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Nella Granda di Slow Food, dove la ‘ndrangheta resta presunta

Il clan autonomo nato nell’agrumeto del mammasantissima. Il politico inguaiato dalle rivelazioni del pentito (e poi prosciolto). La doppia emigrazione calabrese e i delitti di Bra

Pubblicato il: 10/11/2022 – 6:49
di Paride Leporace
Nella Granda di Slow Food, dove la ‘ndrangheta resta presunta

E’ la Granda. La provincia più grande del Piemonte. Quella di Cuneo. Terra di battute celebri di Totò. Terra di alpini. Granda significa grande in piemontese. Tra le colline della Langa e del Roero vivono seicentomila abitanti in 250 comuni.
Provincia a misura d’uomo senza metropoli e in cui i centri più grandi si chiamano Cuneo, Alba, Bra, Fossano, Mondovì, Saluzzo e Savigliano. Qui ci si conosce tutti.
Qui vige la filosofia del bògianen (colui che non si muove in dialetto) attaccato alle sue radici.
Ma le emigrazioni hanno spostato uomini e donne. Calabresi, come al solito. E anche qui in questa remota terra ricca di giacimenti culturali favolosi hanno scoperto che convivevano con la ’ndrangheta.
Ad Alba repubblica partigiana raccontata da Fenoglio e ricca di tartufi, nel 2009 città con la migliore qualità della vita italiana. Nove anni dopo i carabinieri scoprono la Locale del malaffare.
Scrissero i pm nella prosa giudiziaria: «Significativo che alcuni imprenditori abbiano preferito rivolgersi alla ’ndrangheta per far valere le proprie ragioni creditorie (prestiti fino a 100 mila euro) o siano disposti a versare fino a 2 mila euro al mese per ottenere protezione».

La locale autonoma nata nell’agrumeto del padrino a Rosarno

Il boss Rocco Zangrà comanda e assegna gradi insieme alle famiglie Caterisano, Emma, Stambè. Tentacoli che si sono infiltrati anche nell’Asti calcio regalata dall’ex presidente Pier Paolo Gherlone ai Caterisano, ma anche la Pro Asti Sandamianese, la Us Costigiole Calcio e la Motta piccola California. Piccole società che consentivano ai compari anche di gestire i campi di gioco.
Nell’agrumeto del padrino Rocco Oppedisano, il 30 agosto del 2009 a Rosarno, Zangrà aveva ottenuto il permesso di aprire un’autonoma locale ad Alba, stesso permesso a Michele Gariuolo per Sommariva del Bosco. Sotto gli aranci la nuova cosca riceveva autorizzazione per gestire nuovi affari nella terra dei tartufi con secessione della grande ’ndrina piemontese di Rocco Pronestì. Soldi e business gravitavano attorno a Concretocem snc, la Mercurio Calcestruzzi snc a Castagnole Lanze e la Giacosa sas, azienda agricola all’ingrosso di frutta e verdura a Motta di Costigliole. Mafia militare che diventa imprenditrice.

Anche nella terra dello Slow Food c’è la ‘ndrangheta

Anche a Bra, celebre nel mondo per aver inventato la sovranità alimentare dello Slow Food, c’è la ’ndrangheta.
Lo scorso 23 ottobre, il tribunale di Asti composto da tre giudici ragazzini che hanno meno di 35 anni ha emesso sentenza contro i fratelli Turi e Vincenzo Luppino di Sant’Eufemia D’Aspromonte. Oltre alle dichiarazioni del pentito di turno in un’intercettazione il profilo di Turi: «Vedi che è quarant’anni che è qua. È arrivato che aveva 15 anni. Ha incominciato a sparare e li teneva tutti sotto. Tremavano tutti. Oggi fa le cose pulite perché è stato in galera». Santista con diritto al Vangelo compare Turi.
U Palaia, San Bosco, Schwarzenegger si facevano chiamare i suoi sodali. Una sentenza storica da quelle parti.

Il politico inguaiato dalle rivelazioni del pentito

Domenico Agresta

Due anni fa, ai tempi del blitz Bra era finita sotto shock. Non per gli arresti ma per un avviso di garanzia a Massimo Borelli, assessore Pd al secondo mandato. Ad inguaiare il politico le rivelazioni di un celebre pentito calabrese, Domenico Agresta.
L’assessore era sospettato di aver incontrato Salvatore Luppino durante un permesso premio di quest’ultimo, ai tempi detenuto nella stessa casa circondariale di Agresta dopo essere arrestato nell’inchiesta “Vangelo” della Dda di Reggio Calabria.
Luppino avrebbe chiesto all’allora esponente Pd la possibilità di un lavoro che gli avrebbe consentito di poter accedere alla semidetenzione. In cambio avrebbe offerto un pacchetto di voti. Lo stesso giorno Borelli si dimette da assessore per meglio difendersi.

«In campagna elettorale credo di aver chiesto i voti a tutti»

Il caso monta. Dagli atti giudiziari esce un’intercettazione del boss che parla ad un’amica del vecchio sindaco Bruna Sibille, poi assessore regionale nella giunta Bresso, e che recita: «Devi dire a Sibille digli che io l’ha fatta andare a Torino… e io ho bisogno di lei e mi deve aiutare adesso di nuovo… io l’ho aiutata, te la ricordi quando siete venuti tu e lei a chiedere, per i voti».
Incalzata dalla stampa, Bruna Sibille risponde: «Qualcuno lo conosco altri no, anche perché alcuni di loro erano titolari di locali a Bra. Mi lasci dire che durante una campagna elettorale io incontro tantissima gente e credo di aver chiesto voti a tutti». Bruna Sibilla non è mai stata indagata per voto di scambio. A Siderno forse sarebbe andata diversamente.

Bruna Sibille

Il vicesindaco Borrelli aveva invece dato il numero del responsabile del canile al figlio del boss per potere avviare la procedura di assunzione. Il lavoro però non verrà mai assegnato a Luppino per alcuni problemi sollevati dall’assistente sociale che lo seguiva. Borrelli con i suoi avvocati spiegherà tutto ai giudici e sarà prosciolto da ogni accusa.
Bra, che si pregia del titolo di città della legalità, a un mese dal blitz convoca un consiglio comunale aperto che dura quattro ore con interventi di consiglieri comunali, parlamentari, rappresentanti della società civile che davanti ad un folto pubblico affrontano il tema: “Difesa di Bra, città della legalità, tra narrazione e realtà, alla luce dei recenti avvenimenti circa la presunta presenza di criminalità organizzata”.
Ma i giudici avevano scritto nelle loro carte: «Il gruppo criminale capeggiato da Luppino Salvatore è in grado di procurare voti ai candidati a lui graditi e intrattenere rapporti privilegiati con esponenti politici di primo piano dell’amministrazione comunale di Bra in pieno stile mafioso».

La doppia emigrazione calabrese a Bra

Un pacchetto di voti a disposizione, quello dei Luppino. A Bra l’emigrazione calabrese viene soprattutto da un altrove diverso da quello di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Dal 29 settembre 2007, infatti, il paese della Granda è gemellato ufficialmente con San Sosti. Il gemellaggio fa seguito ad una storia di profonda emigrazione di sansostesi nella città di Bra a partire dalla metà del Ventesimo secolo, con una comunità che conta circa mille residenti originari del centro calabro in provincia di Cosenza. Anche Massimo Borrelli, il vicesindaco sospettato e poi prosciolto, è originario del paese della Madonna del Pettoruto. Forse, la sua, una leggerezza, quella di dare ascolto a compare Turi da Sant’Eufemia d’Aspromonte.
I calabresi di San Sosti sono bene integrati a Bra e le due comunità sono unite da gastronomie a confronto nella capitale dello Slow Food.
Quando due anni fa esplose l’inchiesta sulla ’ndrangheta, Roberto Cerrato, direttore del sito Unesco “Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato” scrisse una lettera alla Stampa in cui si legge: «L’indagine della magistratura apre scenari inquietanti su una città, una comunità che, grazie alla sapienza visionaria di Carlin Petrini, ha seminato in tutto il mondo la cultura del bello, del sano e del buono. Ecco, lo scriviamo e lo gridiamo con tutto il fiato in gola: nulla e nessuno potrà offuscare il lavoro di lenta e costante semina che è stato fatto in questi anni da Carlin e dalle centinaia di uomini e donne che con lui lavorano, in Italia e nel mondo».

La scomparsa di “Nino” il muratore

Eppure a Bra fatti macabri continuano a registrarsi. Avenir Nysai è albanese, 34 anni lo chiamano Nino in paese, viene da una nuova emigrazione, fa il muratore. Il 22 febbraio del 2021 accompagna la mamma al supermercato e afferma che farà ritorno presto, deve fare una commissione. Si reca al circolo “L’arcobaleno” gestito da Nicholas, il figlio di don Turi. Nino non farà più ritorno a casa.

Avenir Nysai

I genitori disperati si rivolgono a “Chi l’ha visto” con Federica Sciarelli che mostra la foto del muratore sui titoli di coda. Tutto inutile. Il corpo del muratore albanese sarà ritrovato il 19 marzo successivo con tre colpi in testa e il corpo abbandonato in una rocca sperduta di un paese vicino. Gli investigatori grazie ad una telecamera di sorveglianza hanno identificato una Porsche Macan di proprietà di un amico del Luppino. Grazie al Gps dell’auto hanno ricostruito il percorso e sono arrivati al luogo del delitto scoprendo il cadavere di Nino, piccoli precedenti e una perquisizione al tempo del grande blitz. Uno sgarro pagato caro. Gli investigatori hanno anche rintracciato la sim del telefono che dopo l’appello di “Chi l’ha visto” fece arrivare il messaggio ai genitori: «Sto bene. Nino». È di un familiare del complice del giovane Luppino. Il circolo “L’Arcobaleno” è sequestrato. Nicholas Luppino e il suo amico Daniele Savoia sono in carcere e sotto processo ad Asti. I giornali locali li indicano come braidesi. Abitanti di Bra. Prima del politicamente corretto sarebbero stati chiamati calabresi.
A Bra capitale dello Slow Food non c’è grande clamore sulla vicenda. Nella Granda piemontese per i bògianen locali la criminalità resta presunta. (redazione@corrierecal.it)

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