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Il coraggio del partigiano che sfidò la ‘ndrangheta del Canavese e il boss con il pallino della politica

Le cene in villa con politici e magistrati di Giovanni Iaria, il manovale divenuto capomafia. Il “no” di Ceretto all’ingresso nella sua lista dei calabresi. E un omicidio impunito. Storie di clan n…

Pubblicato il: 03/11/2022 – 11:32
di Paride Leporace
Il coraggio del partigiano che sfidò la ‘ndrangheta del Canavese e il boss con il pallino della politica

Il Canavese è una regione storico-geografica del Piemonte con una sua connotazione identitaria ben precisa. Duemila chilometri di superficie che avvolge 129 comuni e oltre trecentomila abitanti che si estendono tra i confini della Valle d’Aosta fino al Biellese.
L’Ivrea di Olivetti ne è il capoluogo ideale (ne fa cenno anche Natalia Ginzburg nel suo “Lessico famigliare”). In questa zona il poeta Guido Gozzano ambienta la celebre “La signorina Felicita” («a zone quadre, apparve il Canavese»). In questo territorio il lessico comune è stato modificato, come abbiamo già raccontato, per le vicende di Leinì.
Una ferita che non si rimargina per la comunità del posto. Nel giugno scorso, ad 11 anni dall’Operazione Minotauro che ha ormai accertato la presenza della ‘ndrangheta in queste terre di provincia, la chiesa della Trinità di Cuorgnè era piena di cittadini ad ascoltare il pm Sparagna analizzare: «In questo territorio si è pagato un prezzo altissimo alla criminalità organizzata, basti pensare che è l’unico della provincia nel quale agivano almeno quattro locali di ‘ndrangheta certificate dalle sentenze (Cuorgnè, San Giusto, Volpiano e Chivasso). Ci siamo accorti che la criminalità era vicina ai Comuni e sceglieva quali partiti appoggiare».

Una recente intervista a Roberto Sparagna, oggi alla Direzione nazionale antimafia

Era stato un prete nel 1991 ad uscire allo scoperto. Don Aldo Salussoglia, parroco di San Dalmazzo, aveva denunciato apertamente che «a Cuorgnè si vive in un continuo stato di tensione. La mafia qui c’è per davvero e non può che sconvolgere». Un prete coraggioso don Aldo, uno di quelli che accoglie i rom a dormire in parrocchia cui non era sfuggito come andavano le vicende in quei borghi.

Il manovale diventato imprenditore e le cene in villa con magistrati e politici

La nostra inchiesta accerta ancora una volta alcuni topos della vicenda. Un emigrato che parte dalla Calabria. Un manovale che diventa imprenditore edile. La contaminazione con la società locale che anni dopo scopre di aver allevato e cresciuto un Locale di ‘ndrangheta. E per anni lo accetta e ne vota un assessore.
Le radici e la geneologia mafiosa di Cuorgnè sono emanazione di quelli di Grotteria, sul ramo della famiglia Bruzzese, e poi i Callà di Mammola, il gruppo Ursino-Scali di Gioiosa Jonica e i Casile-Rodà di Condofuri.
Da Condofuri parte Giovanni Iaria, minorenne. Arriva a Cuorgnè negli anni Sessanta, ottomila anime e una memoria di passato partigiano nella Resistenza. Si mette a fare l’apprendista muratore. Con il fratello Carmelo apre la solita impresa edile in anni di boom di costruzioni. Inizia ad assumere pregiudicati calabresi, spesso in semilibertà chiamati dalla sua azienda, ma non mancano gli incensurati che lavorano spesso in nero facendo diventare l’azienda egemone nel Canavese. Arriverà ad avere cento dipendenti al suo libro mastro.

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La villa di Giovanni Iaria a Cuorgnè. Confiscata, ospiterà un centro per disabili

La villa di Iaria nel nuovo secolo, imponente e maestosa, sorgeva alla periferia del paese. Qui, lontano dal mondo, in via Salgari Iaria organizzava cene con magistrati e politici. Ma qui ne avvenivano anche con Carmelo Bruzzese, Sebastiano Manglaviti, Giuseppe Giuffré, Rodolfo Scali. Forse le compagnie si sono spesso mescolate.
Crepe strane in questi fatti non erano mancate.

Il “no” ai voti sporchi costa la vita al partigiano di Giustizia e libertà

Mario Ceretto è l’eroe buono e vittima di questa storia poco conosciuta del Canavese. Un uomo piccolo di statura, disponibile, parla piemontese stretto. È stato partigiano di Giustizia e libertà a 15 anni. Il nome di battaglia era Ciaruia. Chi ha combattuto contro i nazisti il coraggio non l’ha mai perso. Dopo la guerra Ceretto diventa imprenditore a Cuorgnè. Apre due fornaci per laterizi, un’azienda di arredamento e un negozio molto accorsato. Aveva collaborato con Adriano Olivetti immaginando altre imprese per la sua vita. Si vuole candidare a sindaco, Ceretto, dopo essere stato consigliere comunale. Iaria voleva entrare nella sua lista garantendo i voti calabresi che sono pacchetto consistente. Ceretto rifiuta. Sa bene che sono voti poco raccomandabili.

Il "no" ai voti sporchi costa la vita al partigiano di Giustizia e libertà

Il 22 maggio del 1975 Mario Ceretto esce di casa. Deve incontrare degli amici per la lista da presentare all’elezioni. Non farà più ritorno. Lo troveranno cinque giorni più tardi, in una cascina a Orbassano, con la testa spaccata a pietrate (nella foto in apertura di servizio, il luogo di ritrovamento del corpo, ndr). Forse ha riconosciuto i suoi rapitori. Forse ha subito una punizione esemplare. Non è un sequestro di persona classico. Al processo uscirà il nome di Iaria da parte di uno dei responsabili.

Il "no" ai voti sporchi costa la vita al partigiano di Giustizia e libertà
PARTIGIANO | Mario Ceretto

La moglie di Ceretto depone e racconta che nei giorni di assenza del marito Iaria era andato a casa sua offrendosi di rilevare le aziende di famiglia. La signora lo aveva mandato via con irata veemenza. Il processo finirà con assoluzione per insufficienza di prove.
Un sindacalista della Cgil dopo la morte dell’imprenditore denuncia al giornale locale: «Mario Ceretto era un uomo di molto coraggio e non aveva paura di nulla, sebbene ultimamente per intimidirlo erano stati compiuti atti di sabotaggio sui macchinari delle sue aziende. Poi c’è stata la sua morte e adesso Cuorgnè vive nel terrore».
Iaria ascolta, osserva, non scalpita. Voleva entrare in politica per diventare assessore dei Lavori pubblici. Lo accoglie la lista del Psi. Viene eletto. Il 24 settembre quando il consiglio comunale commemora Ceretto chissà cosa pensa il consigliere socialista Giovanni Iaria. Ormai è un volto da padrone di voti e di persone.

I libri contabili della cooperativa Aurora

Nel 1979 una nuova pietra d’inciampo per il calabrese di Condofuri. La sua cooperativa Aurora ha libri contabili discutibili e va in bancarotta. Non si dimette ma viene arrestato. Ma le condanne non sono mai definitive, a quel tempo molto provvisorie.
Qualcuno protesta, è una voce nel deserto. Viene espulso dal Psi torinese. In un vecchio ritaglio di Repubblica è scritto che Giovanni riprese a far politica nella natia Condofuri come consigliere comunale. Tornerà a scalare di nuovo il Psi piemontese tanto da diventare vicesegretario della federazione di Torino. Ogni tanto mena pure qualche schiaffo in pubblico a qualche avversario politico. Nel 1990 arriva la sorveglianza speciale per tre anni con divieto di dimora in Piemonte. Il Psi è costretto di nuovo a sospenderlo.

Il Minotauro nel Canavese

Il Minotauro nel Canavese
Giovanni Iaria

Con l’arrivo di Tangentopoli e la scomparsa del Psi, Iaria comprende che è meglio immergersi nel suo ruolo di imprenditore. Torna alla ribalta con l’operazione Minotauro. È accusato di voto di scambio per le Europee. Una condanna a 7 anni. Muore in ospedale ad Asti trasferito dal carcere. Restano molti parenti con il suo cognome implicati nei processi e nelle copiate. Molti suoi beni immobili milionari nel Canavese sono stati sequestrati. Non c’è molta memoria del suo pedigree politico criminale.
Mario Ceretto ucciso dalla ‘ndrangheta è stato citato nel 2015 da Pietro Grasso nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali. Porta il suo nome un piccolo archivio di cinema e letteratura.
Non c’è molta memoria del partigiano che si oppose alla ‘ndrangheta nel Canavese.
«Odore d’abbandono desolato», scrive Guido Gozzano nella signorina Felicita.

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