Impiccato all’alba a poco più di un mese dalla condanna a morte.
Mohsen Shekari, di 23 anni, era stato arrestato per aver partecipato alle proteste anti governative che scuotono l’Iran da quasi tre mesi.
È stato ritenuto colpevole di “inimicizia contro Dio”, per “aver bloccato una strada, aver estratto un’arma con l’intenzione di uccidere e avere ferito intenzionalmente un ufficiale durante il servizio”. I fatti risalgono alla fine di settembre, quando da pochi giorni erano esplose le dimostrazioni per Mahsa Amini, la 22enne di origine curda morta per le bastonate alla testa mentre era in custodia della polizia morale perché non indossava il velo in modo corretto. I familiari del ragazzo, che avevano presentato appello contro la sentenza di morte, hanno saputo che la condanna era stata eseguita mentre attendevano sue notizie fuori dal carcere dove era detenuto. Il corpo, ha fatto sapere lo zio, non è stato consegnato ai parenti.
Quella di Shekari è la prima esecuzione di un manifestante di cui si è avuta notizia, anche se alcuni attivisti ritengono che ve ne siano già state altre e che altre 11 persone sono state condannate a morte, tra cui Fahimeh Karimi, allenatrice di pallavolo e madre di tre bambini piccoli. La magistratura iraniana ha confermato nei giorni scorsi la pena capitale per cinque persone, per avere per aver ucciso a pugnalate un membro delle forze paramilitari Basij il 3 novembre a Karaj, durante duri scontri tra manifestanti e forze dell’ordine.
“Corriamo il rischio di avere esecuzioni di manifestanti ogni giorno”, ha detto Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore della ong Iran Human Rights con sede ad Oslo, chiedendo iniziative a livello internazionale. Anche Amnesty International ha lanciato un appello affinché le autorità iraniane pongano “immediatamente fine alle esecuzioni previste e smettano di utilizzare la pena di morte come uno strumento per la repressione politica contro i manifestanti”. Secondo l’Ong, il giovane è stato condannato in un “processo farsa, esageratamente iniquo”, mentre la magistratura iraniana ha fatto sapere che la sentenza è arrivata dopo che il ragazzo aveva ammesso i suoi crimini in tribunale.
Una “confessione” che secondo gli attivisti, e i media dissidenti con sede all’estero, è stata forzata, dal momento che i video in cui il giovane ammette le sue colpe, diffusi da canali televisivi legati alle Guardie della rivoluzione, lo ritraggono con il volto tumefatto.
Le proteste, in corso da settembre, sono continuate anche oggi, seppure in poche città, ma si erano invece intensificate nei giorni scorsi trovando ancora una dura reazione da parte delle forze di sicurezza. Gli agenti reprimono le manifestazioni anche sparando da distanza ravvicinata alle donne e colpendole al volto, agli occhi, al seno e ai genitali. Lo hanno denunciato al Guardian medici iraniani di varie città del Paese che trattano i feriti in segreto per evitare l’arresto: raccontano di essere ormai traumatizzati dai corpi delle donne che vedono arrivare.
Mentre il governo mantiene una linea durissima rispetto alle proteste, la condanna a morte inflitta oggi ha attirato aspre critiche dall’Europa. “Ci troverete dalla parte della libertà, dalla parte dei manifestanti. Sempre”, ha scritto su Twitter la vice presidente del Parlamento europeo Pina Picierno, parlando di una “folle sentenza” per il giovane mandato al patibolo. Dure condanne sono arrivate anche dalla Francia, dalla Germania e dalla Gran Bretagna. Teheran è a sua volta tornata a criticare l’Ue: “L’Europa ospita molti canali televisivi che promuovono violenza e terrorismo contro l’Iran”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanani, contestando la decisione dell’azienda di telecomunicazioni satellitari Eutelsat, con sede a Parigi, di chiedere alle sue emittenti di rimuovere le trasmissioni di Press Tv, il canale televisivo iraniano in lingua inglese e francese, molto vicino al governo di Teheran.
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