Come una partita a poker la settimana politica dedicata alla ludopatia in Consiglio regionale. È aumentato di molti miliardi il giro d’affari del gioco d’azzardo in Calabria. E la politica regionale si era presa la briga di legiferare sul settore non in termini limitanti ma secondo molti per favorire il settore giustificandosi che così fanno in tanti nelle regioni italiane.
Lunedì prossimo il consiglio regionale doveva decidere le modifiche di legge sulla lotta – appunto – alla ludopatia in merito agli “Interventi regionali per la prevenzione e il contrasto del fenomeno della ‘ndrangheta e per promozione della legalità, dell’economia responsabile e della trasparenza”.
Un iter tortuoso, molto opaco e poco comprensibile da parte di chi lo aveva proposto nel centrodestra. Con il retropensiero di molti nell’immaginare che si volessero favorire lobby non molto raccomandabili.
Prevista infatti una liberalizzazione selvaggia sulle fasce orarie, non più limitate, delle terribili macchinette rovina persone con trasferimento delle autorizzazioni dalla Regione ai sindaci (molto più condizionabili per consenso locale) e anche annullamento della vecchia norma che impedisce il gioco d’azzardo nel raggio di 500 metri da scuole, ospedali e chiese.
L’opposizione politica ha fatto il suo impendendo la votazione decisiva del provvedimento con la mancanza del numero legale (voto “sette” per attenzione civica). La questione è esplosa quando è scesa in campo la società civile indignata. Dure prese di posizioni da parte di don Giacomo Panizza, sul Corriere della Calabria, dei vescovi calabresi, di Libera, dei Sert che combattono la terribile dipendenza da gioco. Segnante il comunicato dei vescovi: «Oggi questa lotta combattuta quotidianamente dalle istituzioni e a cui la Chiesa non si è mai sottratta rischia di subire una battuta d’arresto». Non a caso ripreso venerdì da un fondo di prima pagina di Antonio Maria Mira su “Avvenire”. (voto “dieci” per la capacità di rete sociale civica dimostrata da tutti).
Il missile retorico ha avuto il suo effetto. Il presidente del consiglio regionale Filippo Mancuso ha accolto il montare degli etici no clericali, con attenzione ben diversa da quelli politici, annunciando di essere disponibile a “qualunque miglioramento” (voto “5” per mancanza di equilibrio). Il primo dietrofront è stato di Simona Loizzo (firmataria della legge insieme agli altri capigruppo di centrodestra) che ha subito chiesto il ritiro della legge. Forse poteva informarsi prima (voto “5” per ravvedimento tardivo).
Al notare che la vicenda stava troppo aumentando si è mosso il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, certamente non felice di essere finito nel mirino di vescovi e Avvenire. Una dichiarazione ben dosata ai giornalisti e tutti hanno compreso (ad Occhiuto voto “otto” per dorotea democristianeria).
A questo punto sono capitolati gli irriducibili Francesco De Nisi, Giovanni Arruzzolo, Giuseppe Neri, Giuseppe Graziano che da sostenitori del regalo di Natale ai gestori di macchinette si sono arresi e con una delle migliori supercazzole mai lette prima hanno annunciato che ritirano la proposta. (Voto “quattro” per l’incapacità manifesta di difendere la propria posizione). Tra i firmatari proponenti salvo solo Giacomo Crinò che durante la contesa aveva dichiarato: «Non siamo ipocriti, basta un cellulare per giocare, ovunque ci si trovi. Anche all’interno delle scuole. Non stiamo scoprendo norme nuove, abbiamo replicato leggi regionali di altre Regioni, tra cui il Piemonte. Il tenore della legge ricalca quello che in altre Regioni è già stato fatto». Voto “6” per chiarezza di posizione. Aggiungo però che se altre Regioni adottano un provvedimento sbagliato non per questo esso diventa una buona legge. Comunque tutto è bene (comune) quel che finisce bene. Niente regalo di Natale a chi lucra sul business del gioco. Il buon segnale è che anche l’ostinazione interessata di un pugno di consiglieri regionali può essere sconfitta da un’opposizione sociale trasversale positiva.
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A Cetraro il mercato ittico è cosa nostra del re del pesce Franco Muto, boss di Cetraro, che pur condannato per associazione mafiosa con la sua influenza ingombrante impedisce la vendita all’ingrosso e al dettaglio. Martedì scorso Arcangelo Badolati su Gazzetta del Sud in un servizio molto dettagliato ha raccontato come per il bene strappato di fatto alla mafia le gare di affidamento della struttura vanno puntualmente deserte.
Dal 2018 che si tenta di trovare un gestore. Ma niente da fare. Il Comune offre anche buoni benefit come il canone di gestione della struttura gratuito per 4 anni. Niente. L’ultima volta un’azienda di Bagnara aveva mostrato interesse. Ma all’asta del 7 giugno 2022 per la quinta volta non si è presentato nessuno. Non demorde il sindaco di Cetraro Enzo Cennamo che ha ribadito: «Stiamo cercando di riproporre la questione perché rappresenta un segnale importante per la comunità».
A Cetraro si incendiano ancora le barche del porto, si spara all’automobile dei carabinieri, si effettuano agguati nello stesso giorno simbolico in cui cadde il glorioso Giannino Lo Sardo, consigliere comunale di Cetraro e segretario della Procura di Paola ucciso dal clan senza giustizia.
Mi ha fatto riflettere rileggere sui social, associata a questa notizia, il vecchio ritaglio dell’Unità datato 3 luglio 1980. Gianfranco Manfredi scriveva un pezzo così titolato: “Cetraro, un porto strozzato dalla mafia. Il racket esercitato dal latitante Franco Muto. Una esca difficile e faticosa ma i prezzi li fanno i taglieggiatori. Chi si ribella rischia di vedersi bruciata la barca e distrutte le reti”. Dopo oltre quarant’anni in forme diverse le stesse casistiche. Viene qualche dubbio a credere nel contrasto alle mafie se qualche alto ufficiale delle forze dell’ordine invece di dedicarsi alla lotta del crimine si preoccupa solo di rappresentanza distribuendo crest in giro per buone relazioni.
Voto “nove” ai cronisti come Badolati e Manfredi che non hanno mai mollato la presa sul racconto difficile, stesso voto al sindaco Cennamo che non si arrende. A Muto un “due” per come ha soffocato un territorio straordinario che merita altra sorte, solo disprezzo ai colletti bianchi che con il boss hanno sempre brigato senza dover dare conto a nessuno.
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La Regione Calabria per la promozione turistica ha deciso di aprire un villaggio natalizio a Milano con pista di pattinaggio e scritte sulla Stazione centrale.
L’iniziativa non è per nulla piaciuta al sindaco leghista Andrea Capelletti di Covo in provincia di Bergamo che ha scritto su Facebook: «Adesso va bene tutto e con il rispetto di tutti ma che nel periodo natalizio la stazione Centrale diventi il palcoscenico della Regione Calabria anche no! O si organizza una vetrina per tutte le eccellenze italiane, o quantomeno per quelle lombarde oppure non mi sembra il caso che ad una Regione sia data la possibilità di accaparrarselo, tra l’altro probabilmente nel periodo migliore dell’anno». Un tempo al Nord i cartelli erano “Non si fitta casa ai meridionali”. Ora la risorta Lega identitaria non vuole concedere una delle sue piazze più frequentate ad una regione meridionale.
Il sindaco leghista, che fa finta di non capire l’importanza del marketing territoriale in una delle stazioni più frequentate d’Italia, aggiunge sbalordito: «Ma la Calabria ha così tanti soldi da potersi permettere di buttarne per un allestimento (c’è pure una pista di pattinaggio) in un’altra regione italiana ad oltre mille chilometri di distanza?». Merita di voto “uno” per così tanta miopia e disprezzo. Resta da chiedersi che ne pensano i leghisti di Calabria del giudizio del loro amico di partito lombardo?
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“La Lettura”, inserto culturale del Corriere della Sera, ha dedicato una pagina allo spettacolo di “Scena verticale” che ha debuttato in prima nazionale in questi giorni a Milano con questo strillo: “Esponente di un teatro che resiste al Sud mette in scena Castrovillari schiantata dalla globalizzazione”. “Via del Popolo” alla prima ha registrato recensioni entusiastiche sulle pagine culturali che contano. Non è la prima volta. Saverio La Ruina con i suoi amici teatranti di “Scena verticale” nel corso del tempo ha costruito una realtà culturale di grande spessore. Seguiamoli con l’affetto che meritano. A Saverio La Ruina voto “dieci” per talento e per non aver scelto la strada dell’emigrazione.
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Del successo del nuovo format del simpatico Fiorello sapete tutto? Vi segnaliamo che del team al fulmicotone fa parte come inviato anche Gabriele Vagnato, 21 anni, cresciuto tra Asti e Catanzaro con calabra cultura. Youtuber e influencer di successo ha iniziato mettendo in scena i pranzi di famiglia e non si è fermato più al punto da condurre anche la Giornata della Gioventù di Papa Francesco. A quanto pare dopo questo risultato la mamma ha smesso di inviargli link per concorsi pubblici, ritenendo quello dell’influencer un mestiere non troppo serio. Anche a Gabriele un bel “dieci” per determinazione, talento e capatosta calabrese.
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