ROMA Un vero nemico, una spia. Un «rappresentante dello Stato», quindi un soggetto ostile. Per queste ragioni Carmela Alvaro, classe ’90, e uno dei suoi soci, il macedone Semi Letniku, classe ’91, avevano messo nel mirino un amministratore giudiziario, colpevole di essere stato assunto, a partire dal 23 maggio del 2022, per svolgere le attività legate al controllo degli incassi delle società sequestrate alla donna, finita al centro dell’inchiesta dell’11 maggio scorso coordinata dalla Dda di Roma che, di fatto, aveva disarticolato il primo locale di ‘ndrangheta attivo a Roma. E non è un caso se a capo della consorteria criminale, secondo gli inquirenti, ci fosse proprio il padre di Carmela Alvaro, Vincenzo, insieme ad Antonio Carzo, entrambi arrestati.
Carmela Alvaro e il macedone Besim “Semi” Letniku sono finiti in carcere, ora, nel corso del blitz condotto questa mattina dagli agenti della Dia di Roma che ha portato all’arresto, in totale, di 26 persone, su richiesta della Procura della Repubblica di Roma, Direzione Distrettuale Antimafia. Secondo gli inquirenti, lo scopo dell’organizzazione era quello di acquisire la gestione e il controllo di attività economiche nei più svariati settori (ittico, della panificazione, della pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti) ed è proprio in questo quadro che rientra la figura di Carmela Alvaro che, ripercorrendo lo stesso schema della famiglia ‘ndranghetista alla quale appartiene, fin da subito cerca di allontanare, attraverso minacce e intimidazioni, chiunque fosse inviato a gestire i suoi affari.
Per queste ragioni l’amministratore giudiziario era “indesiderato” e da subito vittima di intimidazioni rivolte indirettamente nei confronti dell’amministratore giudiziario, Angelo Enrico Oliva, nominato dal gip del Tribunale di Roma. È lui a riferire che il 23 maggio 2022, ovvero il suo primo giorno di insediamento, Carmela Alvaro aveva manifestato insofferenza, «rappresentando la volontà di dar fuoco al locale». «Nel momento del mio ingresso nel retro adibito a laboratorio – così come riportato nell’ordinanza – i due iniziavano a dare in escandescenza con urla e atteggiamento aggressivi. Inizialmente pensavo che litigassero fra loro ma poi Letniku iniziava a catapultare a terra tutto ciò che era alla sua portata, dalle attrezzature, ai carrelli in metallo, completi di teglie e di prodotti cotti pronti alla vendita, ostacolando l’apertura della porta d’uscita del retro del locale, impedendomi, in effetti, la libera uscita». Il racconto inquietante della vittima si arricchisce, poi, di altri dettagli. «Sia Carmela Alvaro che Letniku, continuavano ad inveire contro di me con parole molto offensive». Ad un certo punto Alvaro invita l’uomo, con toni imperativi e intimidatori, a chiamare l’amministratore giudiziario Oliva. «Chiama quello stronzo di merda di Oliva dì di venire qua, chiamalo!!». E ancora: «Non ce la faccio più, stasera do fuoco al locale!». Insomma, un clima violento che Carmela Alvaro e Letniku volevano imporre sin da subito, con la convinzione di poter “piegare” i nuovi “nemici” rappresentanti dello Stato. Un’ostilità legata essenzialmente all’impossibilità di gestire liberamente gli incassi del forno e, quindi, di intascare una parte in nero da sottrarre all’Amministrazione giudiziaria. «Il 23 maggio 2022 – spiega l’amministratore giudiziario agli inquirenti – la stessa Carmela Alvaro con atteggiamento risentito mi aveva più volte intimato di non mettermi alla cassa perché avrebbe provveduto lei. Voglio precisare che il 20 maggio l’incasso parziale ammontava ad 800 euro mentre il 23 maggio è stato documentato un incasso diverso».
Ai primi segnali di insofferenza seguirà un altro tentativo intimidatorio quando cioè sia Carmela Alvaro che il macedone Letniku lo avevano privato della libertà personale. «Letniku – ha raccontato la vittima agli inquirenti – aveva tirato giù la saracinesca principale del locale, così sono rimasto chiuso all’interno senza la possibilità di uscire. Solo oltre un quarto d’ora dopo è arrivato l’uomo che consegna il latte che è entrato dalla porta posteriore dalla quale sono uscito all’esterno e sono rimasto lì per circa 10 minuti. Successivamente la saracinesca è stata riaperta e sono rientrato». Vicenda tutta registrata attraverso il suo smartphone e finito agli atti dell’inchiesta. In questo lasso di tempo Carmela Alvaro lascia andare tutto il suo livore. «Che ho combinato? Devo lavorare per questo Stato di merda? Che devo fare? (…) Chiama quello stronzo di merda di Oliva e di venire qua… chiamalo (…) fai venire Oliva, senza che tieni la contabilità!».
Quello riscontrato dai pm della Dda di Roma nei confronti di Carmela Alvaro è un atteggiamento che richiama uno schema già visto, fatto di violenze e minacce che la famiglia Alvaro-Palamara sono soliti applicare in occasione di un sequestro di attività commerciali. Come accaduto nella gestione della “Tourtuga srl” e della ditta individuale “Palamara Grazia”, quando cioè anche in quel caso erano stati intimiditi tre amministratori giudiziari. Per queste ragioni Oliva decide di rimuovere il primo amministratore giudiziario dalla ditta individuale “Carmela Alvaro” e di spostarlo in un’altra società finita sotto sequestro ovvero la “Panforno srl”. E al suo posto nomina un nuovo amministratore giudiziario, anche lui preposto al controllo degli incassi. Ma la situazione non cambia affatto.
Anche il secondo ufficiale, infatti, subisce una serie di intimidazioni già dal primo giorno di lavoro, il 13 giugno 2022. Quella effettuata dalla Dia e dalla Dda di Roma è una ricostruzione allarmante ed inquietante. «Non devi toccare i miei soldi, sei un infame, servo dello Stato, pezzo di merda». Queste le offese rivolte da Carmela Alvaro all’uomo appena arrivato nella sua azienda, così come riportato nell’ordinanza del gip. «Si sono subito presentati così – racconta la vittima – nonostante Oliva avesse raccomandato loro di non comportarsi come con il primo amministratore». «Da subito – ha raccontato – Letniku mi è sembrato lo scagnozzo della Alvaro, con un atteggiamento confidenziale non usuale per essere un mero dipendente. (…) si tratta poi di un soggetto dal fisico imponente che più che un fornaio sembrava un “picchiatore”». Ma non è tutto. Così come raccontato agli inquirenti dall’amministratore giudiziario, la stessa sera l’uomo avrebbe ricevuto una visita a casa da parte di un soggetto – non identificato – che lo avrebbe messo in guardia, facendogli presente che l’attività era di proprietà del clan Alvaro e «se ero consapevole della responsabilità e dei rischi che potevo affrontare assumendo tale incarico». (redazione@corrierecal.it)
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