ROMA Su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, a Roma e provincia, nella regione Lazio, in provincia di Cosenza e Agrigento, è in corso una vasta operazione della Direzione Investigativa Antimafia per dare esecuzione a un’ordinanza, emessa dal gip del Tribunale di Roma su richiesta della Procura della Repubblica di Roma, Direzione Distrettuale Antimafia, che dispone misure cautelari nei confronti di 26 persone, indiziate a vario titolo di far parte di un’associazione per delinquere di stampo mafioso, una cosiddetta locale di ‘ndrangheta, radicata sul territorio della capitale.
Come fa sapere la Dia in una nota, la ‘locale’ era “finalizzata ad acquisire la gestione e/o il controllo di attività economiche nei più svariati settori, ad esempio ittico, della panificazione, della pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti, facendo poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività e di numerose ipotesi di attribuzione fittizia di valori. “L’organizzazione di matrice ‘ndranghetista si ripropone, alla stregua di quanto ricostruito, in termini di gravità indiziaria, dalle indagini sviluppate dal Centro Operativo D.I.A. di Roma, anche il fine di commettere delitti contro il patrimonio e l’incolumità individuale, affermando il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio”, osserva la Dia. Sono tuttora in corso perquisizioni.
Sul territorio di Roma e provincia era attiva una locale di ‘Ndrangheta, “distaccamento” o “propaggine” della cosca di Cosoleto (Reggio Calabria), composta anche da soggetti appartenenti a famiglie di ‘Ndrangheta originarie di Sinopoli (Reggio Calabria) e di altri comuni calabresi oltre che da alcuni soggetti romani. E’ quanto emerso dal blitz della Dia di Roma che ha portato all’esecuzione di 26 misure cautelari. Secondo gli investigatori, obiettivi della locale erano, tra gli altri, “acquisire la gestione o il controllo di attività economiche nei più svariati settori (ad esempio ittico, della panificazione, della pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti), facendo poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività”; “commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale e in materia di armi”; “affermare il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio (in particolare nel settore della ristorazione, dei bar e della panificazione), realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe”. Gravemente indiziati di essere i capi di tale struttura criminale erano risultati nella precedente inchiesta Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘Ndrangheta originarie di Cosoleto.
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