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«Di Covid si parla poco. Ma il virus morde ancora. E serve un nuovo schema per affrontarlo»

Parlano il generale Battistini e il primario di Malattie infettive Torti. L’appello alla responsabilità e i nuovi scenari per la Calabria

Pubblicato il: 14/12/2022 – 11:13
di Emiliano Morrone
«Di Covid si parla poco. Ma il virus morde ancora. E serve un nuovo schema per affrontarlo»

COSENZA Di Covid si parla poco. Sembra un argomento superato di fronte alla guerra in Ucraina, alla crisi energetica e al caro vita. Eppure, l’ultima variante del nuovo coronavirus circola in fretta e preoccupa la diffusione dell’influenza stagionale, che può dare sintomi anche molto più severi. Perciò Corriere Suem dedica un approfondimento all’organizzazione delle strutture sanitarie della Calabria, già sotto stress, alle misure di prevenzione e alle cure disponibili, con due importanti interviste: una al generale dell’Esercito e medico Antonio Battistini, referente sanitario regionale per le grandi emergenze; l’altra al professor Carlo Torti, che insegna nell’Università di Catanzaro e nel policlinico dell’ateneo dirige il reparto di Malattie infettive e Tropicali.

L’appello del generale Battistini alla responsabilità

«Andate a trovare i vostri cari in ospedale, ma il gesto più bello che potete fare per loro e per voi – raccomanda Battistini – è indossare le mascherine, disinfettarvi spesso le mani e tenere una ragionevole distanza. Altro atto responsabile – sottolinea – è preoccuparsi della vaccinazione degli anziani, che è opportuno fare».
L’appello del generale fa il paio con un recente studio sui ricoverati per Covid nelle terapie intensive della Calabria tra gennaio e aprile scorsi, promosso dall’Unità operativa di Anestesia e rianimazione del policlinico universitario di Catanzaro, pubblicato sulla rivista scientifica aperta «Frontiers» e firmato dai docenti universitari Andrea Bruni, Federico Longhini ed Eugenio Garofalo. «Dall’analisi dei dati – riassume il relativo comunicato stampa – è emerso che i pazienti che avevano effettuato la dose booster del vaccino contro il Covid-19 da più di 5 mesi avevano una forma di malattia più severa rispetto a quelli che invece si erano vaccinati di recente. Inoltre, i pazienti non vaccinati erano gravati da una mortalità superiore rispetto ai pazienti che avevano ricevuto il vaccino da poco». Secondo gli autori dello studio, «dai dati risulta pertanto evidente che il vaccino protegga contro la malattia grave e che i pazienti che non si sono vaccinati o che hanno ricevuto la dose booster da oltre 5 mesi hanno una prognosi peggiore».

Generale Antonio Battistini

Battistini: «Stiamo proteggendo gli anziani e i fragili»

Al generale Battistini abbiamo chiesto lo stato attuale dell’organizzazione delle strutture sanitarie calabresi in rapporto alla circolazione del SARS-CoV-2, cui si accompagna quella del virus dell’influenza stagionale.
«Abbiamo cominciato a predisporre la stagione autunnale – precisa il militare – già dallo scorso luglio. Perché è ovvio che le ondate della pandemia o dell’epidemia ormai si rafforzano in concomitanza della stagione delle grandi malattie respiratorie. Quindi già da allora abbiamo cominciato a ragionare su quello che avremmo dovuto fare, in particolar modo sull’incremento della protezione vaccinale, consapevoli del fatto che la quarta dose non avrebbe, come dire, affascinato gli italiani come le dosi precedenti. In effetti così è stato, perché in Calabria, nella popolazione sopra 60 anni, fra guariti e vaccinati non raggiungiamo il 60 per cento di platea coperta».
Per inciso, da un recente rapporto dell’Istituto superiore di Sanità risulta che solo il 37 per cento di fragili e over 60 anni è protetto. Per il resto, non arrivano all’1 per cento gli italiani che hanno fatto la terza dose da meno di 120 giorni.
«Avevamo colto la tendenza in anticipo. Quindi – racconta Battistini – abbiamo fatto un ragionamento diverso: visto che le persone non vanno a vaccinarsi, andiamo noi da loro. E abbiamo messo in piedi in tutte le province una vaccinazione a tappeto delle Residenze per anziani, realizzata nei mesi di luglio, agosto, settembre e ultimata il 31 ottobre scorso. In sostanza, abbiamo portato le vaccinazioni nelle Rsa, che sono tradizionalmente il focolaio principale, coprendole al massimo, nel senso di rivaccinare i già vaccinati e di vaccinare tutti quelli che hanno aderito. Devo dire che questo sta pagando, perché nelle Rsa non sta succedendo quanto avveniva nel 2020. Siamo soddisfatti».

«Situazione in equilibrio»

«Il punto – spiega il referente sanitario regionale per le grandi emergenze – è che siamo di fronte ad una situazione in cui, a fronte di un virus che viaggia molto velocemente, la sintomatologia è molto più blanda. Quindi ora noi vediamo più ricoverati per altre malattie positivi al tampone di ingresso che ricoverati con il Covid. Le terapie intensive con pazienti gravi non sono sotto pressione e questo ci conforta. Il problema di gestire i positivi che vengono per un altro motivo è comunque presente. Si tratta di pazienti che vanno gestiti con un certo criterio, per esempio di persone con la frattura di una gamba per una caduta con il motorino. Sono comunque pazienti cui bisogna avvicinarsi con i dispositivi di protezione individuale, per evitare contagi in ospedale. Da qui l’indicazione rinforzata di tenere la mascherina negli ospedali come nelle strutture di Pronto soccorso e, per quanto possibile, di gestire le situazioni al domicilio. Nel bollettino della Calabria, che curiamo noi in Regione, al 13 dicembre abbiamo 8.519 positivi, poco più di quanti ne avevamo il giorno precedente, e abbiamo più guariti che nuovi casi. Insomma, diciamo che è una situazione in equilibrio. Di ricoveri per malattia grave, ripeto, non ne stiamo vedendo tanti».

Lo «Specchio multidisciplinare»

«Abbiamo il problema – continua il generale Battistini – di gestire il ricovero di chi è positivo, perché ci complicano un po’ la vita i limiti delle strutture sanitarie da una parte e la carenza di personale dall’altra. Adesso noi abbiamo realizzato un sistema per differenziare i ricoveri, proprio per decidere a breve come migliorare ulteriormente l’organizzazione. Mi spiego. In questo momento stiamo ricoverando le persone positive in quello che chiamiamo “Specchio multidisciplinare”. C’è un reparto di Malattie infettive in cui mettiamo tutti i positivi al Covid divisi per patologie; ad esempio gli ortopedici, i chirurgici e così via. Ognuno di loro è seguito dallo specialista di riferimento. È un’organizzazione che ci consente di risparmiare personale, tra virgolette, perché quello che lavora lì dentro è dedicato a pazienti positivi, con conseguente riduzione dei rischi».

Verso «uno schema diverso», oggi si decide in Regione

«Vorremmo però andare verso uno schema diverso, il che – anticipa il militare – è motivo di una riunione che avremo proprio oggi con i direttori sanitari, per vedere se riusciamo ad attivare delle stanze, le cosiddette “bolle”, all’interno di ogni reparto specialistico e dedicate ai positivi al coronavirus. Questa è una decisione, tuttavia, legata alla disponibilità di spazi. Infatti, non possiamo permettere che l’infezione si propaghi per l’ospedale, per esempio in tutto il reparto di Ortopedia o di Chirurgia. Noi dobbiamo creare delle barriere fisiche, delle barriere organizzative, delle barriere in relazione alla disponibilità di personale. Quindi oggi, a seguito di una riunione che avevamo avuto lo scorso 5 dicembre, ci confronteremo di nuovo per vedere dove possiamo partire con le cosiddette “bolle”, in modo che il malato rimanga nel suo ambito naturale di destinazione, anche se è un paziente positivo al tampone».

È un’ipotesi che riguarda soltanto gli Hub o potrebbe estendersi anche agli ospedali più piccoli, per esempio quelli di montagna?
«Al momento – chiarisce Battistini – per i pazienti positivi al Covid ci sono reparti dedicati a Cetraro, a Rossano eccetera. Poi ci sono pazienti che prendono in carico gli Hub; per esempio, il Gom di Reggio Calabria, l’Annunziata di Cosenza, il Mater Domini di Catanzaro, cioè ospedali che per loro natura ricoverano tutti in quanto hanno tutte le discipline. Gli Hub sono i principali candidati ad andare verso l’organizzazione cui stiamo pensando». E gli ospedali più piccoli? A San Giovanni in Fiore hanno dovuto svuotare il reparto di Medicina perché tutti i ricoverati erano risultati positivi al coronavirus e quindi sono stati trasferiti altrove. Lì, per esempio, ci sarebbero spazi sufficienti per la nuova organizzazione di cui ha parlato, anche se manca personale medico. «Assolutamente sì. Anzi, le dirò, la nuova organizzazione – puntualizza Battistini – si immagina forse più per gli ospedali più piccoli, che in una regione come la Calabria sono chiamati a rispondere a tanti bisogni sul territorio. Adesso, con l’inverno andiamo incontro a problemi di viabilità che lei conosce meglio di me. Perciò questa soluzione deve essere particolarmente attenzionata proprio per gli ospedali più piccoli, per gli ospedali montani. La questa questione è talmente urgente che ho chiesto al dipartimento regionale Tutela della salute di organizzare la riunione odierna con i direttori sanitari, proprio per studiare un modello organizzativo e poi declinarlo e applicarlo in relazione alle singole realtà locali».

È preoccupato per le prossime settimane, nelle quali aumenteranno i casi di influenza stagionale?
«Più che essere preoccupato per la concomitanza dell’influenza stagionale, sono preoccupato – osserva il referente sanitario regionale per le grandi emergenze – perché già l’influenza stagionale porta in ospedale più pazienti rispetto al Covid. Questo argomento ci riconduce a un tema che lei ha già citato prima, che è la disabitudine del personale sanitario a coprirsi. Allora in ospedale può arrivare un paziente infetto da qualsiasi malattia, sia Covid che influenza. Se il paziente ha l’accortezza di arrivare con la mascherina e il personale sanitario indossa la indossa pure, si possono fare tranquillamente gli esami di laboratorio e la diagnosi evitando contagi. Bisogna accettare che in determinati luoghi va portata ancora la mascherina: sia da parte di chi ci entra, sia da parte di chi ci lavora. Noi ci esponiamo alla compromissione delle strutture sanitarie e, siccome già non abbondano, non vorremmo dover pagare un prezzo per la nostra disattenzione o per la nostra mancanza di senso di responsabilità».

Sta dicendo che se il paziente è sottoposto a tampone per l’accesso al Pronto soccorso e poi in reparto, non può accadere che all’interno degli ospedali ci siano disattenzioni da parte dei sanitari o di chi fa visita ai ricoverati?
«Esatto. Proprio a fine novembre – ricorda Battistini – avevamo trasmesso una lettera con indicazioni precise sulle precauzioni generali da adottare e i tamponi obbligatori da garantire in maniera gratuita ai caregiver di tre categorie di ricoverati: minori, anziani e donne in gravidanza. Ciononostante, si sono registrate inadempienze. Per esempio, mi sono arrivate delle fotografie del Pronto soccorso di Polistena che ritraevano gente in attesa senza mascherine. In questi casi, deve essere l’operatore sanitario a richiamare al rispetto delle regole. I sanitari che non porteranno le mascherine – avverte il generale – saranno sanzionati».

Torti: «Casi problematici con la nuova variante del virus»

Professore Carlo Torti – Università di Catanzaro

Con il professor Torti, esperto di malattie infettive, abbiamo invece discusso soprattutto di pazienti fragili e terapie disponibili in caso di malattia da nuovo coronavirus.
Professore, che differenza c’è tra il Covid di ieri e quello di oggi?
«Le differenze sono dovute in larga misura all’effetto delle vaccinazioni. Grazie soprattutto alle vaccinazioni, le manifestazioni cliniche del Covid sono oggi generalmente più lievi. Purtroppo, però, alcuni soggetti nella popolazione generale sono fragili e non hanno risposto adeguatamente alla vaccinazione. Mi riferisco, in particolare, ai pazienti immunocompromessi, specie a quelli affetti da malattie ematologiche e che assumono per le malattie di cui soffrono farmaci immunosoppressori, ad esempio il Rituximab. Questi soggetti, ancora oggi, pur essendo vaccinati, purtroppo possono sviluppare delle malattie più gravi, ovvero delle infezioni che durano significativamente di più rispetto a quelle che avvengono nei soggetti immunocompetenti, ostacolando quindi anche il percorso di cure per le malattie di base di cui soffrono. In questi pazienti, peraltro, il virus è maggiormente in grado di mutare e di evolvere, persistendo per più tempo nell’organismo infetto. In più, ci sono soggetti comunque fragili per altri motivi, anche semplicemente per l’età, che magari hanno fatto l’ultimo richiamo di vaccinazione tempo addietro, più di sei mesi o un anno fa. Questi soggetti possono avere perduto parte della loro protezione vaccinale e quindi, chiaramente, possono andare incontro ancora oggi a complicanze. Va anche considerato che la vaccinazione fatta in passato non “copre” così bene come la versione aggiornata del vaccino nei confronti della variante Omicron. E infine, ma non da ultimo, ci preoccupa anche l’influenza, perché è un’infezione che sta circolando sul territorio nazionale insieme all’infezione da SARS-CoV-2 e quindi i due virus che vanno “a braccetto” possono co-infettare lo stesso soggetto, rendendo la malattia più grave. Anche se noi non abbiamo ancora avuto casi di pazienti co-infettati, sicuramente questa è un’eventualità possibile che va diagnosticata. Oggi, poi, c’è una gran quota di soggetti, già emersa nelle precedenti ondate, che vengono riscontrati positivi per l’infezione da SARS-CoV-2, magari perché vengono ricoverati in ospedale per altri motivi. Ovviamente, anche se questi soggetti non hanno Covid, cioè non hanno la malattia dovuta al virus SARS-CoV-2, debbono essere trattenuti in ospedale per la loro patologia di base. In conclusione, diciamo che, siccome l’infezione è diventata ormai endemica, la popolazione di pazienti che noi in ambito ospedaliero ci troviamo di fronte è molto più eterogenea. Cionondimeno è presente e comincia ad esercitare una certa pressione sulle strutture sanitarie».

Professore, stanno capitando casi problematici per quanto riguarda l’ultima variante del virus?
«Sì, assolutamente. Sono in percentualmente minore rispetto al passato, però sono comunque presenti, particolarmente in pazienti che non siano stati vaccinati o che non abbiano fatto tutti i richiami, soprattutto se fragili, come dicevo prima, per l’età, per le comorbidità oppure perché assumono farmaci immunosoppressivi. Questa eventualità è possibile anche se viene molto contenuta oggi dalle vaccinazioni e anche dalla possibilità di fare le terapie precoci, cioè quelle terapie con antivirali o con monoclonali che, se assunte nei primi cinque giorni dei sintomi, riducono dell’85 per cento il rischio di evoluzione della malattia. Raccomando che tutti i pazienti fragili comunichino immediatamente il loro stato di infezione e soprattutto all’esordio dei sintomi, in modo da accedere rapidamente a queste terapie che sono molto efficaci, purché iniziate subito. E poi raccomando che i soggetti che abbiano un’immunocompromissione, e che quindi possano non avere risposto in modo ottimale al vaccino, si rivolgano ai centri clinici abilitati per le terapie con anticorpi monoclonali preventive, cioè ancor prima di contrarre l’infezione. Questo, ovviamente, contribuirà ad un’ulteriore riduzione della quota di pazienti gravi che purtroppo, devo dire, ancora in una certa misura vediamo».

Per quanto riguarda queste terapie preventive, come valuta lei dal suo osservatorio il livello dell’informazione che viene data all’utenza?
«Valuto più che altro con un una certa preoccupazione i possibili effetti di tutto ciò. Ho paura che di fatto la copertura sia ancora piuttosto scarsa e che molti pazienti che hanno queste malattie associate a immunocompromissione o che assumono farmaci immunosoppressori possano non avere beneficiato di questa terapia preventiva. Si tratta fondamentalmente di una somministrazione intramuscolare di anticorpi, che deve essere poi ripetuta ogni sei mesi e che assicura comunque una protezione dal rischio clinico, nel caso in cui questi soggetti venissero ad essere infettati dal virus. Ovviamente, la mia preoccupazione, in questa sede come in altre, è di raccomandare assolutamente che i pazienti in argomento ricevano le anzidette terapie preventive e che, ove si infettino e sviluppino dei sintomi come dicevo prima, possano accedere rapidamente alle terapie con antivirali oltre che con monoclonali, a seconda dell’indicazione».

Dove possono essere somministrate queste terapie sul territorio regionale?
«La terapia preventiva può essere somministrata dai medici che hanno in cura questi pazienti per le loro patologie di base, perlopiù ematologiche o reumatologiche. Quindi i soggetti che hanno malattie ematologiche possono ricevere questa terapia dai loro ematologi; quelli che hanno patologie reumatologiche la possono ricevere dai loro reumatologi; quelli che magari hanno subito un trapianto di rene dai nefrologi che seguono questi pazienti nel post trapianto. Quindi le terapie preventive di fatto possono essere prescritte da medici che hanno in cura questi pazienti e non necessariamente dagli infettivologi.
Invece, per le terapie precoci con antivirali vi è un farmaco che può essere prescritto dal medico di Medicina generale, l’associazione Nirmatrelvir+Ritonavir. Purtroppo, questo farmaco può avere dei problemi di interazioni farmacologiche con altri farmaci che il paziente assume e quindi non sempre può essere somministrato. In tal caso ci sono dei centri abilitati sul territorio regionale: centri appunto di Malattie infettive o centri di Cure di prossimità. Noi ne abbiamo uno che si trova nell’ex Villa Bianca, a Catanzaro. Rivolgendosi ai centri in parola, si può ricevere un farmaco antivirale alternativo, il Molnupiravir, o si possono ricevere gli anticorpi monoclonali. Al centro dell’ex Villa bianca abbiamo anche in corso un protocollo di trattamento coordinato dall’Istituto di malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma, approvato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e supportato anche dalla Società italiana di malattie infettive e tropicali in forma di studio clinico. I medici di Medicina generale sono in grado di condurre il paziente attraverso questo percorso di cura e quindi di dare i consigli per potere ricevere queste terapie».

A quasi tre anni dalla comparsa del nuovo coronavirus, da scienziato che cosa può dire rispetto all’evoluzione che c’è stata, anche dal punto di vista scientifico, circa il trattamento della patologia che può determinare?
«Dal punto di vista scientifico i progressi in pochissimo tempo sono stati notevoli, perché all’inizio noi non sapevamo che cosa fare e soprattutto non c’erano le vaccinazioni. Ora invece ci sono le vaccinazioni e abbiamo anche più armi farmacologiche ed anche maggiore esperienza, sicché sappiamo meglio come gestire questi pazienti. Quindi ci sono stati dei progressi enormi. Pure il virus sembra che si sia ridotto nella sua virulenza. Però questi progressi non debbono farci illudere che il virus non ci sia più e che tutti i pazienti con le cure che abbiamo possano facilmente guarire. Purtroppo, non è ancora così. In più, questa epidemia si interseca con altre epidemie come quella influenzale. Mi permetto quindi di dire che in ogni caso la nostra mente non deve essere distratta da questi avanzamenti. Soprattutto in questo periodo, bisogna porre particolare attenzione all’interno degli ospedali. L’uso della mascherina rimane molto importante».

Qual è lo scenario che immagina in Calabria, con l’arrivo dell’inverno e anche con l’aumento dei casi di influenza stagionale?
«Già ora avvertiamo un certo stress sul sistema sanitario. Per esempio, noi abbiamo ricoverato nell’arco di un paio di giorni una decina di pazienti, anche per saturazione dei posti letto nell’altro Hub di riferimento di Catanzaro, che è l’Azienda ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”. Va poi considerato che nel periodo invernale si sta più vicini in ambienti ristretti. Il periodo delle feste natalizie rappresenta un’ulteriore opportunità per il virus di diffondersi nella popolazione. Quindi è possibile che lo stress delle strutture sanitarie possa avere una certa valenza e persistenza. Spero quindi che non vi sia un’ulteriore recrudescenza nel prosieguo dell’inverno. Poi, appunto, c’è l’influenza e anche in questo caso dipenderà dallo spazio che la popolazione darà al virus. Spero che si sia già vaccinata molta della popolazione, soprattutto i soggetti fragili, anche per il virus dell’influenza. Quindi insomma, in parte dipende dal virus, in parte dipende anche da quello che noi abbiamo fatto e faremo per contrastarne la diffusione, soprattutto in termini di vaccinazioni e attuazione delle norme igieniche atte a prevenire l’infezione. È un po’ difficile prevedere ciò che avverrà».

Vuole lanciare un appello alla responsabilità nelle festività natalizie?
«Oggi non è più un’emergenza, almeno questa è la mia forte speranza, che per il momento è dimostrata anche dai dati. Ricordiamo però che l’emergenza non esiste finché la si controlla. Perciò, insomma, senza ansia, senza troppi allarmismi, bisogna avere un sano realismo. Purtroppo, questo virus, come altre malattie infettive, è entrato nella popolazione. Bisogna difendersi anche con delle misure di prevenzione. Ci sono dei comportamenti, che devono entrare nel nostro patrimonio culturale e nei nostri modi di vivere, che non dobbiamo avvertire con troppa intolleranza. L’uso delle mascherine e l’igiene delle mani continuano ad essere molto importanti».

Nelle strutture ospedaliere regionali sono state attivate delle misure di precauzione?
«Recentemente una circolare ministeriale ne ha ribadito l’importanza. Quindi, ancora più chiaramente negli ospedali, dove per definizione ci sono pazienti e quindi persone fragili, ritengo di dovere sottolineare l’impiego delle mascherine e l’igiene delle mani, che è utile non solo per l’influenza ma anche per la trasmissione dei batteri multiresistenti agli antibiotici, che rappresentano una vera pandemia sottaciuta. Ricordiamo che l’igiene delle mani previene almeno il 30 per cento delle infezioni da batteri che avvengono in ambito sanitario e che già nel 2016 uccidevano ogni anno, nella sola Italia, circa 50mila persone. Quindi ribadisco l’importanza di tutte quelle misure di igiene che di fatto avremmo dovuto attuare da tempo, anche ben prima dell’avvento del Covid, e che dobbiamo continuare a praticare anche in epoca Covid».

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