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il cold case

L’amicizia con un pentito e lo sgarro a Nicola Acri. Ecco perché hanno ucciso “Vallanzasca”

Due collaboratori di giustizia Franco Bruzzese e Celestino Abbruzzese delineano i contorni di uno dei tanti casi cosentini di lupara bianca

Pubblicato il: 26/11/2022 – 9:00
di Fabio Benincasa
L’amicizia con un pentito e lo sgarro a Nicola Acri. Ecco perché hanno ucciso “Vallanzasca”

COSENZA Tra i più illustri pentiti cosentini figura Franco Bruzzese, addentrato nelle dinamiche mafiose cosentine, con le sue dichiarazioni, ha permesso agli investigatori di far luce su alcuni cold case (ne abbiamo parlato qui). Nei racconti di Bruzzese non mancano i retroscena cruenti che descrivono la spietatezza di «uno del gruppo», Cosimo Bevilacqua. «Fra le persone più rappresentative del mio gruppo v’erano pure Luigi Berlingieri e Tonino Manzo ed altri», avrà modo di confessare agli investigatori il collaboratore di giustizia nel corso di una dei verbali finiti nell’inchiesta “Reset”.

La confessione di Bruzzese

Il rapporto tra Bevilacqua e Bruzzese è solido, a tal punto da consentire al primo una confessione in merito all’agguato subito da Antonio Benincasa, alias Vallanzasca, tra il 19 e il 21 maggio 2003. La vittima è coinvolta nell’omicidio di Antonio Forastefano, ucciso materialmente da Nicola Acri che temeva, a seguito dell’arresto del complice, che potesse saltare il fosse e fornire rivelazioni scottanti. Ad eseguire il delitto – secondo Bruzzese – furono Cosimo Bevilacqua insieme a Fiore Abburzzese e Gino Bevilacqua. I colpi che tolsero definitivamente la vita ad Antonio Benincasa, vennero esplosi proprio da Cosimo Bevilacqua. La scena descritta è cruenta. “Vallanzasca” stava cercando di rialzarsi ed allontanarsi dalla buca all’interno della quale si trovava e scavata dai suoi sicari per occultare il corpo, dopo essere già stato attinto da alcuni colpi di pistola. «Bevilacqua pensò di finirlo con una scarica finale di proiettili». Bruzzese fornisce ulteriori particolari. «La morte di Benincasa era stata già per così dire chiesta a Franchino “di Mafalda” da Nicola Acri in quanto “Vallanzasca” aveva guidato l’auto a bordo della quale lo stesso Acri era stato portato fino al luogo dove aveva sparato contro Antonio Forastefano, uccidendolo». Dopo il delitto, Acri viene lasciato a piedi e l’episodio si trasforma in uno “sgarro” poi probabilmente costato la vita a Benincasa. Quest’ultimo verrà prima arrestato e dopo essere tornato in libertà sarà ucciso «perché si temeva che divenisse collaboratore confermando le dichiarazioni di Francesco Bevilacqua cui era molto legato».

La versione di Celestino Abbruzzese

Ad aggiungere particolari all’evento criminoso fin qui tratteggiato da Franco Bruzzese è un altro pentito, Celestino Abbruzzese. Dal suo racconto si intuisce come la vittima sia stata attirata con una scusa «e trasportata in una zona montana della Sila Cosentina, vicino ad un corso d’acqua». Lì avvennero, in rapida successione, l’esecuzione e l’occultamento del cadavere «sotterrato e mai rinvenuto….». Secondo “Micetto”, le ragioni dell’omicidio erano da ricercarsi nel mancato recupero da parte di Benincasa di Nicola Acri dopo l’esecuzione dell’omicidio di Forastefano, «dimostrandosi inaffidabile rispetto all’incarico che gli era stato attribuito dalla compagine criminale di appartenenza (Rango-Zingari) e nei contrasti insorti all’interno del clan dopo il pentimento di Franco Bevilacqua alias “I Mafalda”. (redazione@corrierecal.it)

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