LAMEZIA TERME Qual è il costo – umano ed economico – da pagare per poter ricevere, in cambio, le cure necessarie per poter guarire da malattie e infortuni? Se quantificarlo è quasi impossibile o comunque un esercizio complesso, comprenderne le ripercussioni negative è più semplice, soprattutto quando si entra in contatto con chi ha alle spalle esperienze vissute in prima persona. Che in Calabria il sistema sanitario viva di alti e tantissimi bassi è un fatto oggettivo: prova ne sono i 12 anni di commissariamento ma anche le continue proroghe del “Decreto Calabria”, vissute come un successo ma che assomigliano più a misure di contenimento eterne, prima di affrontare un giorno il problema.
Ma che troppo spesso la sanità pubblica non riesca a dare risposte concrete e positive alle migliaia di pazienti calabresi è una “normalità” che di normale non ha proprio nulla. Gli esempi sono centinaia, tanto quanto le testimonianze raccolte in questi anni. Come, ad esempio, quella che arriva da Lamezia Terme, raccontata al Corriere della Calabria e alle telecamere de L’altro Corriere Tv. La storia di un uomo, Maurizio Pullia, originario di Decollatura, nel comprensorio di Lamezia Terme, vittima di un infortunio ad un ginocchio, un caso apparentemente di poco conto, ma che si trasforma nell’ennesimo incubo tutto calabrese consumatosi tra chiamate a vuoto, risposte vaghe e un tour infinito che ha avuto come ultima tappa – neanche a dirlo – il ricorso alle cure da uno specialista privato e a pagamento. «Mi sono infortunato ad un ginocchio e, dopo varie visite, sono dovuto andare a fare una risonanza magnetica, ricorrendo necessariamente al privato. I tempi biblici che mi avevano prospettato non mi consentivano di poter aspettare ancora. Poi ho avuto il ginocchio bloccato, e ho avuto il bisogno di fare riabilitazione». Ed è così che Maurizio Pullia decide di rivolgersi al centro Inail di Lamezia Terme, ricevendo però una risposta disarmante: «Mi hanno risposto in modo secco, io avevo bisogno di tornare a camminare ma mi hanno detto “no, qui non c’è niente”».
Da qui la necessità di rivolgersi a strutture private. Insomma, l’alternativa proposta sempre più spesso alla sanità pubblica, urgenza legata alla necessità di individuare “altre vie” se si vuole davvero ricevere delle cure tempestive ed efficaci. «Ce ne sono a decine in città e nel comprensorio, tutte pronte e disponibili ma con costi considerevoli perché fare due mesi di fisioterapia vi posso garantire che è molto costoso, oltre alle risonanze prima e dopo il percorso di riabilitazione». Quella di Maurizio Pullia è una storia comune – purtroppo – a tante altre che da Lamezia Terme e dal comprensorio lametino gridano vendetta e giustizia. Anche perché, come in questo caso, il paziente dal sistema sanitario non ha ricevuto alcun servizio e alcuna assistenza. «Tutti i medici che ho trovato sul mio percorso erano tutti a pagamento guarda caso, quindi cercare di recuperare una gamba e la piena mobilità mi costerà uno sproposito».
Per Pullia oltre il danno anche la beffa. Già perché oltre a suoi evidenti problemi di salute legati ad un infortunio, l’uomo è anche padre di una bimba affetta da disabilità. «Quindi io le gambe le devo recuperare non solo per me, ma anche per mia figlia che non può camminare. E in questa situazione ho dovuto trovare altre soluzioni, sono stato abbandonato dalla sanità pubblica. La risposta “non c’è niente” mi è rimasta in testa». «Sono stato costretto insomma ad abbandonare l’idea di affidarmi alla sanità pubblica che almeno sulla carta sarebbe riconosciuta per ricorrere però qualcuno poi non ha la disponibilità finanziaria, poi non saprei dirvi. Io non navigo nell’oro, non posso spendere e spandere, non posso. Ho dovuto e devo centellinare tutto perché ho due bambini di cui una disabile che ha bisogno di cure e spostamenti, e oltretutto mi devo spostare anche fuori regione. E a parte tutto questo, io non riesco neanche ad aiutare mia moglie nella vita quotidiana perché la gamba non me lo permette. Come posso aspettare i tempi biblici di queste persone che non mi hanno dato nemmeno mesi di riferimento per l’attesa?».
Lo sfogo di Pullia guarda anche all’attualità e all’arrivo promesso dei medici cubani in Calabria. «Io auspico che arrivino questi medici, ma anche da qualsiasi altro posto e che ce ne siano di più affinché ci sia un’offerta maggiore e migliore per gli utenti, ma soprattutto penso che chi di dovere dovrebbe andare un po’ ad indagare come funzionano queste cose, perché una persona come me che è un semplice cittadino potrebbe anche avere dei sospetti perché sembra una congiuntura troppo precisa, troppo precisa. Ogni volta che chiamiamo di dicono sempre da chi andare a pagamento, di indicano sempre il medicinale a pagamento, ci manca solo che tra un po’ al CUP dei nostri ospedali ci diano una lista delle cliniche private dove possiamo andare. Qualcuno dovrebbe alzare un po’ la testa e andare a vedere come funzionano queste cose». Ma un sassolino dalla scarpa Pullia se lo toglie: «Purtroppo abbiamo i macchinari al centro dell’INAIL a San Pietro Lametino, un fiore all’occhiello come nessun’altra struttura e poi le risposte sono queste, per non parlare della professionalità di chi risponde al telefono, perché bisogna avere anche un po’ di tatto nei confronti di una persona che ti sta chiamando che comunque non chiama per salutarti. C’è una freddezza e una mancanza di rispetto verso il cittadino che paga le tasse per essere curata, e che invece paga le tasse per poi dover andare a pagare anche quello di cui poi ha bisogno». (redazione@corrierecal.it)
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