COSENZA È la vulnerabilità del patrimonio edilizio che rende particolarmente elevato il rischio sismico in Italia. Questo perché buona parte degli edifici pubblici, delle abitazioni così come dei siti industriali e produttivi non sono stati realizzati con criteri antisismici.
Senza contare l’enorme patrimonio architettonico costituito dalla miriade di siti archeologici, monumenti, centri storici ed opere d’arte che sono presenti sull’intero territorio italiano. Una caratteristica fondamentale che per l’alta concentrazione rende unico il nostro Paese nel mondo, ma al contempo ne costituisce la sua fragilità. Soprattutto in caso di terremoti. Il sisma che ha devastato il centro storico de L’Aquila nel 2009 ne rappresenta l’ultimo drammatico esempio. Stando ai calcoli effettuati dal dipartimento della Protezione civile sugli effetti dei terremoti negli ultimi 50 anni in Italia, si stimano danni al patrimonio edilizio del Paese per 191 miliardi di euro.
Ma è soprattutto in termini di perdite di vite umane che il bilancio dei terremoti – per le caratteristiche proprie degli edifici in cui si vive – diventa ancora più drammatico.
Una conta dei morti che è purtroppo facilmente stimabile per i precedenti fenomeni sismici che si sono succeduti nel tempo lungo la Penisola. Soltanto calcolando gli episodi registrati lo scorso anno in Italia, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) ne ha contato 16.095: con una media di 44 al giorno ovvero un evento ogni mezz’ora. Nessuno per fortuna con effetti disastrosi, ma andando indietro nel tempo i numeri cambiano radicalmente. Sovrapponendo le aree colpite dagli eventi tellurici più devastanti con le caratteristiche degli edifici presenti nelle zone, emergono previsioni decisamente drammatiche in termini di perdite di vite umane.
Secondo uno studio del Servizio sismico nazionale, ad esempio, emerge che nella sola città di Catania – se si verificasse un terremoto pari al massimo registrato nella zona – il numero delle vittime sarebbe compreso tra i 20mila e i 70mila morti (una differenza stimata in caso di evento sismico notturno), così come per L’Aquila i decessi potrebbero arrivare fino a 14.500.
Ipotesi tutt’altro che remote se si consideri appunto che in Italia soltanto il 14% degli edifici presenti nelle aree dove si sono registrati terremoti importanti (45% dell’intero Paese) sono stati realizzati con criteri sismici.
Una situazione allarmante che riguarda particolarmente da vicino la Calabria. Regione che ha registrato nei secoli tra i maggiori eventi tellurici avvenuti nel Paese, presenta un patrimonio edilizio decisamente delicato e una densità di popolazione elevata che vive nelle zone interessate da faglie attive. Tutti aspetti che portano praticamente l’intera regione ad essere classificata al massimo livello di pericolosità sismica. Nonostante tutto questo si è fatto poco o nulla sul livello della prevenzione e le risorse messe in campo per ridurre l’impatto di un evento potenzialmente devastante per la regione, sono decisamente insufficienti.
Per comprendere i rischi che la Calabria corre in termini di numero di vittime, di devastazione delle costruzioni e di costi diretti ed indiretti derivanti da un terremoto, è sufficiente analizzare alcuni dati reali. A partire dagli eventi che nei secoli si sono succeduti nella regione.
Secondo i dati raccolti dal sistema della Protezione civile che ha analizzato gli eventi tellurici solo degli ultimi secoli, dal 1183 al 1947 si sono registrati 23 terremoti con un’intensità pari o superiore all’ottavo grado della scala Mercalli. Eventi che complessivamente sono costati oltre 150mila morti. Un numero che comprende anche le vittime del sisma che il 28 dicembre del 1908 rase al suolo Reggio Calabria e Messina e costato la vita di centomila persone. Non meno devastante fu quello che si verificò tra febbraio e marzo del 1783 quando uno sciame sismico interessò la Calabria centro-meridonale causando la morte di 35mila persone. E, andando a ritroso, per numero di morti ed intensità del sisma c’è da segnalare il terremoto che il 27 marzo del 1638 devastò la Valle del Savuto disseminando morte e distruzione. In quel sisma persero la vita diecimila calabresi che vivevano nella zona.
Eventi scatenati tutti, secondo recenti studi, da un sistema di faglie in piena attività che si sviluppa dalla Valle del Crati, passa per lo Stretto di Messina e termina in Sicilia. Attraversando così praticamente tutta la regione.
In questo territorio caratterizzato da un elevato rischio sismico vi è la presenza di un reticolo di piccoli centri, ma anche di cittadine medio-grandi costituito in gran parte da edifici pubblici e privati non adeguati a reggere l’urto di eventi tellurici simili a quelli che si sono già verificati e che, stando agli studi, si ripeteranno con certezza nel futuro.
A dare la dimensione della fragilità del patrimonio edilizio presente in Calabria ci ha pensato l’Ance. Leggendo i dati di un recente studio realizzato dall’Associazione regionale dei costruttori, emerge infatti che nelle aree maggiormente esposte ad eventi tellurici sono presenti circa 610mila edifici abitativi. Ebbene di questi ben il 75% realizzati prima del 1980, cioè prima che entrassero in vigore le normative antisismiche che sono alla base delle più recenti costruzioni.
Scendendo nel dettaglio, viene fuori che il 26,4% sono stati costruiti prima del 1945. Dallo studio dell’Ance, deriva che oltre la metà degli edifici ad uso abitativo (esattamente il 52,2%), che si trova nelle aree a maggiore rischio sismico, sono realizzati con una struttura portante in muratura. Si tratta di case in cui vivono ed abitano un numero rilevante di calabresi e che in caso di terremoto di intensità massima registrata nella zona, non reggerebbero all’urto del sisma. Con conseguenze importanti per numero di vittime.
Per mettere in sicurezza o quantomeno garantire una maggiore tenuta degli edifici privati in Calabria in caso di sisma, gli analisti dell’Ance, stimano che occorrerebbero 7,4 miliardi di euro. Una cifra ragguardevole e molto lontana da quanto programmato nel nostro Paese se si consideri quanto finora è stato previsto dai governi che si sono succeduti. Il Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico – il cui fondo è stato istituito nel 2009 – ha previsto fino al 2016 appena 965 milioni di euro per tutta l’Italia e poi ulteriori 50 milioni per il triennio 2019-2021. Somme destinate sia a finanziare interventi su edifici ed opere pubbliche che su strutture private dell’intero Paese. Risorse importanti, dunque, ma che danno la misura di quanta strada ci sia ancora da percorrere per tutelare la popolazione ed il patrimonio edilizio nazionale. Tanto che la stessa protezione civile nel descrivere l’ammontare delle risorse, le ha definite sufficienti a coprire un fabbisogno «forse inferiore all’1%» «necessario per il completo adeguamento sismico di tutte le costruzioni, pubbliche e private, e delle opere infrastrutturali strategiche».
Dal Piano nazionale di ripresa e resilienza è arrivata una mano, con risorse aggiuntive da destinare alla messa in sicurezza degli edifici. Da quei fondi sono state stanziate le risorse per finanziare i sismabonus e somme sono state anche previste per garantire il patrimonio culturale italiano dal rischio terremoti. Nella linea 2.4 del Pnrr a questo specifico compito vi è una dotazione di 800 milioni. Sempre in tema di risorse destinate alla sicurezza sismica dei luoghi di culto e delle costruzioni pubbliche, alla Calabria sono stati assegnati 50 milioni e 465mila euro per realizzare 37 interventi in altrettante chiese ed edifici di culto. Una goccia nell’oceano del fabbisogno della regione, tra le più esposte del Paese a tutelare la vita dei suoi cittadini.
Ci sarebbe una sottovalutazione del rischio sismico in Calabria. Nonostante l’alta probabilità di un evento tellurico devastante nella regione. Ne è convinto Gino Mirocle Crisci professore emerito di Petrografia all’Università della Calabria dove è stato rettore nonché direttore del Dipartimento di Biologia, Ecologia, Scienze della Terra.
Professore, sappiamo che la Calabria è un territorio altamente sismico. Ma perché il rischio è così elevato?
«L’elevato rischio sismico è la conseguenza della elevata energia accumulata nei processi geologici che caratterizzano la regione. Dunque è strettamente correlato alla storia geologica della Calabria. La complessa e, per certi versi, l’affascinante evoluzione geologica degli ultimi 7 milioni di anni, ha generato in Calabria un assetto geologico eccezionale, dove rocce di natura alpina sono sovrapposte (unico caso al mondo) a rocce più giovani di natura appenninica. La causa di tale fenomeno è riconducibile all’apertura, alle spalle della Calabria o come meglio definito in ambito geologico dell’Arco calabro-peloritano, di un nuovo oceano in formazione: il Tirreno. Come molti sanno, nel Tirreno meridionale sono attivi numerosi vulcani, il più importante ed imponente è il Marsili, posizionato al centro del Tirreno e circondato da altri vulcani. Questa complessa evoluzione geologica ha generato un processo denominato “subduzione”, dove la crosta oceanica, dal lato ionico, si è infilata sotto la crosta calabra, fino a notevoli profondità. Tale fenomeno è il responsabile dei terremoti profondi (anche fino a 500 chilometri) che caratterizzano la zona tirrenica e l’Arco calabro-peloritano. Analogamente, a livello superficiale, l’apertura del Tirreno induce un sollevamento di tutta la Calabria, generando un accumulo di energia che viene scaricata, periodicamente, sottoforma di terremoti superficiali (crostali)».
Cosa è possibile fare per prevenire gli effetti più devastanti sui territori?
«Non potendo, per ora, prevedere il verificarsi degli eventi sismici, possiamo al contrario difenderci efficacemente dagli effetti dei terremoti. Non dobbiamo mai dimenticare che il rischio sismico non è legato all’evento tellurico, in senso stretto, ma agli effetti devastanti che ha sull’edificato e sulle suppellettili. Uno stesso sisma produce effetti distruttivi completamente diversi se si verifica in una zona dove gli edifici sono vecchi o mal costruiti, rispetto a zone dove vi sono edifici costruiti con i più moderni accorgimenti antisismici. Per prevenire gli effetti dei terremoti occorre costruire i nuovi edifici con le più moderne tecniche antisismiche ed intervenire analogamente sul costruito, al fine di aumentarne le difese da un futuro (certo) evento sismico».
Le caratteristiche di molte città e paesi calabresi costituti da centri storici con edifici datati e da un patrimonio architettonico molto antico, rendono il territorio particolarmente vulnerabile. Come agire?
«Fino a qualche decennio fa vi era una scarsa capacità di intervento sull’edificato storico. In riferimento ai centri storici organizzammo, all’Unical, un apposito convegno, per evidenziare le scarse conoscenze sulla difesa sismica, dal titolo: “Archeologia del costruito”. Oggi, a seguito dei più recenti terremoti che hanno caratterizzato l’Italia (Umbria, Molise, L’Aquila) hanno avuto un notevole sviluppo gli studi per poter mettere in sicurezza gli edifici dei centri storici. Così analogamente al costruito in cemento armato, anche sull’edificato in pietra si possono attuare efficaci interventi».
E sul fronte di eventuali eventi tellurici, la Calabria è sufficientemente monitorata?
«Da questo punto di vista la Calabria è ben monitorata. Vi è la Rete sismica nazionale gestita dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), e le Reti locali – quali quella che fa capo all’Università della Calabria e quella dello Stretto di Messina».
Le Università calabresi stanno compiendo attività di ricerca in questo campo?
«Sia presso l’Università della Calabria che alla “Mediterranea” di Reggio Calabria sono attivi alcuni gruppi di ricerca, che studiano come migliorare le tecniche antisismiche di difesa dai terremoti. Analogamente, proseguono gli studi geologici al fine di capire le cause strutturali degli eventi sismici».
Quali risultati si sono raggiunti da questi studi?
«Dal punto di vista ingegneristico, l’implementazione di laboratori specializzati nel valutare gli effetti delle onde sismiche ha permesso di conoscere specificatamente il comportamento strutturale degli edifici. Sono stati studiati nuovi materiali da applicare, sia al costruito in cemento armato sia in pietra, al fine di aumentare le difese dagli eventi sismici. Per quanto riguarda gli aspetti geologici e geofisici, è migliorata la conoscenza sulle possibili localizzazioni dei prossimi eventi sismici».
Le risorse previste, tra cui quelle del Pnrr, per mettere in sicurezza i territori le ritiene adeguate?
«Non ho il quadro completo di tutti i progetti Pnrr, ma dalle informazioni in mio possesso ritengo che il rischio sismico sia stato quasi completamente dimenticato. Anche nel programma di ricerca di “Tech4 You”, che vede coinvolte tutte le Università calabresi, l’Università della Basilicata e il CNR, vengono presi in considerazione i rischi legati al cambiamento climatico, ai dissesti idrogeologici, nonché i problemi legati alla biodiversità; e purtroppo sembrerebbe che non vi sono linee di ricerca che investano le complesse problematiche legate al rischio sismico. Non considerando che tale rischio è di gran lunga quello più importante per la salvaguardia socio-economica dell’intera regione calabrese».
Come valuta interventi come il sismabonus per migliorare l’edilizia residenziale?
«Il sismabonus è uno degli strumenti fondamentali per difendersi dai terremoti. Solo dando ai cittadini la possibilità economica di poter intervenire sull’edificato, si potranno mitigare gli effetti dei terremoti. Il rammarico, che il sismabonus è poco pubblicizzato e quindi poco conosciuto e scarsamente utilizzato. Il consiglio che mi sento di dare è quello di utilizzare tale strumento normativo, anche se comporta in genere, una limitata spesa da parte dell’utilizzatore; è molto meglio fare un piccolo sforzo in termini economici, e dormire notti serene».
C’è sufficiente attenzione da parte delle istituzioni e della politica in tema di rischio sismico in Calabria?
«Vi è una assoluta mancanza di attenzione, da parte di tutti, sul problema del rischio sismico in Calabria. Vi è una generale forte sottovalutazione della questione sismica. In genere si parla di rischio solo per pochi giorni, dopo uno dei piccoli (fortunatamente) terremoti che hanno caratterizzato il territorio calabrese negli ultimi decenni. Non si è ancora capito che la storia socio-economica della Calabria è stata, negli ultimi 250 anni, segnata dal susseguirsi di tali eventi, con forte impatto sul territorio. Ricordiamo i fortissimi terremoti del 1783, del 1905 e del 1908, e tutta una serie di eventi minori che hanno in ogni caso inciso sul tessuto sociale delle aree colpite. Fortunatamente, oggi vi è una tregua per quanto riguarda gli eventi sismici estremi. Occorre assolutamente approfittare di questa “pausa” per creare le condizioni più favorevoli per affrontare serenamente i decenni futuri». (r.desanto@corrierecal.it)
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