MILANO Se c’è un modo per far rinascere un “locale” di ‘ndrangheta abbattuto da un’inchiesta antimafia, di sicuro passa dal rapporto con la politica. Vale per il clan (re)installato a Pioltello. I magistrati li chiamano «“locali” di seconda generazione». C’è chi torna operativo grazie al traffico di droga – è il caso della famiglia Bandiera, riportato in una recente operazione della Dda meneghina – e chi invece cerca di ritagliarsi spazi nelle stanze dell’amministrazione comunale. Per rinascere, la ‘ndrina di Pioltello si affida al proprio capo storico, Cosimo Maiolo, 58enne di Caulonia. I suoi tre figli – Salvatore, Antonio e Omar – sono nati a Cernusco sul Naviglio e hanno meno di 40 anni: troppo giovani per guidare la rifondazione. Ci sarebbe il fratello del capo, Damiano, di dieci anni più giovane ma i rapporti tra i due non sono proprio distesi. I magistrati li riassumono così: Maiolo «delibererà (nei confronti di suo fratello, ndr) un mandato di omicidio, al momento rimasto ineseguito». Lo voleva morto.
C’è un capo, insomma, e «la sua figura – per dirla con il gip – è sempre posta su un piano diverso dalle altre». A Cosimo Maiolo «spetta l’ultima parola su ogni iniziativa dell’associazione». Le sue scelte, invece, non hanno bisogno «di ulteriore via libera». E soprattutto «è colui che può punire chi si sia discostato dai suoi ordini ovvero abbia assunto, senza consultarlo, una iniziativa potenzialmente pericolosa per la vita dell’associazione stessa». Anche se si tratta del proprio fratello.
Per la passione politica del capoclan parlano intercettazioni e riscontri. Nel tratteggiare la figura di Maiolo, i magistrati antimafia si concentrano sul valore l’ossessione elettorale riveste per la ‘ndrina. «L’attività di ricostituzione e di riattivazione della locale di Pioltello – scrive il gip – trova nel tentativo di condizionare le lezioni amministrative del 2021 un vero e proprio snodo che le consentirebbe, in caso di riuscita, di riaffermarsi definitivamente sul territorio». Lo scopo è quello di tessere «un’alleanza strutturale con la nuova amministrazione comunale, il che è come noto fondamentale per il condizionamento dei pubblici appalti e per il controllo di concessioni, autorizzazioni e servizi pubblici». A Pioltello i Maiolo vedono i rapporti con la politica come l’orizzonte per recuperare «il potere disperso» dopo le condanne rimediate nel processo “Infinito”. E soltanto il boss storico può cimentarsi nell’impresa. È Cosimo Maiolo «a tessere le possibili alleanze con i componenti di una delle liste in competizione, sino a riuscire ad avvicinare e a incontrare personalmente anche il candidato sindaco». È lui a spendere il nome del Maiolo, «in modo a tratti persuasivo e a tratti, espressamente intimidatorio». Ed è sempre il boss, «con l’aiuto del fedelissimo Luca De Monaco, a organizzare un evento elettorale nella pescheria del figlio», in modo che sgombrare i dubbi «su quale fosse l’indicazione elettorale proveniente dalla famiglia Maiolo».
Politica e controllo della cosca sono materie di pertinenza del boss e di nessun altro. C’è un caso in cui la reazione di Maiolo va addirittura oltre i legami familiari. Che reagisce con ferocia dopo un’iniziativa improvvida di suo fratello Damiano. È una spedizione punitiva organizzata il 16 novembre 2019 che diventa una «plateale sparatoria» nella quale vengono feriti sia l’attentatore che la vittima designata.
Quel Far West finisce per riaccendere i fari sul clan Maiolo «proprio nel momento in cui aveva bisogno della maggiore “invisibilità” possibile, per ricostruire, con calma, la rete del proprio potere criminale (narcotraffico, “pizzo” e armi), sociale (controllo politico-elettorale) ed economico (infiltrazione del tessuto imprenditoriale e societario) nel territorio pioltellese». È un vecchio comandamento tradito dal Damiano Maiolo. La ‘ndrangheta fa esercizio di invisibilità per coltivare i propri affari, specie quando prova a rimettersi in piedi dopo i colpi assestati dallo Stato. Maiolo junior mette in pericolo la sopravvivenza del clan. Il suo caos finisce nel sangue e nella logica tribale del “locale” c’è soltanto un’opzione per punirlo: la morte. «La reazione di Cosimo Maiolo nei confronti del fratello – appunta il gip – è infatti estremamente violenta: prima invia una “ambasciata di omicidio” a Caulonia, dove Damiano si è rifugiato dopo essere stato dimesso dall’ospedale, e poi, preso atto che l’ambasciata non è stata eseguita (“hanno capito male l’ambasciata”) delibera di darle egli stesso esecuzione non appena il fratello torni a Pioltello». Un omicidio «per dare un messaggio generalizzato a tutti su cosa accada a chi metta in difficoltà la famiglia trasgredendo i suoi ordini».
L’ordinanza riporta le parole di morte pronunciate da Cosimo Maiolo nei confronti del proprio fratello. Il boss racconta i suoi propositi al nipote Giovanni: «Lui vuole tenere sotto scacco a tutti come.. la famiglia mia, tu non metti sotto scacco le cose… Giovanni, se lui viene qua io lo ammazzo… se viene qua lo ammazzo… lo ammazzo se viene di qua c’ho… la trappola ce l’ho… gli scarico tutto (incomprensibile) fucilate che la pancia sai come gliela faccio? quella pancia di merda che ha…. la prima gliela metto nella testa… la prima gliela metto nella bocca… sparato nella bocca vuol dire che se l’è cantata… e dopo quella pancia di merda gliela… lui si è messo nella testa che… rovina la mia famiglia? va bene…». (p.petrasso@corrierecal.it)
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