CATANZARO In 12 hanno chiesto il rito abbreviato tranne due persone che sono state rinviate a giudizio. Oggi si è tenuta l’udienza preliminare dell’inchiesta della Dda di Catanzaro denominata “Jonica” che vede imputati appartenenti e sodali della cosca di San Leonardo di Cutro (funzionalmente collegata alla cosca Grande Aracri di Cutro) accusati, a vario titolo, di estorsione, usura, ricettazione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori. Tutti reati aggravati dal metodo mafioso.
Dopo operazioni come Kyterion, Malapianta, Bordeland, Jonny, la Dda di Catanzaro tira le somme sulle vessazioni imposte dalle consorterie cutresi lungo il litorale Ionico che dal Crotonese arriva al Catanzarese.
Villaggi e imprese tenute sotto lo scacco del pizzo, imposto per anni, hanno dovuto versare centinaia di migliaia di euro. Una cosca danarosa quella di san Leonardo, capace di prestiti anche di 200mila euro che precipitavano gli imprenditori nel vortice velenoso dell’usura.
L’aggressività della cosca aveva portato anche a pretendere di usare gratuitamente le abitazioni di semplici privati senza pagare nessun fitto e nessuna spesa.
Lo stesso nome dell’indagine – coordinata dal sostituti procuratori Domenico Guarascio e Paolo Sirleo – delinea il territorio, teatro del predominio mafioso dei crotonesi. Un predominio che tocca il litorale dell’alto Ionio catanzarese e del basso crotonese, comprendente i comuni che vanno da Sellia Marina a Isola Capo Rizzuto e Cutro (Sellia, Cropani, Belcastro, Botricello, Steccato di Cutro, San Leonardo di Cutro e Isola Capo Rizzuto). Vessati dalla cosca di San Leonardo di Cutro erano villaggi turistici, ditte, imprenditori, privati e persino condomini.
Il prossimo 8 febbraio verrà definita la posizione di coloro che hanno chiesto il rito abbreviato. Si tratta di
CATERISANO Santino,
MANNOLO Albano,
MANNOLO Alfonso,
MANNOLO Antonio,
MANNOLO Carmelina,
MANNOLO Dante, classe ’68
MANNOLO Leonardo,
MANNOLO Remo,
MERCURIO Vincenzo,
RANIERI Carmine,
TRAPASSO Giuseppe,
ZOFFREO Fiore.
Il gup Chiara Esposito ha rinviato a giudizio Felice Falcone e Salvatore Giannotti. Per quanto riguarda Falcone, è stato dichiarato estinto per prescrizione un capo di imputazione di usura che lo riguardava (perché risalente al 2004).
Per loro l’udienza è fissata per il 26 gennaio 2023 davanti al tribunale di crotone in composizione collegiale
Si è costituito parte civile l’imprenditore Gianpiero Caruso, e la Euroturist sas, gestore del villaggio Santa Monica in San Leonardo di Cutro, difesi dall’avvocato Michele Gigliotti,
Altra parte civile è Raffaele Oppido.
Un numero, al momento risicato, considerando che le persone offese riconosciute dalla Dda sono in tutto 18.
Alla ditta che aveva la manutenzione del verde nel villaggio Serené, Alfonso Manno e il figlio Dante avrebbero imposto, tra il 2017 e il 2019, somme di denaro da un minimo di 1000 euro al mese a 1.200 euro al mese. Anche il precedente manutentore del verde nel villaggio Serenè ha versato dal 2001 al 2016 somme tra gli 800 e i 900 euro al mese ai due Mannolo.
Una ditta di Catanzaro, dal 2001 al 2018 ha consegnato, secondo l’accusa, a Felice Falcone e Fiore Zoffreo una cifra in contanti non inferiore a 23mila euro annui.
Fiore Zoffeo, a sua volta, avrebbe ricevuto dalla stessa ditta, 10mila euro attraverso un bonifico bancario eseguito in pagamento di una fattura, emessa a fronte di lavori mai eseguiti dalla ditta dell’indagato.
La stessa ditta di Catanzaro sarebbe stata costretta da Dante Mannolo e dal deceduto Carmine Zoffreo, ad avvalersi, per la fornitura di caffè, di aziende contigue alla locale di San Leonardo di Cutro, avvero della ditta individuale di Pietruccia Scerbo, moglie di Dante Mannolo. Dal 2012 al 2016 la vittima avrebbe versato 2.751 euro, 3.145 euro, 2.038 euro, 3.457 euro.
Anche il villaggio “Triton Villas” non è passato indenne dalla mani di Alfonso Mannolo, Santino Caterisano, Remo Mannolo e Fiore Zoffreo i quali, secondo le accuse, avrebbero costretto i gestori, a consegnare loro tra il 2013 ed il 2018, una somma non inferiore a 36 mila euro e nel 2014 Remo Mannolo e Fiore Zoffreo avrebbero minacciato il gestore “intimandogli di pagare la quota dovuta” presentandosi al suo cospetto dopo averlo convocato.
La struttura turistica “Sirio”, dal 2001 al 2013 è stata schiacciata, secondo l’accusa, dall’estorsione posta in essere da Alfonso Mannolo e il deceduto Giuseppe Mannolo, detto “Peppe”.
In questi anni la somma versata non sarebbe stata inferiore alle 250mila euro.
Albano e Leonardo Mannolo sono accusati di tentata estorsione nei confronti del gestore della struttura turistica Sirio. Si presentavano come referenti della cosca dei Mannolo di San Leonardo di Cutro, capace di garantire la tranquillità e la tutela dei beni dell’attività economica, evocando la destinazione delle somme richieste al sostentamento della propria famiglia di `ndrangheta.
Un canone di 30mila euro all’anno era stato imposto da Alfonso Mannolo e Salvatore Giannotti al villaggio “Triton” per un importo complessivo quantificato in 390.000 euro pagati tra il 2005 ed il 2017, ripartiti in due tranche da 15.000 euro ciascuna per anno.
Tra il 2015 e il 2019 Alfonso Mannolo avrebbe costretto un privato a consegnarli un immobile a Botricello, beneficiando, in siffatto modo, di illegittimi vantaggi economici consistenti, tra l’altro, non solo nell’utilizzo gratuito dell’immobile, ma anche nel mancato pagamento delle spese di consumo delle utenze elettriche ed idriche ed nel mancato pagamento degli oneri di tassazione ed imposizione ricadenti sull’immobile, ricadenti, nel periodo considerato, sempre e solo sulla persona offesa, con correlativo danno.
Giuseppe Trapasso avrebbe tentato di farsi consegnare nel 2020 dal bar McFly di Cropani una somma di denaro a favore delle famiglie dei carcerati della sua omonima cosca Trapasso. Nel 2016, invece, Carmine Ranieri era riuscito nell’intento con il medesimo locale a farsi dare 600 euro in due trance.
Antonio Mannolo aveva imposto il pagamento di una quota estorsiva ai titolari delle proprietà immobiliari, all’interno del condominio Alcioni Ville di Cutro. Una vicenda che sarebbe andata avanti dal 2003 al 2018. Si trattava di una cifra di 300 euro da ciascun condomino per un importo complessivo quantificato in 150.000 mila euro.
Emblematica è la vicenda che vede coinvolti Alfonso Mannolo, Dante Mannolo, Remo Mannolo e Vincenzo Mercurio.
Si tratta di un caso di usura che vede vittime due imprenditori edili. A fronte di un prestito di 190mila euro, fatto al primo imprenditore, i tre Mannolo pretendevano la corresponsione di interessi usurari mensili pari a circa 10% della somma pattuita (120% annuo) oltre ulteriori vantaggi usurai.
L’imprenditore aveva concordato con i Mannolo la restituzione della somma entro un mese, con l’applicazione di un interesse del 10% (pari al 120% annuo). Alla scadenza dei trenta giorni, non riuscendo a corrispondere la somma capitale e gli interessi usurai pattuiti, la vittima consegnava, a Dante Mannolo, al cospetto del padre Alfonso, a garanzia delle somme ricevute, assegni per 230 mila euro intestati a terze persone, da considerarsi vantaggi usurai. Successivamente, costretto dalle difficoltà economiche, vantando somme per circa 400 mila euro nei confronti di un altro imprenditore, sorti in esecuzione di lavori edili di subappalto, “scontava” parte di tale credito tollerando che l’imprenditore subentrasse quale garante e materiale pagatore del suo debito usuraio (frattanto lievitato ad euro 250 mila euro in relazione agli interessi pattuiti). Infine anche l’imprenditore-garante si era trovato difficoltà economiche, così avevano deciso di comporre il debito con il pagamento di 125 mila euro in contanti e assegni oltre la cessione, a titolo gratuito, di un terreno edificabile, situato a Legnago (VE) del valore di 125mila euro, fatto intestare, l’11 novembre 2015, dai fratelli Dante e Remo Mannolo a un prestanome fiduciario degli stessi, tale Vincenzo Mercurio. Una vicenda, questa, che contempla i reati di usura, estorsione, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.
Il denaro accumulato illecitamente consentiva agli accoscati di perpetrare l’usura ai danni di persone in difficoltà. Nel 2002 Felice Falcone aveva prestato 51.645,68 euro a un imprenditore dal quale aveva ricevuto, a titolo di interessi, 2.300 al mese per 30 mensilità, quantificati in 69.000 euro totali, oltre alla restituzione del capitale ammontante a 51.645,68 euro. Il tutto attraverso pagamenti in contanti. Il prestito veniva dissimulato con un contratto di associazione in partecipazione, accettato dal debitore alle condizioni poste dal creditore a proprio vantaggio.
Gli imputati sono difesi dagli avvocati Paolo Carnuccio, Luigi Falcone, Antonietta De Nicolò Gigliotti, Gregorio Viscomi, Pietro Mancuso, Andrea Romeo, Giuseppe Fonte, Romualdo Truncé, Salvatore Iannone.
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