REGGIO CALABRIA Una organizzazione «strutturata e capillare» in grado avere una «capacità operativa di notevole spessore e di ampio respiro», formata da soggetti che «riconoscono una rigida e ben definita catena gerarchica di comando ed agiscono per il raggiungimento dell’obiettivo comune». Tutto studiato e organizzato nei minimi dettagli per importare, produrre, vendere droga attraverso canali privilegiati e contatti potendo «contare su stabili canali di approvvigionamento» e che «costituivano frutto di accordi criminosi ben collaudati». Ventiquattro arresti (15 in carcere e 9 ai domiciliari), 7 province italiane coinvolte (Reggio Calabria, Catania, Messina, Vibo Valentia, Salerno, Milano e Pavia), 200 militari impegnati in un’operazione che ha permesso alla Procura di Reggio Calabria di ricostruire la rete dei narcos calabresi e che costituisce lo sviluppo di una precedente operazione, denominata “Magma”, contro il clan Bellocco di Rosarno. I contatti, viene ricostruito nelle carte dell’inchiesta grazie alla quale è stato possibile disvelare l’organigramma del sodalizio criminale, arrivavano in Albania e in Brasile per «il compimento di una serie indeterminata di affari nello specifico settore del traffico illecito di sostanze stupefacenti».
Si manteneva «prudentemente in una posizione defilata» Umberto Bellocco. Il 50enne, nipote del boss di ‘ndrangheta Mario Bellocco, viene considerato dagli investigatori «capo e promotore del sodalizio». Colui che in realtà, secondo gli inquirenti, dirigeva «strategicamente tutte le operazioni del gruppo». Bellocco, si serviva «per il suo traffico di sostanze stupefacenti di un gruppo di fedelissimi». Uomini uniti da un «pactum sceleris», che ne ha connotato il modus operandi, e che «hanno diligentemente eseguito le direttive e curato i rapporti con acquirenti, fornitori ed anche con altre articolazioni associative, dedite al traffico di sostanze stupefacenti, di diverso tipo e qualità, anche per quantità ingenti, operanti in Italia ed all’estero».
Al fianco di Bellocco, in prima linea, ci sarebbe stato Giuseppe Cotroneo, anche lui tra gli arrestati, al quale l’accusa attribuisce il ruolo di «organizzatore del traffico». Cotroneo, si legge nelle carte dell’inchiesta, aveva «il compito di individuare possibili acquirenti della sostanza stupefacente trattata dal gruppo».
Cocaina, marijuana e hashish. L’obiettivo era quello di «rifornire di sostanza stupefacente diverse piazze di spaccio calabresi e del messinese, con stabile collegamento con organizzazioni criminali estere». L’organizzazione era in grado di far giungere dal Brasile ingenti partite di cocaina, stoccate in Svizzera, per poi essere trasportate in Lombardia per essere ceduta ai grossisti e finire sulle piazze italiane. Oltre che produrre, in proprio, ingenti quantitativi di cannabis indica curandone i successivi processi di lavorazione (asciugatura, essicazione, pesatura e confezionamento).
«Soggetto cerniera tra le due associazioni in contestazione» era, secondo gli inquirenti, Antonio Caracciolo, soprannominato “zasso”. Sarà lui, si legge nelle carte dell’inchiesta, a «individuare i compratori messinesi per conto del gruppo, attivandosi costantemente e compiendo, in compagnia del Cotroneo, numerose trasferte nella città peloritana». Bellocco e il Cotroneo, scrivono gli inquirenti «erano concordi nel riconoscere le abilità» di Caracciolo quale “piazzista” di stupefacente: «”quello la cacciava”, “minchia, al cento per cento”».
Attraverso Caracciolo, infatti, Bellocco e Cotroneo avrebbero stretto rapporti con Vittorio Tamburella, «noto spacciatore e trafficante della Zona di Messina Sud». Del resto si evidenzia «la fittissima rete di rapporti che il Caracciolo vanta nel settore degli stupefacenti, su Messina ma anche nel catanese ed in altre zone del territorio calabrese lontane dall’area di influenza dei Bellocco». Si tratta, si legge nelle carte dell’inchiesta, di «un piazzista consumato e che, non appena riprende i contatti con i rosarnesi, si rende promotore di vantaggiosi nuovi affari che sarà lui stesso a procurare con il carattere della stabilità».
CARACCIOLO: …non ti avevo raccomandato altro, Totò, che non fosse quello là che aveva il motore fuso! Minchia! E proprio giusto giusto quello, dico! Non lo so…
BEVILACQUA: A me hanno detto l’altro ieri … mi hanno detto … prima di venire li ho chiamati e gli ho detto «ragazzi, non voglio che facciamo cattiva figura, perché è un carissimo amico mio e non voglio fare brutta figura» … «No, Totò» dice «stai tranquillo! Ti giuro sulla mia famiglia» dice «che è lo stesso cavallo che gli ho dato… che gli abbiamo dato ieri», dice.
Comunicavano tra loro utilizzando un linguaggio criptico che mutuava dal gergo automobilistico a termini allusivi per indicare la sostanza stupefacente: macchina, vettura, moto, libretto, documenti, ma anche cavallo, cavallino.
Antonio Caracciolo e Antonio Bevilacqua in una conversazione captata parlano prima di uno «scooterone» con il motore fuso, per poi discutere della consegna di un cavallo. Uno dei tanti accorgimenti utilizzati dagli indagati per eludere eventuali intercettazioni in corso. Ma nel discorso apparentemente senza senso tra Caracciolo e Bevilacqua è evidente, scrivono gli inquirenti, che i due «stessero in realtà confrontandosi sulla scarsa qualità di un certo quantitativo di sostanza stupefacente».
CARACCIOLO: Mi senti?
BEVILACQUA: Sì. Ascolta un attimo: io ho parlato con quei ragazzi…
CARACCIOLO: Eh.
BEVILACQUA: …mi ha detto che loro sono a posto. Dice che tu venga qua che loro non… si mettono a disposizione tua. Mi hanno detto che banno un altro cavallino, che hanno… che tu venga qua per… (incomprensibile)… capito?
CARACCIOLO: Vabbe, ma non è il trottatore, lo stesso di questo qua?
BEVILACQUA: No.
CARACCIOLO: Vabbe: dai! Domani vengo, così ci diamo gli auguri pure!
BEVILACQUA: No. Domani non c’è nessuno qua, capito? Se ne parla dopo le feste ormai, capito?
CARACClOLO: Vabbè, dai! Che dopo le feste vengo! Totò, ti raccomando, però, che sia un cavallo da galoppo!
Termini specifici, ma non solo. «Il linguaggio criptico utilizzato, le cautele adoperate nel parlare al telefono (con preferenza delle comunicazioni su utenze intestate a terzi o da cabine di telefonia pubblica, ovvero su mezzi di telefoni protetti e dedicati e di difficile intercettazione), i continui accordi volti ad eludere i controlli, l’attenzione mostrata per i movimenti delle forze dell’ordine, le continue convocazioni e gli innumerevoli incontri tra i sodali». Il gruppo guidato da Bellocco era riuscito a creare una vera e propria «rete di protezione, in caso di arresti o sequestri di partite di stupefacente trafficate, volta ad informare tutti gli associati del pericolo di un’eventuale attività di indagine». Le comunicazioni, come detto, venivano effettuate in modo criptico, spesso anche «mediante l’utilizzo di un codice cifrato via WhatsApp attraverso messaggi con concordate “emoticon” che presuppongono inevitabilmente un previo accordo sulle modalità delle forniture e la richiesta degli incontri per le cessioni (prezzo, quantità, luogo di incontro, ecc.)». Ed è durante un incontro tra Cotroneo e Caracciolo che quest’ultimo dà «delle rapide indicazioni sulle modalità di comunicazione da tenere da quel momento, assegnando ad alcune emoticon, che avrebbero scambiato tramite applicazione di comunicazione telematica, un particolare significato, in base al quale predisporre le proprie azioni: “così sì… così no”».
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