30 novembre 1996: organizzo in Calabria un’iniziativa sulla cura del Creato. I relatori sono Franco Tassi, allora direttore del Parco Nazionale d’Abbruzzo, Fulco Pratesi, presidente dello stesso, e Grazia Francescato, presidente del WWF Italia. Le ultime parole di Grazia a chiusura sono: “Vi lascio con una frase di André Malraux: il terzo millennio o sarà spirituale o non sarà”. Malraux era stato un importante scrittore e politico francese sotto la presidenza di Charles De Gaulle. Il giorno dopo, guido i relatori in un’escursione: meta le Cascate di Marmarico, a Bivongi. Poi porto il gruppo al monastero italo-bizantino di S. Giovanni Theresti, dove da poco sono tornati i monaci ortodossi. Ci accoglie Padre Kosmas, che inizia a illustrarci il luogo. A un certo punto chiosa: “Sapete, io parlo più volentieri con gli atei, perché i credenti sono quasi sempre ipocriti”. Per un bel pezzo ci affascina con il suo eloquio. Poi, improvvisamente, tace. Non prima, però, di aver concluso: “Ho parlato troppo e mi scuso. Vi lascio con una frase di André Malraux: il terzo millennio o sarà spirituale o non sarà”. E va via, nel leggero fruscio del suo saio nero. Grazia gira il capo verso di me, gli occhi umidi, la bocca socchiusa in un’espressione stupita. L’incredibile coincidenza le rimane talmente impressa che la riporterà, tal quale, in un suo libro, “In viaggio con l’arcangelo”, del 2000. Si tratterà di una coincidenza acausale (cioè senza apparente nesso fra i due episodi) significativa (per la nostra psiche), come definisce Jung questi fenomeni nel suo saggio sulla “Sincronicità”, ma essa ha un forte impatto emotivo su quelli del nostro gruppo che hanno senso religioso della vita.
Racconto l’aneddoto di padre Kosmas per parlare di un tema fuori moda: la religiosità. Fuori moda, ho detto, salvo che, come accade in questi giorni, non si registri, poi, un aggrapparsi a Papa Francesco per sentir dire cose di buon senso sulla guerra in Ucraina e per invocare un suo intervento pacificatore. Semplicemente, possiede mentalità religiosa chi ha il cuore aperto al sovrannaturale, a ciò che è inattingibile e forse inconoscibile, a quel che non può essere spiegato con il metodo scientifico, che consiste – come è noto – nel ritenere reale solo ciò che è calcolabile, misurabile, esperibile. Jung ruppe con Freud anche a causa del suo ammettere la forza imprescindibile del sovrannaturale. In un mondo dominato dal culto riduzionistico della scienza (esiste solo ciò che è dimostrabile) l’avere mentalità religiosa è un handicap grave, perché si è disposti a credere anche a ciò che non è dimostrabile, come accadde a Grazia ed a me dinanzi alla coincidenza di padre Kosmas, che in quel delicato momento di passaggio da un millennio ad un altro, noi avvertimmo come qualcosa di inspiegabile. E come è accaduto per migliaia di anni in tutte le civiltà, in tutte le culture d’ogni tempo, secondo quanto ci insegnano la storia e l’antropologia culturale. Oggi, chi si definisce credente è spesso ipocrita, come avvertì padre Kosmas, perché la sua è una fede di facciata, che serve solo a non farlo sentire escluso da una convezione, da un’apparenza sociale. Tant’è che in Occidente i riti – che sono connaturati al racconto del sovrannaturale – sono semplici simulacri e le parole delle guide spirituali (come quelle del Papa), seppur rispettate, sono puntualmente ignorate dalle masse dei cosiddetti credenti e dai loro veri guru, che sono i politici ed i giornalisti.
Tutto questo accade perché, a differenza delle civiltà non fondate sul culto della scienza, in quella contemporanea (che dalla scienza interamente dipende, perché, come dice Bacone, “scientia est potentia”) è convinzione comune che l’uomo sia divenuto simile a Dio, potendo fare quasi tutto ciò che un tempo era a Dio – e solo a Dio – riservato. Lo aveva ammesso già il matematico Laplace quando a Napoleone, che gli chiedeva perché egli non avesse parlato di Dio nel suo libro sulla “Esposizione del sistema del mondo”, contrariamente a quanto aveva fatto Newton, rispose: “perché non ne ho avuto bisogno”. E recentemente abbiamo visto come anche il più famoso divulgatore scientifico italiano, Piero Angela, in piena coerenza con la sua fede nella scienza, sia morto da non credente. È vero: l’esperienza religiosa non è di questo tempo, perché non abbiamo più necessità del sovrannaturale, perché crediamo che nulla vi sia di inconoscibile per il genio dell’uomo. Gli antichi erano invece convinti del contrario. Sapevano che l’inconoscibile esiste. E riservavano proprio all’inconoscibile spazi interiori, luoghi consacrati, templi ove rendere grazie, offrire parole, suoni, silenzi, preghiere, sacrifici.
Ma noi siamo così convintamente “moderni” da non piegarci più alle “illusioni” o “nevrosi” del sovrannaturale (per usare espressioni che proprio Freud dedicò alla religione). Sicché non ci resta che pensare che la nascita di una creatura sia solo frutto di un processo biologico, che la bellezza sia un problema di proporzioni riproducibili con una stampante 3D, che l’anima, i suoi abissi e le sue altezze non esistano, che il dolore sia fisico che psichico sia sempre curabile (e, prima o poi, lo sarà anche la morte), che alba e tramonto siano fenomeni astronomici, che non esiste alcun genio della natura, mentre al genio dell’uomo tutto è consentito, anche sopraffare i propri simili e la Terra che lo ospita, perché, tanto, la scienza e la tecnica, prima o poi, sapranno rimediare a qualunque male.
Come “moderni” abbiamo rinunciato, dunque, all’invisibile e con esso a quella sfera dell’esistenza che gli antichi chiamavano “sacro”, dal latino “sacer” che significa “separato” (dal profano). Abbiamo prodotto, così, la prima umanità incredula, i cui valori sono solo competizione, sopraffazione, apparenza, profitto, emulazione, consumo; essi sì misurabili, calcolabili ed esperibili! Per questa nuova umanità non esistono limiti né misure. Essa non ha bisogno di alcuna ricerca di senso oltre ciò che le appare come compulsivamente desiderabile. E se nulla più vi è di separato dal profano, se non esiste più il sacro, se niente è più grande di noi e della nostra scienza, ecco che nulla vi è di cui l’uomo debba aver rispetto: sia che si tratti della Terra, sia che si parli di altri esseri viventi e del nostro prossimo. Mentre a chi sa, pur nel dubbio e nella ricerca, che la vera essenza delle cose è visibile solo col cuore – come scrisse Antoine De Saint-Exupéry nel suo “piccolo principe” – basta guardarsi intorno per comprendere di essere “servo” e non padrone del creato, custode della vita in tutte le sue forme, e, per quel che riguarda ciascuno di noi, pago e grato per quel po’ che qualcuno che non conosciamo ha voluto concederci.
*Avvocato e scrittore
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