raggiunge a Filadelfia lo studio commerciale di Fraone. In quella circostanza Fraone tenta di rintracciare Rocco Anello, e lo fa telefonando Giovanni Anello che, però, si trovava a Palmi. «Nella conversazione serale – spiega ancora Spadafora – Fraone chiede a Rombolà se avesse avuto modo di incontrare un certo Carlo, al quale avrebbe dovuto sottoporgli una proposta. Poi, l’11 settembre, è Rombolà a riferire l’esito della proposta che avrebbe avanzato a tale Carlo che poi avrebbe dovuto veicolare ad una terza persona. Questo Carlo però si sarebbe dichiarato scettico perché non riteneva che le condizioni proposte potessero essere accettate da questa terza persona a cui erano destinate». «Rombolà però – spiega ancora il maresciallo – faceva trasparire sempre un certo timore per dei problemi che sarebbero potuti sorgere. E così, il 2 ottobre, Fraone riferisce ancora a Rombolà di essere stato in compagnia di una persona e si era limitato a dirgli che per l’anno prossimo non avrebbero più collaborato». Ma non è tutto. Più tardi, i due si risentono telefonicamente e discutono ancora dell’incontro avuto con questa terza persona. «Fraone riferiva a Rombolà – spiega Spadafora – che questa persona gli aveva riferito, a proposito di Rombolà, che quest’ultimo aveva inventato tutto, aveva inventato delle cose che non corrispondevano a verità. Rombolà dal canto suo si lamentava ancora, e racconta che gli erano state addebitate delle spese in sede di rendicontazione conclusiva dell’attività lavorativa svolta, e che quindi era stato costretto ad accettarle». Tra le spese addebitate anche un borsello rubato ad una terza persone, poi riconosciuto in Filippo Gerardo Gentile, uomo con precedenti penali, e citato nei successivi messaggi che Fraone e Rombolà si scambiano.  

L’intimidazione e il “fastidio” di Rocco Anello

È il 21 dicembre 2017 quando alla fine Rombolà subisce un atto intimidatorio, il gesto che tanto aveva temuto nelle settimane precedenti. L’episodio avviene a casa sua, nella frazione Brattirò di Drapia, nel Vibonese. In serata vengono esplosi alcuni colpi d’arma da fuoco, colpi che arrivavano all’interno della casa mentre all’interno c’erano sia Domenico Rombolà, la moglie e il figlio. Un mese più tardi, il 27 gennaio 2018, gli inquirenti riescono ad intercettare alcune conversazioni da un incontro nel quale erano presenti Giovanni Anello, Rocco Anello, Antonio Prenesti alias “yo yo”, Antonio Carlo Varone e Filippo Gerardo Gentile. «Dalle conversazioni – spiega il maresciallo – si capisce che l’argomento centrale fosse proprio l’intimidazione subita da Rombolà. E allora Rocco Anello si interessava per capire il perché gli fosse stato fatto questo “dispetto”, lui lo definiva così. Nel corso di quest’incontro e di quelli successivi, Rocco Anello faceva emergere il fatto che Fraone lo aveva interessato perché Rombolà appena aveva subito l’atto intimidatorio, se n’era subito andato a Filadelfia dove aveva dimorato per qualche giorno. Rocco Anello si era subito preoccupato di escludere il fatto che l’atto intimidatorio era dovuto a questioni personali di Rombolà, tipo relazioni extraconiugali». La discussione si conclude così con l’impegno di un incontro da organizzare per il giorno successivo tra Rombolà e Fraone, al quale avrebbero dovuto prendere parte oltre a loro due e Filippo Gerardo Gentile e Pantaleone Lentini e lì «avrebbero dovuto chiarire le cose come stavano per questo dissidio». «Rocco Anello – spiega infine il maresciallo in aula – faceva rilevare che, avendo sistemato la cosa, di cui ne aveva parlato con Mancuso Luigi, il fatto che fosse capitato questo incidente, questo attentato a Rombolà, metteva in discussione tutta la situazione attuale e che comunque era una mancanza di rispetto sia nei suoi confronti che nei confronti di Luigi Mancuso». Poco dopo, Giovanni e Rocco Anello, parlando tra loro evidenziavano come probabilmente ci fosse stato un imbroglio, «qualche cosa che non si era capita, e ne attribuiva la responsabilità anche a Domenico Fraone, e soprattutto Giovanni Anello diceva che, risolta questa questione, Fraone avrebbe potuto intraprendere ancora una attività, una collaborazione lavorativa con Gentile, però avrebbe dovuto filare tutto liscio, pena conseguenze nefaste».

Il disinteresse di Rocco Anello per la politica. «Non conosceva Mangialavori»

Dopo l’esame del maresciallo Spadafora, spazio agli avvocati difensori. L’avvocato Stefano Luciano, in particolare, si sofferma su un caso preciso e che riguarda la sfera politica, le elezioni del 2018 e la richiesta di voti, chiamando in causa l’attuale senatore di Forza Italia, Giuseppe Mangialavori, non indagato nel processo Imponimento ma tirato in ballo in una udienza del luglio scorso. «Risulta – chiede l’avvocato al maresciallo – che tra Francesco Antonio Tedesco e Rocco Anello ci sia stato uno scambio in funzione di una richiesta di voto, uno scambio?». «No», risponde il maresciallo Spadafora. E incalza ancora Luciano: «Per esempio tra Rocco Anello e Tedesco ci sono stati scambi o promesse di una utilità reciproca in funzione di un richiesta di voto specifico?». «Una richiesta specifica di voto no» risponde ancora il teste. «Risulta dalle indagini – ribatte ancora l’avvocato Luciano – che Francesco Antonio Tedesco sapesse, perché riferito direttamente da Rocco Anello, che quest’ultimo non si interessasse di politica o quanto meno questo era il concetto che aveva espresso?» «Sì, si esprimeva così» conferma Spadafora. «A noi – continua in aula l’avvocato Luciano – interessa la percezione che aveva Tedesco rispetto a questa posizione di Rocco Anello. Quindi, se risulta addirittura anche una conversazione tra i due, in cui Anello Rocco gli dice: “Guarda, io non mi interesso della campagna elettorale del 2018”». «Più o meno si esprime in questi termini in un colloquio che avviene a casa di Anello Rocco» conferma ancora una volta il maresciallo «in una cena, un’occasione conviviale alla quale partecipava anche la moglie e la figlia Cristina». Poi ancora nel controesame di Spadafora l’avvocato Luciano sottolinea una conversazione in cui ancora Rocco Anello manifestava il proprio disinteresse per un incontro politico a Filadelfia dicendo «(…) non ci vado a queste cose, se mi interesso a livello così, di amicizia, sennò la politica è argomento che non mi piace». Riguardo a Mangialavori, nello specifico, a Spadafora viene chiesto «Le risulta se Rocco Anello conoscesse Mangialavori?». Il militare risponde: «No, non lo conosceva (…). Ha sempre affermato di non conoscere Mangialavori». L’avvocato Rotundo legge una intercettazione che esplicita il senso della frase: «L’architetto Tedesco dice: “Ieri sera mi sono visto con Peppe Mangialavori” e Rocco Anello dice: “Con chi? Ma chi” e Tedesco dice: “Io” e Rocco Anello dice: “Ma io nemmeno lo conosco a questo”».

«Il Pd si è spostato su Mangialavori»

L’avvocato Luciano affronta ancora la questione della distribuzione del consenso a Filadelfia. «Risulta – chiede a Spadafora – dall’attività investigativa che, secondo la ricostruzione, la versione che dà l’imputato Francesco Antonio Tedesco durante un’intercettazione, non sapendo di essere intercettato, che il grande numero di voti raccolto da Mangialavori fosse da ritrovarsi nel fatto che il Partito Democratico si era spostato completamente a suo favore anche su Filadelfia? Cioè, Tedesco diceva che il Partito Democratico si era spostato su Mangialavori, per quanto attiene il territorio di Filadelfia, e quindi i voti erano così, trovavano questa giustificazione, questa ragione?» «Sì, sì. In una conversazione» risponde il teste. L’avvocato Luciano e il maresciallo fanno riferimento ad una conversazione tra Tedesco (Franco) e l’avvocato Renda che chiede: «Il Pd si è spostato da Mangialavori? con Tedesco che risponde: «Mannaggia la pu**ana». E ancora Renda: «Eh, e va beh, è la politica che è sporca, è sporca» ma Tedesco replica: «No, è una porcheria questa». (redazione@corrierecal.it)

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