L’Assemblea nazionale del Pd, convocata per approvare modifiche statutarie in vista del congresso è il primo appuntamento del massimo organismo rappresentativo convocato dopo la sconfitta del 25 settembre. Sarebbe stato più che opportuno, necessario che si tenesse con la presenza in carne ed ossa dei tanti compagne e compagni che oggi sono costretti ad interloquire ed a confrontarsi attraverso uno schermo, ognuno parlando in solitudine, da casa propria, senza potersi guardare negli occhi, poter scambiare una opinione, raccontare la propria esperienza e poter cogliere sensazioni, stati d’animo, la dimensione giusta, direi interiore che si richiede ad una comunità politica. È stato un grave errore non averlo consentito ma ancor più preoccupanti sono le ragioni che stanno dietro questa scelta. Sono ragioni esclusivamente politiche, espressione dei processi di caduta dei valori, del profilo e della credibilità politica che hanno segnato la vita stessa del nostro partito in questi anni. Il risultato del 25 settembre che ha consentito la vittoria della destra e consegnato la guida del Paese a Giorgia Meloni, come è stato ampiamente detto, costituisce un fatto inedito gravemente negativo ed una pesante sconfitta per le forze di progresso. Una sconfitta politica prima ancora che elettorale. Una sconfitta che bisogna analizzare con lucidità e onestà intellettuale, mettendo a fuoco il complesso degli elementi che hanno concorso a determinarla. Dal risultato elettorale emergono in modo evidente contraddizioni, limiti, scelte e progressivo allontanamento dalla società, dai bisogni e dal sentire del popolo. Un gruppo dirigente ristretto si è autoassegnato il ruolo di depositario di verità e funzioni di comando attraverso la forza di una legge elettorale assurda, funzionale all’autoconservazione di se stesso. Una legge elettorale negazione dei più elementari principi della democrazia moderna, utilizzata anche come clava per negare l’autonomia ai territori e per alimentare un sistema correntizio che ha avvilito e sclerotizzato la vita democratica e in molte realtà desertificato la nostra presenza. A molti di voi è capitato, in questa campagna elettorale, di constatare ciò che sto dicendo ovvero di non trovare spesso il partito, la sua sede, i suoi dirigenti locali nei comuni. La mancata riforma della legge elettorale è stato un grave errore di miopia e arroganza politica e non si può liquidare con l’argomento che non è dipeso da noi. Se vogliamo essere sinceri evitiamo di continuare con furbizie che non servono a capire gli errori compiuti. Vorrei ricordare a tal proposito che nell’accordo a base del Governo Conte 2, la riforma della legge elettorale veniva posta come obiettivo prioritario, quasi come ragione in se valida e sicuramente come condizione per la approvazione della riduzione del numero dei Parlamentari. Due riforme da approvare contestualmente. Una approvata l’altra no. Eppure il nostro partito era parte costitutiva e determinante di quella maggioranza e la disponibilità ad una riforma della legge elettorale in senso proporzionale era stata espressa anche dalle altre forze politiche. Era evidente a tutti che questa legge elettorale avrebbe richiesto ed imposto la costruzione di una alleanza larga per vincere nei collegi e per rendere competitiva la campagna elettorale. Noi ci siamo ritrovati con una alleanza ristretta, senza i principali alleati di governo ed a condurre una campagna elettorale nella quale il risultato elettorale era da tutti dato per scontato. Non abbiamo mai saputo le reali motivazioni che hanno portato Zingaretti alle dimissioni, questa Assemblea è determinata in buona parte da compagni che hanno sposato il progetto “Piazza Grande” e noi non sappiamo (avremmo voluto saperlo chiaramente!) cosa è successo e chi lo ha determinato, perché se si continua a mettere la polvere sotto al tappeto, alla fine, come è accaduto, lo sporco uscirà fuori e non si può più far finta di niente. Ben venga un congresso costituente, ottima la riforma statutaria ma non bisogna avere fretta nella celebrazione del congresso, ciò che ci deve unire è un progetto su idee condivise e non di nomi perché di nomi se sono sono già bruciati abbastanza. Progressivamente ci siamo allontanati dell’elettorato che ci riconosceva come interpreti dei bisogni essenziali, mettendoli ai margini per dare rilievo all’agenda Draghi, poca attenzione al disagio sociale aggravato da un’economia di guerra che non accenna a migliorare. Il Mezzogiorno ignorato, una sanità pubblica che il covid ha messo a dura prova e che in alcune regioni come la mia, la Calabria, non garantisce neanche i livelli essenziali di assistenza malgrado dodici anni di commissariamento da parte dei governi nazionali, compresi quelli a guida Pd. In Calabria da tre parlamentari Pd eletti nella scorsa legislatura si è passati a 1. Negli ultimi due anni abbiamo registrato 2 pesanti sconfitte alle elezioni regionali: la prima nel 2020 e la seconda nel 2021 conseguenza di una scelta imposta dalla segreteria nazionale che dopo aver impedito la ricandidatura del presidente uscente Mario Oliverio, eletto nel novembre 2014 con il 64% dei consensi, ha anche negato la possibilità di indicare il candidato alla presidenza attraverso le primarie, come richiesto dalla quasi totalità dei circoli allora operanti ed attivi per imporre la candidatura di un personaggio con una dichiarata storia e collocazione di centrodestra. La verità è che è stato bloccato un processo di rinnovamento utilizzando, cinicamente e a fini interni una vicenda giudiziaria di cui il presidente Oliverio era vittima per come aveva, già nei mesi precedenti alle elezioni, sentenziato la Suprema Corte di Cassazione e successivamente la magistratura giudicante. In Calabria la politica si è servita della Giustizia per azzoppare il “nemico” e il nemico era chi aveva avviato, non senza ostacoli, un vero processo di rigenerazione della mia terra e anche del partito. In Calabria, sono state spinte fuori dal partito le più belle e sane energie con danni politici irreparabili che hanno arrestato il vero cammino di rigenerazione della Calabria. La verità processuale, come era chiaramente prevedibile, è stata già stabilita per il presidente Oliverio attraverso due sentenze di assoluzione con formula piena. Anche per altri dirigenti sono certa che arriverà ma sono altrettanto certa che se non si ristabilisce ora e subito una verità politica il destino del Partito democratico è segnato! Chi ha prodotto i danni non può essere il protagonista della rigenerazione del partito. I danni sono gravi, per alcuni versi irreparabili e nonostante ciò qualcuno non ha pensato di chiedere scusa! Potrei andare avanti per ore. Concludo dicendo che se ci sarà voglia di impegnarsi per una vera rifondazione del nostro partito, per essere veramente il partito democratico aperto, inclusivo, sensibile, ci sono tante energie da rivitalizzare, motivare, con umiltà e capacità di ascolto, aprendosi al mondo del lavoro, della cultura, della solidarietà; andando a cercare le energie perse e spinte fuori perché se ricadremo nella logica di conservazione del potere “superstite” non avremo strade da percorrere se non quella del declino.
* Componente assemblea nazionale Pd
x
x