Si chiama «pitta ’mpigliata» in Sila, «pitta ’nchiusa» lungo la costa ionica. È un dolce tipico calabrese, legato all’inverno e alla tradizionale strina o zugghi di Natale, canto di augurio e questua ancora vivo, nonostante gli smartphone, i social e il consumismo digitale, che soffocano la memoria storica e l’identità, la voce delle periferie.
Sempre più richiesto, il dolce ha ora un’associazione che si prefigge di tutelarlo, valorizzarlo e promuoverlo. Si tratta dell’Accademia della pitta ’mpigliata, nata per volontà di alcuni professionisti di San Giovanni in Fiore da anni organizzatori di rinomati eventi sul cibo di qualità. Tra costoro ci sono: l’avvocato Emilio Vaccai, designato presidente per la sua robusta esperienza nel settore enogastronomico, perfino di giurato in vari concorsi internazionali, lo chef Gustavo Congi, il micologo Tommaso Cannizzaro e il pubblicitario Biagio Oliverio. Il prossimo lunedì 21 novembre l’Accademia verrà presentata a San Giovanni in Fiore: alle ore 18 al Polifunzionale, con la collaborazione del locale Istituto alberghiero di Stato e con la presenza della sindaca Rosaria Succurro, dell’assessore regionale all’Agricoltura, Gianluca Gallo, del senatore Fausto Orsomarso, dei vertici dell’Arssa, del sindacato Cia degli agricoltori e della Federazione italiana circoli enogastronomici, di esperti di alimentazione e marketing, di imprenditori del territorio coinvolti nel progetto.
Pare che la pitta ’mpigliata abbia lontane origini mediorientali. Al riguardo un indizio proviene dal termine «pita», di derivazione ebraica ed araba, che significa «schiacciata», proprio come l’altezza del dolce, che può avere forma circolare o rettangolare. Altra traccia dell’antica provenienza della pitta sarebbe il suo sapore speziato, derivante dall’impasto a base di uva sultanina, noci, cannella, chiodi di garofano e diversi liquori aromatici.
«Con l’Accademia – dice Vaccai – proviamo a compiere un salto in avanti. L’obiettivo è ottenere finalmente un riconoscimento europeo, in modo che la pitta ’mpigliata sia riconducibile alla tradizione e all’identità locale. Inoltre, vogliamo occuparci di formazione specifica e promozione ad ampio raggio, insieme agli attori e alle istituzioni del nostro territorio. È un lavoro impegnativo, è una scommessa per lo sviluppo economico dell’area silana, che ha grandi risorse su cui puntare anche in campo gastronomico».
Socio dell’Accademia, che ha già raccolto numerose adesioni, è tra gli altri l’imprenditore agricolo Antonio Veltri, il quale da tempo si dedica al recupero dei grani antichi della Sila. «Parliamo – precisa Veltri – di una materia prima eccezionale per la pitta ’mpigliata. In particolare, mi sto concentrando sul verna, grano tenero che appartiene alla tradizione di montagna. In Sila ci facevamo i tagliolini e la stessa e pitta. È un prodotto della terra di elevata qualità, che diventa secco in maniera naturale, grazie ai nostri autunni miti. È un grano privo di glifosato e di pesticidi. Nell’altopiano silano, infatti, non ci sono parassiti particolari, ad eccezione della dorifera, che colpisce la patata. Inoltre, i nostri grani – sottolinea Veltri – hanno un bassissimo contenuto di glutine e non sono trattati con sostanze chimiche né modificati geneticamente, al contrario di quelli russi e ucraini. Ancora, i nostri grani possiedono un tasso glicemico molto ridotto e sono lavorati in modo tradizionale. Ricordo che la farina molto raffinata leva tutte le proprietà benefiche del cereale. Il verna, insomma, sarebbe un grano perfetto per la pitta ’mpigliata, che renderebbe più profumata e salutare. Vogliamo e dobbiamo muoverci in questa direzione. Come avvertiva Feuerbach, “l’uomo è ciò che mangia”. Abbiamo già creato delle sinergie con tutti gli attori locali del settore e con le istituzioni pubbliche. Lo scopo è crescere tutti, sfruttando le potenzialità del territorio».
La pitta ’mpigliata è fra i simboli del concetto di famiglia estesa applicato in Calabria, che comprende amici e compari e resiste alle trasformazioni antropologiche indotte dal capitalismo virtuale: allo sfilacciamento dei rapporti parentali, alla sostituzione dei sentimenti con le emoticon, della scrittura con le foto, i memi, i filmati.
Ancora, la pitta è tra i doni ricorrenti agli emigrati, è alimento che allevia la nostalgia e rianima gli affetti dei calabresi sparsi nel mondo. «È l’“ambasciatrice” – chiosa la sindaca Succurro – della nostra cultura millenaria, del calore della nostra terra, del nostro tratto dominante di gente operosa e solidale che, ovunque si trovi, non dimentica mai le proprie radici».
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