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la testimonianza

Rinascita Scott, il giorno di Petrini e i ricordi “rimossi” sulla Massoneria

L’ex giudice è stato sentito come teste nel maxi processo. Le dichiarazioni (ritrattate) sulle riunioni segrete (“Eravamo nello studio di Pittelli”) e gli iscritti

Pubblicato il: 08/11/2022 – 13:51
di Alessia Truzzolillo
Rinascita Scott, il giorno di Petrini e i ricordi “rimossi” sulla Massoneria

LAMEZIA TERME Brevi e laconici “No”, al massimo “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. Sentito nell’aula bunker di Lamezia Terme, nel corso del maxi-processo Rinascita-Scott, l’ex giudice della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini, si trincera dietro al silenzio.
Il pm Antonio De Bernardo gli sottopone i verbali di dichiarazioni rese e poi smentite dallo stesso giudice in qualità di indagato dalla Procura di Salerno per varie accuse di corruzione in atti giudiziari.

L’associazione segreta e la smentita

La Procura di Salerno, competente per i reati che riguardano i magistrati del distretto di Catanzaro, gli aveva chiesto del suo primo incontro con la massoneria e Petrini aveva risposto: “Ho partecipato a una riunione nello studio dell’avvocato Pittelli, sito in Catanzaro nel centro della città, era la metà del 2018 e fui lì condotto da Santoro Emilio detto Mario. C’erano altre persone tra cui colleghi magistrati della Corte d’Appello, dottori Domenico Commodaro, Fabrizio Cosentino, Giancarlo Bianchi, il collega presidente della sezione Riesame Giuseppe Valea, il procuratore di Cosenza Mario Spagnuolo. Tra gli avvocati c’erano Anselmo Torchia, Salvatore Staiano. In tutto saremmo stati più di una decina di persone. Non ricordo il nome della loggia. Io ero il nuovo, gli altri erano già iscritti. Fui presentato da Santoro. Prese la parola l’avvocato Pittelli e annunzia agli altri che io ero interessato a far parte di questa associazione segreta”.
Su queste dichiarazioni gravissime il teste, difeso dall’avvocato Francesco Calderaro, già nel 2020 aveva ritrattato tutto.
Oggi in aula, nel processo che vede l’avvocato Giancarlo Pittelli imputato, tra le altre cose, per concorso esterno in associazione mafiosa, Marco Petrini ha giustificato le proprie ritrattazioni affermando che la causa era dovuto a “condizioni di estrema prostrazione psicologica” a causa delle quali “ho reso dichiarazioni nelle quali non mi riconosco”.
Tale stato di prostrazione sarebbe dovuto agli strascichi di un mese di carcere a Salerno e all’isolamento successivamente vissuto nel convento di Giffoni nel quale “per 15 giorni sono stato chiuso nella mia cella senza avere contatto con nessuno”.
“La paura – prosegue il teste –, il terrore che mi ha preso perché ero molto provato, ha fatto sì che rendessi dichiarazioni che non rispondono al vero. Stavo talmente male che non ricordo niente. Non mi riconosco in quelle dichiarazioni. Tutta la storia della Massoneria ho cercato di rimuoverla completamente”.

“No” e “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”

Dunque niente, su quelle dichiarazioni esplosive Petrini ha fatto il vuoto.
Conosce gli obblighi derivanti dall’appartenere a una loggia massonica coperta?, chiede il pm De Bernardo.
“No”.
Ricorda di avere letto la formula di giuramento a una loggia massonica? E gli obblighi che ne derivano?
“No” e “No”.
E’ a conoscenza degli obblighi gravanti sui magistrati appartenenti a una loggia massonica coperta, tra cui quelli di assecondare a determinate richieste?
“No”.
Ha mai saputo di canali privilegiati per alcuni avvocati?
“Non ero e non sono a conoscenza di situazioni di questo tipo”.
Per quanto riguarda il giudice Binchi, Petrini dice solo che “eravamo entrambi addetti al penale ma in sezioni diverse”.
Poi si avvale della facoltà di non rispondere per gli argomenti che riguardano il teste direttamente e sono oggetto di procedimento penale.
Dice che conosceva l’avvocato Pittelli e aveva con lui un rapporto avvocato-giudice.
Il resto è un inanellarsi di facoltà di non rispondere.
Il pm a questo punto chiede cosa abbia spinto il magistrato a rendere dichiarazioni collaborative  alla Procura di Salerno.
L’input sarebbe scaturito, secondo il teste, dall’aver riconosciuto la responsabilità delle sue condotte. “Quelle erano cose che ho fatto veramente io”, dice Petrini riguardo a una serie di accuse di corruzione in atti giudiziari per le quali in primo grado è stato condannato a 4 anni e 4 mesi di reclusione (il processo pende ora davanti alla Corte d’Appello).

La conversazione con la moglie e la promessa di cambiare indirizzo (di casa)

Anche della conversazione del 22 febbraio 2020 con sua moglie Stefania Gambardella che fu causa di una nuova carcerazione per il giudice, Petrini dice di non ricordare molto. O meglio, ricorda che quando disse alla moglie “cambierò indirizzo” non intendeva l’indirizzo di difesa ma “quello di residenza”. Il pm fa notare che sua moglie subito dopo parlò di linea difensiva ma Petrini ribadisce che si trattava dell’indirizzo di residenza e che questo punto, che ricorda bene, lo fece mettere nero su bianco nel ricorso al Riesame.
Petrini cominciò a rendere dichiarazioni ai magistrati di Salerno il 31 gennaio 2020. Allora era lucido. Era stato arrestato da 14 giorni, aveva letto le carte che lo riguardavano, il “terrore” non lo aveva ancora sopraffatto. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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