CATANZARO I calabresi pagano per servizi sanitari che non hanno, devono rivolgersi ai privati per effettuare analisi. E, come se non bastasse, le “loro” Aziende sanitarie e ospedaliere gestiscono, in pratica, il proprio patrimonio contro l’interesse pubblico. In alcuni casi non lo gestiscono affatto. È il racconto di una giungla, quello messo nero su bianco dalla Corte dei conti. Non manca, tanto per stare ai dati contabili, un passaggio sul buco nero dell’Asp di Reggio Calabria e la sua situazione debitoria «i cui dati ad oggi sono totalmente sconosciuti». Unico appiglio «l’ultima analisi della Sezione» che «aveva ipotizzato una situazione debitoria pari a 500 milioni di euro».
La gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare è l’esempio di un caos pluridecennale. Premessa: le Aziende sanitarie e ospedaliere «dovranno adottare un piano di disinvestimento del loro patrimonio disponibile o da reddito per finanziare in tutto o in parte investimenti strutturali, attrezzature scientifiche o, comunque, indicare forme alternative di finanziamento non escludendo il ricorso a forme di project financing». Per farlo, però, dovranno avere contezza di quali siano gli asset. In Calabria «l’analisi dei dati acquisiti prospetta una situazione di diffusa irregolarità con evidenza di palesi illegittimità». Un disastro, insomma, nel quale la Corte dei conti «ha rilevato fenomeni di mala gestio e profili di concreta omissione nella adozione di atti di specifica competenza delle Aziende sanitarie». Prima tappa di questo viaggio nel caos è la perdita di pezzi del patrimonio per l’intervenuta usucapione di terreni. Il passaggio dal pubblico al privato si è consumato in anni di disattenzione e riguarda «svariate decine di migliaia di metri quadri». Nella requisitoria di Romeo Ermenegildo Palma vengono citati «a titolo indicativo» oltre 92mila metri quadri nell’Asp di Reggio Calabria e più di 14mila nell’Azienda ospedaliera di Cosenza. Per altri 27mila metri quadri dell’Asp di Reggio è stata invece attivata e non conclusa «la procedura funzionale all’usucapione». Il bilancio, dunque, potrebbe aggravarsi.
E non basta: il magistrato contabile evidenzia, al termine dell’istruttoria, il caso di «non meglio identificate situazioni di occupazione sine titulo di altri terreni (nella Asp di Reggio per 34.701 metri quadri)». Su queste aree nessuno si è mai di intervenire.
Segue monito: la Procura regionale, oltre a invitare la Regione «a impartire immediate direttive» che portino all’interruzione dei termini di usucapione dei beni, «si riserva ogni indagine per i profili di stretta competenza».
Quando le Aziende del sistema sanitario “ricordano” di avere degli immobili da dare in affitto sembra andare quasi peggio. Il linguaggio burocratico spiega che l’analisi delle locazioni attive induce «a ulteriori osservazioni». Le cifre restituiscono meglio l’idea. La Corte dei Conti parla di 120 immobili (fabbricati e terreni) dati in affitto dagli enti del Servizio sanitario regionale, per un totale di 749.351 metri quadri. Bene, si fa per dire, «i canoni annui da contratto ammontano a 1.770.705,45 euro che, in una stima di massima, attestano il valore di concessione a terzi in 1,56 euro a metro quadro per anno, dato di per se stesso indicativo del mancato aggiornamento dei canoni stessi». Più che un canone d’affitto pare un cortese omaggio che va avanti da anni nel contesto di un sistema sanitario in perenne emergenza (per medici e pazienti) e bisognoso di tutto. Peraltro il dato ricavato è diverso «da quello formalizzato alla voce “Fitti attivi” contabilizzati nel Conto economico IV trimestre 2021 indicato in 1.180.011 euro con una differenza negativa di 590.694,45 euro». La conclusione, così come accade per i terreni finiti nell’oblio, è che si tratta di «una gestione non in linea con l’interesse pubblico» e «connotata dal mancato rinnovo dei contratti, dall’inadempienza dei locatari nel versamento del canone e dal mancato recupero dei canoni maturati, e, non ultimo, dal valore irrisorio dei canoni rispetto alla superficie disponibile». Fenomeni di mala gestio, chiosa la Procura regionale. Esattamente come il mancato utilizzo di immobili «che comporta non solo una mancata entrata, ma anche la sopportazione di un costo di mantenimento o, ipotesi più frequente, il depauperamento del patrimonio aziendale per abbandono dell’immobile». Il servizio sanitario ha bisogno di valorizzare il proprio patrimonio per «recuperare risorse finanziarie utili da destinare al potenziamento dei servizi ospedalieri e del territorio». Le Aziende, però, nel corso degli anni, hanno chiuso gli occhi su questa esigenza, perdendo decine di migliaia di metri quadri di terreni e “regalando” intere strutture ai privati, senza mai riscuotere i canoni o fissando prezzi irrisori. La strada per uscire dalla giunga è ancora (molto) lunga. (p.petrasso@corrierecal.it)
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