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Il carovita si abbatte sulla Calabria, ecco gli effetti – VIDEO

L’inflazione sta erodendo redditi e risparmi. Colpendo maggiormente le fasce più deboli della regione: due quinti del totale delle famiglie. Marino: «Bloccato l’ascensore sociale»

Pubblicato il: 13/11/2022 – 7:00
di Roberto De Santo
Il carovita si abbatte sulla Calabria, ecco gli effetti – VIDEO

REGGIO CALABRIA La fiammata inflazionistica che si è scatenata nel Paese sta bruciando redditi, pensioni e risparmi degli italiani. Riducendo drasticamente la capacità di spesa delle famiglie e limitando gli investimenti delle imprese.
Così dopo l’emergenza pandemica che ha gettato nella crisi profonda cittadini ed aziende con ricadute pesantissime sui redditi delle persone, arriva la gelata sulle aspettative di crescita dell’economia.
Il tasso record raggiunto dall’innalzamento dei prezzi al consumo (+11,9% su base annua, secondo l’ultima rilevazione dell’Istat di ottobre), infatti, pone le basi del rischio di una nuova e più drammatica recessione. I cui effetti, secondo i principali osservatori economici, avranno caratteristiche dirompenti già in quest’ultimo scorcio dell’anno con riverberi ancor più marcati nel 2023. Anno in cui le previsioni di crescita dell’Italia dovrebbero rallentare ed in alcune aree del nostro Paese addirittura azzerarsi. Come nel Mezzogiorno in cui la crescita del Prodotto interno lordo (indice della ricchezza diffusa sul territorio) non raggiungerebbe neppure un punto percentuale, con differenziazioni sostanziali anche su base regionale.
Ed è sempre il Sud a pagare in maniera più marcata il peso dell’inflazione soprattutto per la spesa in beni primari di consumo, un segmento che colpisce in particolar modo le famiglie meno abbienti.
Una condizione che riguarda maggiormente i nuclei familiari delle regioni meridionali. A ricordarcelo anche l’ultima rilevazione della Svimez, che segnala come più di un terzo delle famiglie che vivono nel Mezzogiorno si posiziona nel primo quintile di spesa familiare (quelle meno abbienti). La quota è pari esattamente al 35,2%, contro il 14,4% del Centro e il 13% circa al Nord. Sono perciò loro a soffrire l’impennata record dei prezzi dettata anche dall’innalzamento del costo dell’energia e delle materie prime. Uno stato di cose che ovviamente si riverbera sulla capacità delle famiglie meridionali di generare consumi rispetto ad altre aree del Paese.

Sono i prodotti alimentari tra i beni che hanno risentito maggiormente degli aumenti


Stando alle stime sempre della Svimez, la «gelata» dei consumi nel triennio 2022-2024 colpirà maggiormente il Sud e nel biennio 2023-24 si allargherà la forbice dei consumi tra Sud e Nord, sia per la spesa di beni che di servizi. E addirittura per il prossimo anno, gli analisti della Svimez, prevedono in questa area del Paese un dato negativo per quanto riguarda l’acquisto di beni, proprio a causa del carovita (-1%), e con un lieve miglioramento di appena lo 0,3% per il 2024.
Ed è anche l’Istat che nelle sue elaborazioni segnala il peso specifico che ha sull’inflazione al consumo, la crescita dei prezzi dei prodotti alimentari e dei beni energetici. Ad ottobre su un indice di incremento pari al 11,9% rispetto all’anno precedente, la crescita dei prezzi di fondo (cioè al netto degli energetici e degli alimentari freschi) accelera da +5% a +5,3% e quella al netto dei soli beni energetici da +5,5% a +5,8%. Due componenti che incidono in modo sostanziale appunto sui bilanci familiari e che per questo deprime anche le aspettative future sulla ripresa dell’economia reale. Il clima di fiducia dei consumatori ad ottobre, rileva sempre l’Istituto nazionale di ricerca, registra per il secondo mese consecutivo una flessione dell’indice: passando da 94,8 a 90,1. Il dato più basso, rilevano gli analisti dell’Istat, da maggio 2013. A pesare, la consapevolezza delle famiglie di non poter risparmiare in futuro e sulla possibilità per loro di acquistare beni durevoli. Negativo il giudizio espresso anche sulla propria condizione economica personale e del Paese.
Tutti aspetti che fanno comprendere come la condizione delle famiglie stia progressivamente peggiorando a causa del carovita. E che questa situazione comporti il rischio di un deterioramento rapido del quadro generale economico. Soprattutto in quei territori del Paese – come appunto è il Sud – in cui l’economia generale si regge sui bilanci delle famiglie con il rischio che la forbice tra le due aree dell’Italia continui ancora una volta a divaricarsi.

Il quadro calabrese

Ed in questa situazione di deterioramento del reddito a causa dell’inflazione, il quadro economico delle famiglie calabresi esce decisamente peggiorato.
L’incremento dei prezzi ha colpito pesantemente i nuclei familiari calabresi per via dei beni che hanno subito aumenti record e che costituiscono la loro voce maggiore di consumi.
Si tratta dei beni compresi nel cosiddetto “carrello della spesa” e che hanno fatto registrare le impennate di prezzi maggiori. In particolare a subire gli aumenti più elevati sono state le voci riferite ad abitazione, acqua, elettricità e combustibile, cresciute del 58,8%. Così come a salire in maniera rilevante sono stati i prezzi dei beni alimentari che, ad ottobre, hanno segnato una crescita di 13,5 punti percentuali. Ad incidere sul bilancio delle famiglie anche i costi sui trasporti: +8%. Tutte voci che rappresentano i capitoli principali di spesa delle famiglie e che rapportati ai redditi decisamente bassi dei calabresi – rispetto alla media nazionale e lontani da quelli delle regioni più ricche – si trasformano per loro in una vera e propria morsa. Un cappio al collo che si stringe soprattutto attorno alle famiglie più povere della regione e che rischia di strangolare il già debole tessuto sociale calabrese.
Per comprendere la dimensione del dramma in corso, occorre ricordare che due quinti delle famiglie calabresi rientrano tra quelle con livelli di consumo complessivi più bassi, perché detengono redditi medi minori. Si tratta di quei nuclei che hanno pagato maggiormente gli effetti della deflagrazione dei prezzi, visto che per loro è più elevata la quota di spesa relativa ai beni che hanno subito il maggiore aumento dei prezzi, tra cui quelli energetici e alimentari. Scendendo nel dettaglio della composizione della spesa delle famiglie calabresi, infatti, emerge che quasi un terzo è composta da generi alimentari a cui si somma circa il 14% del totale riferiti alle uscite per le abitazioni e le utenze.
Così anche effetti pesanti si stanno accumulando sui risparmi dei calabresi lasciati in giacenza su conti correnti. L’inflazione sta bruciando infatti il valore dei soldi parcheggiati in deposito negli istituti di credito. Se l’inflazione stimata per il 2022 dovesse essere confermata all’8% su base annua, infatti, eroderà considerevolmente quei risparmi riducendo ancor di più il potere di acquisto delle famiglie ed imprese calabresi da sempre avvezze a lasciare su conti correnti risorse per far fronte alle tante emergenze che di volta in volta si trovano a dover affrontare.


Dall’ultima rilevazione di Bankitalia emerge che le somme lasciate a deposito dalle famiglie ed imprese nel 2021 ammontano a 29 miliardi e 764milioni di euro in crescita rispetto all’anno precedente di oltre 5 punti percentuali. L’andamento dei depositi, rilevano gli analisti di Bankitalia, continua ad essere sostenuto soprattutto dalla componente in conto corrente. In un anno l’incremento delle somme lasciate sui conti correnti è salito di oltre 10 punti percentuali arrivando a 14 miliardi e 796 milioni a fine 2021. Una crescita registrata anche nel corso del 2022, giunta a marzo scorso a +9,1% e spinta soprattutto dal sistema imprenditoriale che ha segnato un incremento del 19% dei soldi lasciati in giacenza.
Somme che se lasciate lì dunque risulteranno erose dal fenomeno inflattivo in corso. Dati e numeri che indicano, dunque, quanto l’inflazione sta impoverendo ancor di più famiglie ed imprese calabresi con rischi di un peggioramento del quadro economico complessivo se non si correrà al più presto a rimedi.

Marino: «L’inflazione ha bloccato l’ascensore sociale»

Inflazione che colpisce la fascia più debole della popolazione, ma che mette a rischio anche il ceto medio calabrese. Bloccando l’ascensore sociale, già frenato dalle precedenti crisi e dalla debolezza della struttura produttiva calabrese. Domenico Marino, docente di Politica Economica all’Università Mediterranea di Reggio Calabria nonché direttore del Centro Studi delle Politiche Economiche e Territoriali del Dipartimento Pau dell’Ateneo reggino, mette in chiaro gli effetti dell’ondata inflazionistica su famiglie ed imprese calabresi. Per questo chiede interventi importanti per evitare la creazione di nuove e più pericolose diseguaglianze. A partire da una riforma tributaria equa: «Non abbiamo bisogno di una flat tax, ma piuttosto di una maggiore progressività dell’imposta». Ed invoca risorse aggiuntive per fronteggiare l’emergenza finanziata dal «fiscal drag inflazionistico» e dalla «tassazione degli extraprofitti delle imprese del settore energia».

Domenico Marino, ordinario di Economia all’Università Mediterranea di Reggio Calabria

Professore l’inflazione colpisce soprattutto le famiglie calabresi a basso reddito incapaci di fronteggiare l’aumento dei prezzi. Quali misure possono risultare utili per offrire risposte?
«Quando si parla di impatto dell’inflazione sulla capacità di spesa delle famiglie bisogna premettere che il tasso di inflazione medio, che è quello stimato dall’Istat, sia poco indicativo. In realtà questo tasso deve essere commisurato al particolare modello di consumo di ogni singola famiglia. Il tasso di inflazione nazionale è una specie di media fatta su tutte le famiglie, dei tassi di inflazione individuali. Variando il reddito, variano anche i modelli di consumo. Le famiglie povere spenderanno gran parte del loro reddito per l’acquisto di beni necessari, mentre quelle ad alto reddito spenderanno maggiormente per beni voluttuari. La prima differenza che avviene quando diminuisce, a causa dell’inflazione, la capacità di spesa delle famiglie, è che i consumi voluttuari possono essere facilmente ridotti, mentre i consumi di beni necessari non possono essere ridotti se non in minima parte. Le famiglie povere sono quindi maggiormente danneggiate sul versante dei consumi da un’elevata inflazione, soprattutto se questa riguarda i beni necessari. Ma l’inflazione è anche una distruttrice di ricchezza in quanto erode il patrimonio mobiliare e, quindi, su questo versante, colpisce anche il ceto medio che vede perdere di valore quanto accumulato dopo il lavoro di una vita. L’intervento pubblico non può essere solo mirato a contenere l’inflazione con gli strumenti della politica monetaria, ma sono necessari altri interventi per evitare l’aggravamento della situazione di indigenza o l’aumento della fascia di povertà relativa. Si tratta di esercitare un controllo sui prezzi per impedire fenomeni speculativi e indebiti aumenti. Inoltre si può utilizzare il Fiscal Drag per prevedere delle forme di ristoro e si possono garantire, per le fasce deboli, forme di sostegno al reddito. Anche la revisione dei criteri dell’Isee potrebbe esser utile a questo scopo».

I pensionati sono tra le categorie più fragili che l’impennata dei prezzi ha colpito particolarmente

Anche a livello di enti locali potrebbero essere attuate azioni per difendere i soggetti economicamente più fragili?
«Gli enti locali devono prestare attenzione alle fasce deboli. I servizi sociali dovrebbero essere molto attenti alle nuove povertà che troppo spesso per vergogna non diventano manifeste. L’impoverimento del ceto medio rimane, almeno in prima battuta, sottotraccia perché coloro che si trovano in questa situazione hanno difficoltà a manifestare la loro situazione. Occorre, quindi, un’attenzione forte sugli aspetti della garanzia del diritto allo studio, del diritto alla mobilità, del diritto all’accesso alla sanità e alle cure. Particolare attenzione va data agli anziani, ai pensionati che spesso con le pensioni minime fanno fatica ad arrivare a fine mese. Occorre una robusta azione strategica in tema di politiche abitative. Il rischio di non riuscire a pagare gli affitti e di essere sfrattati è notevolmente aumentato e per una famiglia perdere il diritto ad una casa, spesso è l’anticamera dell’emarginazione sociale».

Ma i conti economici spesso deficitari dei Comuni calabresi, limitano la loro operatività. Come agire?
«Occorre utilizzare bene il Fiscal Drag inflazionistico e la tassazione degli extraprofitti delle imprese del settore energia. Dovrebbero essere poi destinate per finanziare le politiche sociali dei comuni. Rappresenterebbero una boccata d’ossigeno per l’economia e le famiglie».

E la Regione cosa potrebbe mettere in campo per sostenere le famiglie calabresi?
«Le risorse dei programmi operativi andrebbero rimodulate per tutelare il potere di acquisto delle famiglie. Pensiamo ad alcune misure utili a questo fine. Ad esempio investimenti per garantire maggiormente il diritto allo studio, per intervenire sulle cause che limitano l’accesso alla sanità. Investimenti sul social housing per garantire il diritto alla casa e il diritto all’assistenza agli anziani. Sono misure di buon senso, concrete e vicine ai bisogni della gente, ma troppo spesso colpevolmente dimenticate dai policymaker regionali».

Anche la capacità di risparmio che era una caratteristica del ceto medio calabrese sembra essersi erosa. Ora l’inflazione rischia di comprometterne i risultati. Come fronteggiare anche questo aspetto?
«Già prima di questa fiammata inflazionistica si era registrato un rallentamento della mobilità sociale. Questa erosione del reddito e della ricchezza del ceto medio, causata dall’inflazione, ha ormai bloccato completamente l’ascensore sociale, aumentando le diseguaglianze. Le politiche dei redditi, nei momenti in cui si incrociano inflazione e recessione, sono particolarmente complesse, ma sembrerebbe che il governo nazionale non abbia capito bene il problema. Non abbiamo bisogno di una flat tax, ma piuttosto di una maggiore progressività dell’imposta. La flat tax premia i ricchi e i redditi alti, mentre la necessità, oggi, è di proteggere i redditi medio-bassi con sgravi fiscali e riduzioni consistenti del cuneo fiscale».

Le misure messe in atto dal Governo per ridurre l’impatto del carovita, ritiene siano sufficienti per venire incontro alle necessità anche delle famiglie calabresi?
«Dovrebbero essere più incisive e finalizzate. Quelle messe in atto sono troppo focalizzate sull’aspetto della riduzione dell’impatto sulle bollette, che pure è un aspetto importante, ma che rappresenta solo una parte del problema. Non si tratta, come dicevo, di dare solo degli incentivi e dei bonus a pioggia. Questi strumenti devono essere ben mirati e correttamente orientati. Una revisione del reddito di cittadinanza potrebbe essere importante. Il peccato originale della misura, era quello di voler unire, in un solo strumento, misure di contrasto alla povertà con politiche attive del lavoro. È come voler sommare pere con mele! Dividere le due misure con misure di contrasto alla povertà erogate in kind e misure di politiche attive, quale il salario d’ingresso, erogato per un lasso di tempo breve (6 -12 mesi), non rinnovabile e subordinato ad un’attività di formazione o di lavoro potrebbero non solo essere meno dispendiose, e limitare gli abusi, ma rivelarsi più incisive e efficaci».

L’aumento delle materie prime e della spesa energetica ha colpito il sistema produttivo calabrese

E c’è stato un impatto anche sul sistema produttivo calabrese che sta facendo i conti con l’innalzamento dei costi. Come sostenere le imprese della regione?
«Una delle componenti di questa fiammata inflazionistica è legata all’aumento delle materie prime e della spesa energetica. Questi aspetti sono fortemente penalizzanti per le imprese che, in questa fase di rallentamento dell’economia, vedono crescere a dismisura i costi di produzione. Se le grandi imprese riescono ad attutire meglio queste turbolenze del mercato, le micro e le piccole imprese, che costituiscono la stragrande maggioranza delle imprese calabresi, sono quelle più esposte e più indifese di fronte a questi rischi. Per sostenere le imprese, utili sono le misure per combattere il caro energia, ma non bisogna dimenticare che il sistema del credito in Calabria è fortemente penalizzante. Garantire l’accesso al credito, e soprattutto garantire tassi di interesse non “usurai” da parte del sistema bancario è una via obbligata per sostenere le imprese in questo frangente. In assenza di un sistema di banche locali, bisogna evitare il rischio del razionamento del credito da parte dei grandi gruppi bancari nazionali. Bisogna in sostanza promuovere un patto virtuoso con il sistema bancario che potrebbe cogliere l’occasione per rimediare a errori del passato e diventare uno dei motori dell’economia calabrese».

Fonte: Istat

L’incertezza inoltre blocca gli investimenti già deboli delle imprese calabresi. Su questo fronte come si può agire?
«L’attrazione degli investimenti è stato sempre uno dei punti deboli delle imprese e del sistema produttivo calabrese ed anche uno dei fattori che hanno limitato la capacità competitiva del sistema Calabria. Le imprese, in generale, soffrono le situazioni di incertezza e vengono penalizzate da aspettative negative sul futuro. Oggi lo scenario futuro – complice l’inflazione, il caro energia e il rallentamento della crescita – non è sicuramente roseo. La capacità di dare e creare fiducia è in questo momento fondamentale. Prima ancora che metter in campo delle misure è necessario che il governo sia capace di creare e di iniettare fiducia nel sistema produttivo, soprattutto meridionale. Quello che bisogna sicuramente evitare e che le imprese percepiscano in questo momento una distanza e un disinteresse da parte delle Istituzioni; che invece si devono sforzare di dimostrare con tutti gli strumenti a disposizione, di essere accanto alle imprese e di camminare insieme ad esse per superare questo periodo di crisi. Incentivi mirati all’innovazione e alla competitività, anche sotto forma di sgravi fiscali, potrebbero essere in questo momento molto efficaci». (r.desanto@corrierecal.it)

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