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inchiesta “reset”

La furia dei “Banana”, il tentato omicidio durante un funerale

Pierino Meduri paga con il sangue l’aver preso droga «sottobanco, fuori dal “Sistema”». La sparatoria avviene nel corso di una cerimonia funebre

Pubblicato il: 04/12/2022 – 17:30
di Fabio Benincasa
La furia dei “Banana”, il tentato omicidio durante un funerale

COSENZA «I numeri uno nello spaccio di eroina». Il pentito Adolfo Foggetti dipinse così la famiglia Abbruzzese, conosciuta negli ambienti criminali come “Banana”. Storico gruppo criminale attivo nel territorio Cosentino, quella di Luigi, Marco e Celestino Abbruzzese è la storia di un gruppo – spesso lacerato da fratture interne – ma decisamente pragmatico quando si tratta di affari. Nell’attività investigativa che ha portato all’operazione “Reset”, coordinata dalla Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, finiscono diversi episodi riconducibili secondo l’accusa e secondo i racconti di alcuni pentiti ai temuti fratelli cosentini. Il collaboratore di giustizia Silvio Gioia, nelle dichiarazioni rese il 16 gennaio 2014 e il 7 maggio dello stesso anno rende edotti gli investigatori sul ferimento a seguito di colpi d’arma da fuoco ai danni di Pierino Meduri. Non è il primo caso di tentato omicidio perpetrato da uno o più membri della famiglia Abbruzzese, ma la circostanza in cui nasce l’idea di compiere un agguato è decisamente particolare.

Il corteo funebre e i colpi di pistola

Gioia racconta che in occasione del funerale del padre di Claudio Castiglia (gennaio 2013) avrebbe notato Luigi e Nicola Abbruzzese figli di “Banana” ed il loro cognato Antonio Abruzzese, figlio di Giovanni, discutere animatamente con Meduri. Dopo qualche minuto sarebbe partita una raffica di colpi di arma da fuoco e subito dopo i tre Abbruzzese sarebbero fuggiti via a bordo di una Fiat Punto Abarth. A sparare – dice il pentito – è stato Nicola. «Tale circostanza mi è stata riferita da una ragazza abitante partecipante anch’essa al corteo funebre e che quindi era stata testimone oculare dell’evento; me lo ha riferito subito dopo. Per quello che ho appreso da Meduri direttamente, il ferimento è avvenuto per il contrasto sorto in conseguenza del fatto che lo stesso, contravvenendo al regime di monopolio imposto per lo spaccio di stupefacenti a Cosenza, si approvvigionava dell’eroina dai suoi cugini abitanti ad Africo Nuovo».

La droga «sottobanco»

C’è una cosa che i “Banana” proprio non mandano giù. Non ammettono il «sottobanco», la vendita della droga ceduta senza rispettare gli ordini del clan. Pierino Meduri avrebbe pagato proprio per questo, per aver accettato di spacciare polvere bianca proveniente da un altro territorio. Interrompere la catena di distribuzione della droga ingegnata dai “Banana”, dunque, può risultare piuttosto pericoloso. Come spiega, la collaboratrice di giustizia Anna Palmieri (moglie di Celestino Abbruzzese alias “Micetto”). Nel 2019, la donna sostiene di conoscere «soggetti tra quelli che sono stati sparati per aver preso droga sottobanco, fuori dal “Sistema”. Ricordo uno dei fratelli Meduri, che gestiscono lo spaccio dell ‘eroina al secondo lotto di via Popilia; sono due o tre fratelli; uno di questi è stato sparato da uno dei miei cognati, Luigi o Nicola Abbruzzese, credo che sia stato Nicola perché si parlava del fatto che avessero fatto il guanto di paraffina a Luigi, ma lui diceva che era tranquillo perché Luigi e Antonio mio cognato dicevano che era stato “U Pacciu”, soprannome con il quale viene indicato mio cognato Nicola Abbruzzese». Il rapporto tra i germani Meduri e gli omologhi Abbruzzese era stretto. «I fratelli Meduri venivano a casa di mia suocera per rifornirsi di eroina. A volte ero presente alla consegna dello stupefacente, che veniva eseguita da mio cognato Luigi. Se non ricordo male, i suddetti fratelli raggiungevano l’abitazione di mia suocera con un motorino (uno Scarabeo). Si prendevano circa 50 grammi di eroina a volta, pagando la somma di circa 2.000 euro ogni volta. Lo scambio avveniva in mia presenza, talvolta in strada davanti al portone d’ingresso dello stabile, dove spesso ero seduta su di una panchina», conclude il racconto Anna Palmieri.

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