LOCRI Ventisei anni per Pietro Favasuli e 24 anni per Santoro Favasuli. Sono le richieste di condanna del pubblico ministero Luisa D’Elia per gli imputati nell’ambito del processo per l’omicidio di Salvatore Pangallo, il 25enne ucciso ad Africo dopo una feroce lite con il cugino e lo zio. A processo, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Locri presieduta da Amelia Monteleone (a latere Mariagrazia Galati) ci sono Santoro e Pietro Favasuli, padre e figlio, rinviati a giudizio per concorso in omicidio aggravato dalla premeditazione e futili motivi.
Ad accendere la discussione, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe stato un defogliatore, macchinario per la pulitura delle olive. Alla base i difficili rapporti che intercorrevano tra le due famiglie e che erano sfociati in una violentissima lite. Era lunedì 9 novembre 2020 quando nelle campagne di Africo, in provincia di Reggio Calabria, si consumava l’omicidio di Salvatore Pangallo e il ferimento del padre, Costantino Pangallo. Il ragazzo venne raggiunto da un colpo di pistola che gli fu fatale. A sparare il giovanissimo cugino, oggi 25enne, Pietro Favasuli, arrestato qualche giorno dopo insieme al padre, Santoro Favasuli. I due, si costituirono al termine di serrate ricerche condotte dai carabinieri sotto il coordinamento della Procura di Locri.
Riconosciuta dal pubblico ministero l’aggravante della premeditazione, ma non i futili motivi. Al termine della requisitoria il pm ha quindi chiesto 26 anni di carcere per Pietro Favasuli e 24 anni per il padre Santoro. Nel corso dell’udienza è intervenuto anche il collegio composto dagli avvocati Mari Vazzana, Marilena Barbera e Antonino Tuscano, legali della famiglia di Salvatore Pangallo, i quali hanno chiesto alla corte il riconoscimento dell’aggravante della premeditazione e insistito sul riconoscimento dei futili motivi.
Sulla premeditazione, l’avvocato Vazzana ha evidenziato, in aula, che «quanto emerso in fase dibattimentale, sia l’elemento cronologico che psicologico sono perfettamente compatibili con la dinamica emersa nell’omicidio». «I motivi alla base del drammatico omicidio – ha sottolineato il legale della famiglia Pangallo – non possono non essere considerati futili: si parla di un defogliatore e un terreno adibito a pascolo, valore irrisorio non certo compatibile con un motivo non futile, né giustificabile con l’uccisione di una persona, una vita. La vita di Salvatore è finita il 9 novembre, l’agonia dei suoi familiari non finirà mai, come non vi sarà mai pace se non vi sarà giustizia, ci ha insegnato Paolo VI. La morte di Salvatore – ha concluso Vazzana – merita giustizia, il massimo della giustizia». (redazione@corrierecal.it)
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