REGGIO EMILIA Come cresce un boss della ‘ndrangheta. Lo ha spiegato il pubblico ministero antimafia Beatrice Ronchi che, proseguendo la sua requisitoria nel processo “Grimilde” di Reggio Emilia, si è soffermata sulla posizione di Paolo Grande Aracri. Si tratta del 32enne che, con il padre Francesco (fratello del capofamiglia di Cutro Nicolino) è tra i principali dei 16 imputati alla sbarra per i presunti affari illeciti della consorteria mafiosa emiliana a Brescello e sulle rive del Po. «Su Paolo Grande Aracri – scandisce il Pm – possiamo certamente dire che il dibattimento ci ha restituito un quadro probatorio nei suoi confronti estremamente più ricco di quello della fase cautelare (l’uomo è detenuto nel carcere di Civitavecchia, ndr) e riteniamo che sia stata raggiunta la prova della sua responsabilità per tutti i reati contestati». Secondo Ronchi, inoltre, «il processo ne ha fotografato la crescita come ‘ndranghetista fino al suo arresto nel giugno del 2019, inquadrandolo come stabilmente inserito nelle dinamiche, negli affari e nelle situazioni della cosca, di cui anche il fratello Salvatore (condannato anche in appello in rito abbreviato) e il padre fanno parte». Di fronte a solo due avvocati difensori – Vincenzo Belli e Chiara Carletti, mentre gli altri hanno nuovamente disertato l’aula – il magistrato ripercorre quindi alcuni momenti salienti della «carriera criminale» del giovane, come quando «appena 18enne, si recò subito dallo zio Nicolino che si trovava in carcere a Parma». Compiuta la maggiore età, sostiene inoltre l’accusa, l’imputato fu subito messo al «lavoro», come «prestanome del padre e del fratello nell’azienda mafiosa – come confermano le sentenze – Eurogrande Cotruzioni di Francesco Grande Aracri».
In seguito, prosegue Ronchi, fu fino a circa il 2011 un «attore agli ordini del fratello come factotum, entrando però anche in contatto con esponenti di vertice della cosca come Alfonso Diletto e Nicolino Sarcone». Da semplice «ambasciatore», cioè latore di messaggi tra gli ‘ndranghetisti, Paolo Grande Aracri sarebbe infine diventato un promotore e organizzatore attivo degli affari di famiglia.
Avviene per la Procura intorno al 2017-2018, quando gestisce in prima persona alcune operazioni illecite in Sicilia e in Svizzera. Tra le più rilevanti, quella sulle cosiddette «pompe di benzina bianche» (cioè senza marchio), relativa ad un commercio di carburante eludendo il pagamento delle accise dovute. Ronchi cita anche il caso del bar “Carpe Diem” di Brescello, che Grande Aracri junior e il socio Manuel Conte comprarono dal proprietario che era in difficoltà e portarono al fallimento senza pagare fornitori e dipendenti, tra cui l’ex titolare. Riguardo alle varie operazioni finanziarie oggetto di contestazione il pubblico ministero mette in risalto anche «la mutua solidarietà tra imprese mafiose» che si scambiavano favori e commesse. Ma ancora più forte era il vincolo familiare: «Non c’è nessuna divisione tra Paolo Grande Aracri, il fratello e il padre, nel senso che il primo non sapesse cosa facevano gli altri e viceversa. Tutto veniva condiviso, dai lavori ai sodali, pronti a giungere in soccorso in caso di necessità».
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