REGGIO CALABRIA E’ iniziata con la protesta del boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, l’udienza in corso in Corte d’Assise d’Appello a Reggio Calabria per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, trucidati nei pressi di Scilla il 18 gennaio del 1994 mentre pattugliavano l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, nell’ambito del progetto di intimidazione di Cosa nostra contro lo Stato. Graviano, detenuto a Spoleto, ha ribadito, nonostante una recente decisione della Corte e parere conforme della Dda, di non avere ancora ricevuto il supporto informatico per potere visionare i documenti e gli atti processuali.
L’udienza è proseguita con l’ascolto del collaboratore di giustizia Marcello Fondacaro, imprenditore molto noto negli anni 80 nella piana di Gioia Tauro, che ha riferito in aula di essere stato vittima di usura mafiosa dai Piromalli-Molè, e costretto alla chiusura delle sue strutture sanitarie private convenzionate, di cui una realizzata ad Ardea, che insieme rendevano fatturati di oltre tre miliardi di lire all’anno. Fondacaro, inoltre, interrogato dal Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha ammesso di essere stato iniziato alla Loggia “Giustinianea” di Roma, il cui referente sarebbe stato Giulio Andreotti, e ha ricostruito la rete massonica della P2 in Calabria, da Gioia Tauro e Gioiosa Jonica. «A Gioia Tauro – ha detto – il Gran Maestro era l’avvocato Pino Strangi, consuocero di Gioacchino Piromalli, grazie ad un accordo diretto con Licio Gelli, mentre a Gioiosa Ionica la funzione era ricoperta dal barone Placido, una struttura in cui vidi anche don Giovanni Stilo e altri personaggi della Locride». Fondacaro ha affermato anche di avere conosciuto altri massoni calabresi, «tra cui molti erano socialisti, tra i quali Gentile, Zavettieri, Loizzo, e dirigenti bancari della ex Carical, come Carlo De Luca, che aveva stipulato numerosi finanziamenti con imprenditori vicini ai Piromalli-Molè». (Agi)
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