Platì sta sull’Aspromonte, a ridosso della fiumara. Vi risiedono ufficialmente 3700 persone. A circa 1367 chilometri di distanza c’è Volpiano, 16 chilometri a nord est di Torino. Un’altra spanna di strada e arrivi a Buccinasco in Lombardia, hinterland di Milano. Che strano triangolo irregolare. In questi tre punti geografici si segna l’esistenza di Domenico Agresta, 33 anni, detto “Micu Mcdonald”.
Volpiano, “la piccola Platì”. Negli anni Ottanta gli emigrati del paese calabrese arrivarono a superare i 2500 individui a fronte di una popolazione totale di circa 13.000 persone. Un quinto dei residenti. A Buccinasco su 26.000 persone almeno 2000 famiglie vengono dall’Aspromonte. Non sono tutti mafiosi. Ma molti sì, come ormai si conosce anche per aver visto il film Lo spietato di Renato De Maria, ambientato a Buccinasco e nella Milano da bere, e che vede Riccardo Scamarcio interpretare con aria crimepop Saverio Morabito, il collaboratore di giustizia calabrese che fece accendere con le sue rivelazioni le luci sulla Platì del Nord. «Quattro case non come Platì ma quasi» ha detto di Buccinasco nel bel libro scritto da Colaprico e Fazzo “Manager calibro 9” in cui il pentito ricorda il paese degli anni Cinquanta quando era emigrato ragazzino e ancora si chiamava “Romano Banco”. Anche in Australia Platì è il paese che detiene il record assoluto dell’emigrazione italiana. La causa di questo esodo fu la terribile alluvione del 1951.
Altra generazione quella di Domenico Agresta, nato nel 1989, figlio di Saverio e Anna Marando, nipote di Totu ‘i Natale, non perché nato il 25 dicembre ma perché discendente di Natale Agresta che insieme a Pasquale Marando sono i nonni del giovane oltre ad essere capi e fondatori del locale di Volpiano. Quarti di nobiltà ndranghetista di alto livello.
A Platì le famiglie che spodestarono gli aristocratici dal paese sono tutte imparentate: Agresta, Barbaro, Papalia, Sergi, Marando, Molluso. E tutte emigrate altrove.
Un pentito di rilievo il giovanotto Agresta. Capace di indicare agli inquirenti un bel po’ di cose dell’altra Platì nel mondo. Condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe Trapasso, il cui cadavere venne trovato bruciato il 16 ottobre del 2008, in un’auto a Borgiallo, nel territorio di Cuorgnè, non lontano da un night club, lo aspettava una vita in carcere da padrino. Un’educatrice penitenziaria è decisiva. Così ai magistrati racconta tutto quello che ha appreso dentro casa fin da bambino. Debutta in aula al processo per il magistrato Bruno Caccia ucciso dalla ‘ndrangheta a Torino.
E quelle parole scuotono i compari di Platì in ogni latitudine: «Noi siamo tutta una famiglia, da Torino a Milano a Platì. E tutta la mia famiglia è ’ndranghetista. Per loro la ’ndrangheta è vita, è normale che dovevo parlare con Torino anche dei miei familiari perché sono loro che mi hanno educato a quel tipo di mentalità inculcando i loro voleri. Voleri, ripeto, non valori». Una rivolta ai voleri di padri e madri. «Sto bastardo di merda ha voluto rovinarci» dirà il padre Saverio sfogandosi con la figlia Mimma intercettato dai carabinieri mentre medita se farlo ammazzare o riuscire a farlo tornare indietro.
Ne aveva ragione papà Saverio. Suo figlio Domenico aveva svelato l’araldica di famiglia. Il bisnonno fondatore della ‘ndrangheta di Platì nel secolo breve, il nonno capo del Piemonte, Domenico come lui, emigrato a Volpiano dopo aver scontato una condanna per omicidio e impiegato alla Singer. Sarà arrestato per un sequestro di persona con il figlio Saverio. Il fratello della mamma è Pasqualino Marando, il narcos dei due mondi. Nei verbali e in aula il pentito “Micu” Agresta racconta: «Tutti i fratelli Sergi di Milano sono primi cugini nostri. E il fratello di mio padre ha sposato la figlia di Michele Papalia, che è fratello di Rocco, Domenico e Antonio». E poi spiega il ragazzo che vuole una vita diversa: «Ho la sfortuna, dottore, di non aver scelto il mio destino. Sono nato in una famiglia in cui non c’è una persona, ma dico non una di numero, che da bambino avrebbe potuto portarmi via da quell’ambiente».
Lo chiamavano con stizza “Micu Mcdonald” per stazza e appetito quel ragazzo che aveva ucciso, aveva provato a comandare per il ruolo di schiatta e che non aveva lo spirito di stare alle regole neanche quando stava nella consorteria come spesso capita alle nuove generazioni.
L’incontro con un’educatrice e un percorso scolastico sono stati decisivi nella svolta esistenziale di Domenico. «La scuola mi ha dato la conoscenza. La conoscenza mi ha fatto maturare delle consapevolezze, ho acquisito degli strumenti tali da fare delle scelte, non credere più nella violenza» dice ai giudici.
Domenico nasce a Locri, trascorre l’infanzia a Volpiano dove frequenta le elementari, va a Buccinasco e prende la licenza delle Medie a Lodi, abbandona le scuole professionali.
Viene affiliato alla ‘ndrangheta. Poi lo incastrano per omicidio. Lo arrestano nel parcheggio di un ospedale romano.
Con quel cognome pesante da mafioso poteva permettersi di eccedere nei comportamenti provocati dai drink e dalla cocaina. E poi Domenico ha una memoria di ferro. Dalle sue dichiarazioni i magistrati avranno centinaia di riscontri e solo quattro incongruenze non rilevanti. Riuscirà a prendere un diploma in carcere sostituendo la copiata che lo aveva fatto padrino e che gli consegnava potere di morte su chi stava fuori. Vive in località protetta Domenico Agresta.
Inchieste su inchieste dalle sue dichiarazioni. Anche svelando nodi del narcotraffico internazionale: «Quando arrivano grosse quantità di cocaina pura dalla Colombia su Platì (500/600 chili), una parte (100 chili) la tengono giù in Calabria dove la tagliano, in modo da poterla poi rivendere nei momenti in cui i rifornimenti scarseggiano mentre la parte principale, quella pura, la mandano costantemente al Nord per la vendita».
E a maggio di quest’anno ancora uno sviluppo giudiziario favorito da Domenico. Operazione Platinum ha messo in manette coloro che erano incaricati di investire e far fruttare, attraverso società apparentemente lecite, i soldi sporchi della famiglia Agresta e dei loro parenti e che compravano edicole, aziende edili, bar, ristoranti affidandoli a prestanome.
La prima operazione di polizia a Volpiano contro la ‘ndrangheta è datata 1962. Ma si tratta di piccole segnalazioni. Furono i giovani emigrati di Platì a cambiare le regole del gioco e a sostituire i catanesi egemoni negli anni Settanta. Poi salì alle cronache il calabrese Armando Fragomeni, arrestato con l’accusa di essere coinvolto nel sequestro del titolare della pellicceria Annabella di Pavia, Giuliano Ravizza. I racconti di Fragomeni permisero di far luce sui traffici illeciti, le estorsioni e le rapine compiute dai calabresi dal 1975 al 1981. Decine di episodi tra cui due assalti al Banco di Roma di Volpiano, avvenuti a dicembre del 1977 e marzo del 1978. Bombe alle caserme di carabinieri e omicidi efferati, tutto ovattato all’ombra della produttività della Singer e delle vita di provincia.
Ora tutto è stato disarticolato. Chissà che dicono a Platì, in Australia, a Volpiano, a Buccinasco di “Micu Mcdonald”, il giovane padrino che ha tradito la sua famiglia? Una smagliatura storica nel grande crimine. Ha detto di recente il procuratore Nicola Gratteri: «La ‘ndrangheta è un fenomeno globale che non si vede». Su al Nord tra Piemonte e Lombardia Domenico Agresta lo ha mostrato molto bene. (redazione@corrierecal.it)
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