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Il «venticello della calunnia», sospeso per 4 mesi un avvocato di Lamezia

Lo ha stabilito il Consiglio distrettuale di disciplina. Il legale avrebbe denigrato l’operato professionale del penalista Pagliuso. La replica: «Provvedimento ingiusto»

Pubblicato il: 08/12/2022 – 17:40
di Alessia Truzzolillo
Il «venticello della calunnia», sospeso per 4 mesi un avvocato di Lamezia

LAMEZIA TERME La quarta sezione del Consiglio distrettuale di disciplina presso la Corte d’appello di Catanzaro, ha applicato nei confronti dell’avvocato A.L., del foro di Lamezia Terme, la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione forense per quattro mesi.
Tale sospensione non è attualmente esecutiva poiché il legale ha 30 giorni di tempo per fare ricorso al Consiglio nazionale forense e solo la decisione di quest’organo stabilirà se comminare o meno la sanzione.
L’avvocato viene incolpato di avere «violato gli articoli 9 e 42 del codice deontologico, per aver esercitato l’attività professionale venendo meno ai doveri di lealtà, correttezza, probità, coscienza e fedeltà, esprimendo apprezzamenti denigratori sull’attività professionale svolta dall’avvocato Francesco Pagliuso per come emerge dalla motivazione della sentenza del gup di Catanzaro».
Il giudizio della quarta sezione del Cdd è duro: «Devono dunque ritenersi sussistenti entrambi gli illeciti contestati, dal momento che l’incolpato non solo è venuto meno all’osservanza dello specifico canone (articolo 42) che vieta di esprimere apprezzamenti denigratori circa l’attività del collega, ma lo ha fatto con modi tali da offendere i più basilari principi di lealtà, probità, correttezza e coscienza (articolo 9), convocando proditoriamente il codifensore davanti al “giudizio” del comune cliente così da metterlo in difficoltà professionale e, come si è apprezzato solo in seguito, a rischio della propria vita».
Ma procediamo con ordine.
Il 29 gennaio 2019 è pervenuta al Consiglio distrettuale di disciplina una comunicazione da parte dell’ordine degli avvocati di Lamezia Terme cui era allegata una comunicazione proveniente dalla Dda di Catanzaro con la quale si informava l’organo di disciplina che l’avvocato era imputato dei delitti di favoreggiamento personale e violenza privata aggravati dall’agevolazione e l’utilizzo del metodo mafioso per fatti accaduti in data precedente all’omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso avvenuto il 9 agosto del 2016.

Il processo per violenza privata e l’assoluzione

L’omicidio dell’avvocato Pagliuso ha scatenato una serie di indagini che si sono dipanate in più direzioni. Di particolare interesse è risultato il rapporto tra Pagliuso e i componenti della famiglia Scalise. In particolare Pagliuso era stato l’avvocato difensore di Daniele Scalise (assassinato in un agguato di stampo mafioso nel 2014).
In una occasione, nel 2012, il legale è stato portato dagli Scalise, insieme ad altri sodali, in un bosco, malmenato e posto davanti a una buca, «aggredito e minacciato dai suoi interlocutori poiché accusato di non aver difeso in maniera adeguata Daniele Scalise nell’ambito di alcuni procedimenti che lo vedevano coinvolto». In uno dei procedimenti penali scaturiti da questo delitto si è incolpato l’avvocato A.L. di avere prospettato ad appartenenti alla cosca Scalise, «scarso impegno professionale da parte di Francesco Pagliuso». In primo grado, con rito abbreviato, l’avvocato è stato assolto con formula “perché il fatto non sussiste”. 

La decisione del Consiglio distrettuale di disciplina

Il procedimento disciplinare è comunque andato avanti nonostante diverse sospensioni. A fine novembre quarta sezione del Cdd, ha deciso che l’avvocato «debba essere ritenuto responsabile degli addebiti mossi» e ha sottolineato un dato: la vicenda penale e le sue suggestioni devono restare sullo sfondo.
«Non interessa a questo organo disciplinare se la condotta dell’incolpato si ponga quale antecedente causale della violenza privata subita dall’avvocato Pagliuso, condotto in una zona boschiva, in tempo di notte, e costretto a “scavarsi la fossa” per poi essere graziato in extremis dai suoi aguzzini». Questa è la tesi della Dda di Catanzaro che oggi ha impugnato la sentenza di assoluzione emessa dal gup.
Quello che interessa all’organo disciplinare è se l’avvocato A.L. abbia tenuto un comportamento scorretto nei confronti del collega Pagliuso nel momento in cui, assunta la co-difesa di Daniele Scalise, aveva modo di censurare la condotta difensiva precedentemente tenuta dall’avvocato Pagliuso.

Vulnus immedicabile per il prestigio e la reputazione della categoria forense

«Devono dunque ritenersi sussistenti entrambi gli illeciti contestati – è la decisione del Cdd –, dal momento che l’incolpato non solo è venuto meno all’osservanza dello specifico canone (articolo 42) che vieta di esprimere apprezzamenti denigratori circa l’attività del collega, ma lo ha fatto con modi tali da offendere i più basilari principi di lealtà, probità, correttezza e coscienza (articolo 9), convocando proditoriamente il codifensore davanti al “giudizio” del comune cliente così da metterlo in difficoltà professionale e, come si è apprezzato solo in seguito, a rischio della propria vita», scrive il Consiglio distrettuale di disciplina.
«La vicenda – scrive la IV sezione del Cdd – ha avuto un notevole strepitus fori: il coinvolgimento, sia pure indiretto, di un avvocato nella morte violenta di un altro avvocato ha costituito un vulnus immedicabile per il prestigio e la reputazione della categoria forense…». «Di fronte a un tale danno – è scritto nella decisione – che già di per sé imporrebbe severa sanzione, non soccorre a mitigare il trattamento punitivo la prognosi personologica sull’incolpato, il quale ha tenuto una condotta grossolanamente distante non solo dal rispetto dei più comuni canoni deontologici, ma anche dalle più elementari regole di prudenza e continenza per chi eserciti la professione forense in ambito penale, specie a determinate latitudini ed in determinati contesti, ove spesso la differenza tra la vita e la morte sta nel venticello della calunnia».
Il Consiglio distrettuale di disciplina forense di Catanzaro ha così deciso per una sospensione di quattro mesi.
Tale decisione è stata inviata alla Procura generale, alla Procura di Lamezia Terme e al Consiglio dell’ordine di Lamezia Terme.
L’avvocato ora ha 30 giorni di tempo per proporre appello davanti al Consiglio nazionale forense.

La replica: «Provvedimento ingiusto. Impugnerò la decisione»

Dopo la pubblicazione dell’articolo è stata inviata una nota del diretto interessato che pubblichiamo integralmente: «La comprensibile sofferenza che mi deriva dalla pronuncia di un provvedimento disciplinare che io, pur rispettando, ritengo assolutamente ingiusto e, sotto molteplici profili, illegittimo, si acuisce nel momento in cui viene estesa la conoscenza di tale provvedimento mediaticamente. È evidente che ho già pronto l’atto con cui impugno questa decisione. Mi sorprende, nello stesso tempo, come venga quasi banalizzato l’esito di un controllo giurisdizionale che ha ritenuto l’insussistenza di uno dei due fatti a me contestati e riconoscendo come non abbia commesso l’altro. Sorge, poi, grande perplessità nel constatare questo rigore così palesemente ostentato. Fin d’ora, senza anticipare le ragioni che porrò a sostegno del mio appello, non consento ad alcuno di parlare di responsabilità indiretta per il fatto drammaticamente accaduto, avendo nel contempo attivato le iniziative giudiziarie a tutela della mia persona». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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