COSENZA Nato a Sondrio, 43 anni fa, Nicola Acri soprannominato “Occhi di ghiaccio” ha scelto di collaborare con la giustizia e raccontare quanto di sua a conoscenza sulla criminalità organizzata cosentina, soprattutto sui rapporti diretti con i “Banana”. La famiglia Abbruzzese è «inserita all’interno della ‘ndrangheta», il suo rapporto è con Fioravante Abbruzzese e con i figli Tonino e Andrea, «i quali operavano sulla zona di Cassano».
Fatti, aneddoti e racconti. Acri è un fiume in piena e le sue narrazioni vengono messe a verbale in un documento finito nell’inchiesta “Reset”, coordinata dalla Dda di Catanzaro. «All’indomani dell’omicidio di Aldo Benito Chiodo, nel 2000, si era venuta a creare una situazione di conflitto a Cosenza determinata dalla spinta autonomistica di Franchino Bevilacqua, meglio conosciuto come “Franchino i Mafalda”». Quando Acri lascia il carcere, dopo la “Strage di via Popilia”, pone le basi per una «riconciliazione dei gruppi operanti a Cosenza, mediando le istanze del gruppo Lanzino tramite Gianfranco Bruni alias “Tupinaro” e di Giovanni Abbruzzese. Dell’omicidio Tucci-Chiodo, Acri confessa altri dettagli. «So che è stato organizzato da Franco Bevilacqua, coadiuvato dal suo gruppo di fuoco composto da Luigi Berlingieri detto “faccia di ghiaccio”, Tonino e Nino, anche se non hanno partecipato attivamente all’esecuzione di questo omicidio». Tucci quando venne freddato si trovava in compagnia di Chiodo e la sua uccisione «non è stata casuale» ma deliberata, in quanto era «considerato un azionista temibile del gruppo Chiodo». Al duplice delitto, Acri tratteggia i contorni di un altro fatto di sangue, quello che costò la vita a Gianfranco Iannuzzi. Quest’ultimo, secondo il pentito, avrebbe «partecipato attivamente all’omicidio Tucci-Chiodo ed è stato poi fatto sparire e ucciso in quanto si temeva potesse collaborare con la giustizia».
Lo stesso Nicola Acri illustra interessanti dettagli per quanto attiene l’attività della mala bruzia. «Cosenza – precisa il pentito – non dipende formalmente dal Crimine di Cirò, il vero Crimine era riconosciuto in capo a Franco Pino, ma dopo il suo pentimento e quello di tanti dopo di lui, non è c’è stato un formale riconoscimento del Crimine a Cosenza». Dunque, l’organizzazione ha operato con regole ‘ndranghetistiche, ma «i referenti non hanno avuto interesse o l’occasione per ottenere un formale riconoscimento».
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